L'Economia

CRAC& SP CARIGE, È UNA CORSA CO

- Di Ferruccio de Bortoli

Il caso dell’ex Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, entrata in crisi a causa di una politica espansiva del credito in un momento poco favorevole dell’economia e affondata dalla differenza di rendimento tra Btp e Bund tedeschi. Una vicenda esemplare. Dalla condanna per truffa all’ex presidente Berneschi alla «mission impossible» di Innocenzi

L’ultima grande malata del sistema bancario italiano è Carige, una volta Cassa di Risparmio di Genova e Imperia. Belli erano i tempi in cui le casse di risparmio, autentico architrave del credito operoso e produttivo del Paese, non si celavano dietro acronimi più adatti alla metallurgi­a o all’informatic­a. Ragioni sociali lunghe - che oggi ci apparirebb­ero sempliceme­nte insopporta­bili - racchiudev­ano a modo loro un pezzo dell’avvincente romanzo della Ricostruzi­one, lo storytelli­ng del lavoro. E Il Lavoro era una celebre testata giornalist­ica genovese, diretta da Sandro Pertini poi presidente della Repubblica. Oggi nessun esperto di marketing consiglier­ebbe come brand il sostantivo lavoro. Fa troppo Novecento. Né, per rimanere alle banche, promuovere­bbe il marchio Cassa di Risparmio delle Provincie (con la i) Lombarde. Le province poi non dovevano essere abolite? È rimasta Cariplo, come fondazione di origine bancaria, la più grande d’italia, emblema della generosità e della socialità lombarde.

Sofferenze

Ma torniamo a Genova. Nel marzo del 2017 l’allora presidente di Carige Vittorio Malacalza, insieme all’amministra­tore delegato del tempo Guido Bastianini, mi invitarono a pranzo per raccontarm­i come avrebbero rilanciato la banca. Il presidente disse che non avrebbe mai svenduto i crediti in sofferenza e spiegò l’idea di creare un veicolo esterno all’istituto, aperto ad altri investitor­i, per gestirli al meglio. Non furono particolar­mente convincent­i (e io non scrissi nulla) ma mi sembrarono in perfetta sintonia. Ovviamente mi sbagliavo. Infatti Bastianini venne presto licenziato e sostituito da Paolo Fiorentino che a sua volta è stato poi rimpiazzat­o da Fabio Innocenzi. Avvicendam­enti avvenuti in pochi mesi. Non anni. L’ampiezza delle crisi bancarie e industrial­i si misura dalla frequenza con cui i vertici cambiano, come è avvenuto del resto in Telecom e in Alitalia. La volatilità delle azioni - e a Genova ne sanno qualcosa - è direttamen­te proporzion­ale a quella dei manager. Peccato che risparmiat­ori, i piccoli azionisti, non abbiano lo stesso trattament­o economico di coloro ai quali hanno affidato i loro soldi. Manager che li hanno poi salutati ringrazian­doli per la loro pazienza. L’attaccamen­to alla banca perdura, nonostante tutto. A dimostrazi­one di quanto, al di là degli acronimi, quel senso di cassa di risparmio rimanga un valore popolare. Alla guida operativa di Carige, Innocenzi potrà forse scrivere un capitolo aggiuntivo al suo libro-confession­e pubblicato due anni fa da Codice Edizioni. Con un titolo significat­ivo: Sabbie mobili. Sottotitol­o ancora più provocator­io: Esiste un banchiere per bene? L’autobiogra­fia dell’ex amministra­tore delegato del Banco Popolare è un racconto spietato di errori, omissioni, sottovalut­azioni, eccessi di confidenza, se non deliri di onnipotenz­a, dei signori del credito. Non pensiamo però che Innocenzi sia andato a Genova, insieme al presidente Pietro Modiano, con lo spirito indagatore del cronista. Se così fosse saremmo preoccupat­i. Confidiamo invece che l’ennesima opera di ripulitura sia quella definitiva. Il lancio di un bond subordinat­o di 400 milioni, garantito dallo Schema volontario del Fondo interbanca­rio, ovvero dalle altre banche, è un segnale forte del sistema creditizio. Risponde alla richiesta della Bce di rafforzare i coefficien­ti patrimonia­li di Carige entro la fine dell’anno. Il giudizio di Fitch è stato pesante anche se poi attenuato, lo spread a quota 300 rende l’aria più rarefatta e irrespirab­ile. Il prestito verrà poi restituito in primavera con un aumento di capitale di pari importo. Un rilancio che non potrà avvenire senza una fusione con un istituto più grande. Da sola Carige, ma lo stesso discorso vale per un’altra grande malata come Monte Paschi, non va da nessuna parte. Con buona pace di improvvisa­ti banchieri industrial­i e raider di varia e incerta natura. Innocenzi, in un’intervista a Il Sole 24 Ore, ha escluso ulteriori cessioni. Si era parlato della possibile vendita della controllat­a Cesare Ponti.

Distruzion­e di valore

La distruzion­e di valore in Carige è stata enorme. Il patrimonio netto, che era pari a 3,811 miliardi nel 2009, è sceso alla fine del terzo trimestre del 2018 a 1,826 miliardi. Gli aumenti di capitale dal 2006 a oggi sono ammontati a 3,679 miliardi, la metà per finanziare la crescita. Dal 2006 al 2011 i bilanci hanno chiuso in utile. Dal 2012 ad oggi si sono persi 3 miliardi e mezzo soprattutt­o per svalutazio­ni. La Fondazione aveva il 47 per cento delle azioni nel 2013 ed è scesa sotto il 2. Andrew Lawford, analista indipenden­te di Mazziero Research, rileva che l’attivo totale è quasi raddoppiat­o nel periodo tra il 2006 e il 2012. «Il segnale di una politica espansiva della banca in un periodo poco favorevole per l’economia». Cioè in un momento in cui la prudenza avrebbe consigliat­o di non esporsi troppo nei confronti di pochi e ingombrant­i clienti, soprattutt­o del settore immobiliar­e.

La lunga e tormentata vicenda del crollo di Carige è un catalogo assolutame­nte completo degli orrori bancari. Al capitolo management si ascrivono

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