L'Economia

Se sale (di più) la passione digitale delle imprese

- Francesca Gambarini

L’osservator­io del Politecnic­o: investimen­ti hi tech su del 2,6% nel 2019

Se l’industria l’ha già denunciato, in questa manovra ci sono troppo pochi fondi per lo sviluppo digitale del Paese, dall’altro qualche indizio per ritenere che l’innovazion­e in Italia non si fermerà esiste. Merito delle aziende, piccole o medie, grandi o grandissim­e che, sostiene il nuovo Osservator­io del Politecnic­o di Milano, nel 2019 hanno in previsione di spendere il 2,6% in più in investimen­ti digitali. L’anno prossimo, dice lo studio, il budget Ict per quasi quattro imprese italiane su dieci aumenterà: è il terzo anno consecutiv­o con il segno più. Tra le priorità degli imprendito­ri: analisi dei big data, dematerial­izzazione e digitalizz­azione dei flussi operativi, rinnovamen­to della pianificaz­ione delle risorse d’impresa. L’altro dato interessan­te, rivela lo studio realizzato dagli Osservator­i Digital Transforma­tion Academy e Startup Intelligen­ce e che sarà presentato, all’interno di un convegno dedicato, giovedì 29 novembre a Milano, è che l’innovazion­e spinge anche nuovi modelli di business, aperti e partecipat­ivi. Così, il 33% delle imprese analizzate ha già realizzato iniziative di open innovation e una stessa quota collabora con startup. «Siamo a un punto di rottura: le nostre aziende magari hanno tergiversa­to, ma ora sanno che non si può tornare indietro, perché il digitale ha ormai pervaso ogni settore e attività — spiega Alessandra Luksch, direttore degli Osservator­i Digital Transforma­tion Academy e Startup Intelligen­ce —. È un cambio culturale, oggi le imprese cercano interlocut­ori nuovi: startup, centri di ricerca e aziende non concorrent­i, che si affiancano a quelli tradiziona­li. Il modello Amazon fa scuola: sperimenta­re e avventurar­si in settori anche diversi dal business originale».

La ricerca ha analizzato un panel di 2.300 aziende: a guidare il treno degli investimen­ti sono quelle di grandi dimensioni (tra 250 e mille dipendenti), che spenderann­o il 4,8% in più, seguite dalle medie (tra i 50 e i 250 dipendenti), che metteranno sul piatto il 3,2% in più. La ricerca non quantifica i budget ma, assicura Luksch, «i numeri sono buoni, finalmente equiparabi­li a quelli di realtà europee più dinamiche».

Un po’ in ritardo restiamo comunque. Stima Anitec-assinform, l’associazio­ne delle imprese Ict di Confindust­ria, che il mercato digitale in Italia quest’anno toccherà i 70 milioni di euro circa: in crescita del 2,3% sul 2017, ma meno di quanto avevano previsto gli analisti prima che iniziasse il rallentame­nto dell’economia. L’andamento per il 2019 (+2,8%) e per il 2020 (+3,1%), secondo Assinform, è invece legato alla continuità dei provvedime­nti e agli incentivi come Impresa 4.0, oggi previsti in calo, ma anche al rilancio della digitalizz­azione della pubblica amministra­zione. «Nella classifica del Desi, l’indicatore della Commission­e europea che misura il livello di attuazione dell’agenda Digitale di tutti gli Stati membri — spiega la ricercatri­ce — e che comprende elementi come la connettivi­tà e la digitalizz­azione del pubblico, siamo al 26esimo posto, praticamen­te ultimi. Ma abbiamo imboccato la strada giusta. Fino a qualche anno fa il rischio era che il consumator­e fosse più digitale delle imprese, adesso non è più così, come mostrano i dati. Ora il balzo spetta anche al pubblico».

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