TURISMO LA CORSA DEI MINI HOTEL
Con le scarpe tech invadiamo il Kuwait (e la Cina) Negli ultimi cinque anni le presenze sono salite del 19% Funzionano soprattutto le sistemazioni a 5 stelle E se le strutture boutique investissero per salire di tono... Cresce il business del mangime super ecologico
Gli stranieri, in particolare arabi, amano sempre più indossare e girare il mondo con le nostre scarpe ai piedi, rigorosamente made in Italy. «Abbiamo attirato l’attenzione non solo in Germania, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Israele, Usa, ma anche di nuovi compratori in Kuwait, Cina e Giappone, Algeria, dove prevediamo nei prossimi tre anni di conquistare una fetta di mercato importante che ci permetterà di superare i 10 milioni di euro di esportazioni».
Così Alice Migliorati, amministratore delegato dell’azienda di calzature Fly Flot di Calvisano, in provincia di Brescia. Il gruppo realizza zoccoli, sandali, ciabatte, infradito, pantofole e scarpe sia in pelle che in materiali tecnici innovativi. Abbiamo «un reparto ad hoc dove lavorano cinque specialisti che hanno il compito di ricercare nuovi materiali selezionati per creare scarpe sempre più performanti — aggiunge Migliorati —. Ogni anno investiamo in ricerca e sviluppo il 6% del nostro fatturato. E per fabbricare modelli così finemente curati fin nei minimi dettagli, utilizziamo solo materiale e pellame ricercato come la rete elastica, una microfibra che oltre ad avere caratteristiche performanti è ultra confortevole». La produzione della Fly Flot è realizzata per il 90% con macchine a iniezione diretta di poliuretano su tomaia, mentre il restante 10% dei modelli con materiali di elevata qualità che vengono cuciti a mano seguendo una tecnica artigianale d’altri tempi, che conferisce agli articoli l’impronta di alta artigianalità, tipica dei capi unici. Una qualità particolarmente richiesta proprio dal mondo arabo. L’azienda bresciana, per aumentare il giro d’affari ha inoltre affiancato alla distribuzione classica quella online
«Il nostro modello di business lega in maniera virtuosa l’ambiente, la nutrizione animale, la filiera, i rapporti con il territorio e le relazioni con le persone, che ogni giorno acquistano i prodotti per i loro animali». Parola di Alfredo Ettore Mignini, presidente di Gi.ma., Gruppo italiano mangimi alimentari, «azienda che guarda al futuro senza perdere il legame con la tradizione».
Nata nel 2001, la Gi.ma., sede a Rubiera (Reggio Emilia), 120 dipendenti, ha mantenuto una struttura a conduzione familiare: accanto al presidente i figli, Antonio, amministratore delegato, Francesca, responsabile marketing, Stefania e Diletta, con ruoli operativi. «Siamo al terzo posto tra i produttori nel mercato libero. Ci consideriamo dei partner per l’allevatore e il rivenditore. Forniamo prodotti certificati e piani personalizzati utilizzando le migliori materie prime, garanzia anche per il consumatore finale. Abbiamo circa 3.800 clienti e lavoriamo esclusivamente sul territorio nazionale». I fatturati dimostrano quanto la strategia sia vincente. «Il bilancio 2017 si è chiuso a 120 milioni di euro con un Mol oltre il 5%. Le previsioni per l’anno prossimo vedono un aumento del 6% e una chiusura a oltre 125 milioni. Ogni anno gli investimenti, globalmente, pesano per circa il 3%». Importante è anche il settore ricerca. «Ad esempio per rendere ancora più unica la qualità dei prosciutti, tra cui il Parmasan Daniele, insaccati realizzati con un tipo particolare di lavorazione, abbiamo realizzato un mangime dalla formula segreta custodita in un caveau a prova di spionaggio industriale». La Gi.ma. sostiene un modello di sviluppo sostenibile, con impianti locali alimentati con energia prodotta da motori di cogenerazione funzionanti ad olio vegetale per un’energia rinnovabile e a metano.