L’intreccio tra numeri sbagliati e l’esempio della Brexit
Il bisogno delle alleanze: la lezione che sui colli romani si fa fatica a imparare
Se Di Maio e Salvini avessero studiato meglio i negoziati per la Brexit, forse non avrebbero commesso gli errori che soltanto ora, e molto cautamente, cominciano a riconoscere. Il lungo braccio di ferro tra il governo britannico e la Commissione di Bruxelles si è sempre basato sul convincimento di Londra che prima o poi la Ue avrebbe ceduto, che per avere concessioni bisognava insistere e non fare passi indietro. Ma la realtà era diversa (o così sembra, perché mentre scriviamo l’accordo è ancora in bilico) : la priorità dell’europa era di non dare il cattivo esempio agli altri soci, di non far credere a questo o a quel Paese che domani avrebbe potuto fare come la Gran Bretagna pagando un prezzo modesto. No, se vorrà un accordo Londra pagherà un prezzo alto perché non ha capito quale era la linea rossa di Bruxelles. Ebbene, nell’italia di oggi accade qualcosa di analogo. Il governo gialloverde lancia la sfida della Legge Finanziaria con numeri ispirati unicamente dalla propaganda elettorale, ridicolizza le critiche di quelle istituzioni europee che «a maggio saranno spazzate via» (errore, a maggio si vota per il Parlamento ma la nuova Commissione nascerà verso fine 2019) , dichiara come un sol uomo che non arretrerà, respinge le censure operative di Bruxelles, e quale è il risultato? Lo stesso inizialmente raccolto da Theresa May. Perché davanti al decisionismo «eversivo» del governo nazional-populista italiano la priorità della Ue è difendere le regole, evitare che in futuro altri possano fare come Roma (anche se qualcuno lo ha fatto in passato, ma senza tanto chiasso) . E così tutti, ma proprio tutti, sposano oggi una ortodossia fino a ieri mal vista, e isolano l’italia dentro e fuori dall’eurogruppo.
L’errore, allora, non è soltanto economico e finanziario, non nasce soltanto da conteggi sbagliati o comunque contestati come nel caso di Tito Boeri e della sostenibilità nel tempo delle pensioni postfornero. Diventa piuttosto un errore strategico, una clamorosa inesperienza su come vanno le cose in Europa, sulla necessità di dialogare per affermare i propri interessi nazionali, sulle alleanze da costruire perché senza di loro a Bruxelles non si va da nessuna parte. Forse, e ripeto forse, nella nebbia che ci accomuna alla Gran Bretagna (vale anche per noi la vecchia barzelletta su «nebbia sulla Manica, l’europa è isolata» ) comincia a fare capolino qualche timido spiraglio di luce. Si comincia, forse, a capire che bisogna sì salvare la faccia sul fronte interno ma anche fare qualche concessione che consenta a Bruxelles di non trasformare in assedio l’isolamento dell’italia. Si riflette, forse, sulla «nostra» linea rossa europea che prevede il necessario rispetto di regole da tutti liberamente sottoscritte, che si possono cambiare (se si trovano alleati sufficienti) ma non si possono tradire riversando anche sugli altri soci le conseguenze della diserzione. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti ha cominciato col chiedere, qualche tempo fa, un abbassamento dei toni. Forse, tenterà ora di andare oltre nella sua opera di convincimento Se non ci riuscirà, la risposta franco-tedesca (ebbene sì, sono ancora in tolda e continueranno ad esserlo) è già pronta: le nuove risorse dell’eurogruppo andranno a chi osserva le regole. A nessun altro. Fventurini500@gmail.com