L'Economia

MR STARBUCKS LA SIRENA DEL CAFFÈ CANTA SUI BINARI

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La mattina dell’apertura il terzo cliente ha staccato uno scontrino da mille euro. «Ha comprato varie cassette di tazze con il marchio Starbucks Milano. I turisti acquistano oggetti da regalare a casa. Ma c’è anche un mercato molto vasto per i collezioni­sti delle cup con la Sirena. Gli abbiamo offerto un caffè ma non l’ha voluto. A volte mi domando se in Italia venderemo, più ancora che un caffè, un marchio». Roberto Masi, 54 anni, è l’amministra­tore delegato che Starbucks ha scelto per guidare lo sbarco in Italia, il 78esimo Paese nella mappa del gruppo di Seattle. Il fondatore Howard Schultz ci ha messo oltre trent’anni per preparare l’arrivo. Ma adesso la Penisola è diventata uno dei fronti più promettent­i per la crescita è la Cina, il Paese dove il gruppo del caffé americano apre mille negozi l’anno. Ma per Schultz resta il «sogno» coltivato per una vita.

Dopo l’apertura della Reserve Roastery di Piazza Cordusio a Milano, un progetto guidato direttamen­te da Seattle, si apre dunque la fase dello sbarco. Qui piano è affidato ad Antonio Percassi e al figlio Matteo, gli imprendito­ri bergamasch­i dell’immobiliar­e che hanno permesso l’arrivo di Starbucks in Italia e che in passato hanno aperto le porte a Zara, Nike e Victoria’s Secret. E hanno reso possibile lo sviluppo dei negozi Benetton. «La formula finale forse dobbiamo ancora trovarla — dice Masi — perché il progetto italiano è un cambio di formula culturale. In media negli Stati Uniti un cliente si reca da due a tre volte la settimana in uno dei nostri locali. Ora bisogna convincere gli italiani a replicare».

I rischi

Qual è l’errore più grande da evitare? «Non sbagliare a fare caffé e cappuccini, quelli tradiziona­li, che a livello internazio­nale di fatto non vengono quasi mai richiesti. In Italia abbiamo introdotto anche le tazze di ceramica che all’estero non esistono. Poi c’è stato il tema del prezzo. Abbiamo dovuto spiegare a Starbucks che qui non si può pagare troppo un caffé, anche se il costo deve riflettere il valore del marchio. Schultz ci ha aiutato ad arbitrare». Non temete la concorrenz­a dei gruppi italiani del caffé? «Gli unici nostri concorrent­i sono i bar», dice il manager.

Masi il retail lo conosce bene. È stato parte del team che ha portato l’insegna

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