MANGIARE BENE E SPRECARE MENO IL PRANZO (SOSTENIBILE) È SERVITO
L’italia è al quarto posto del Food Sustainability Index, per la qualità della sua filiera produttiva, le capacità di recupero del cibo e la gestione delle fonti idriche. Ma la strada è lunga. Ognuno di noi getta ancora 145 kg di pietanze all’anno...
Ogni anno nel mondo vengono buttati 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti. Uno spreco che in termini economici si traduce in 750 miliardi di euro gettati al vento: quasi la metà del Pil dell’italia del 2016.
Se si tiene conto anche dei costi legati all’impatto ambientale e sociale della produzione di cibo non consumato, spiega Ludovica Principato, ricercatrice della Fondazione Barilla Center for Food Nutrition e dell’università Roma Tre — l’organizzazione promotrice del 9° Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione, in programma a Milano il 27 e 28 novembre: «la cifra sale, secondo le stime della Fao, a 2,6 trilioni di dollari».lo spreco del cibo contribuisce anche all’aumento dell’inquinamento atmosferico: il gas metano prodotto dagli alimenti che finisce nelle discariche è infatti 21 volte più dannoso dell’anidride carbonica.
Benché sprechiamo una quantità immensa di alimenti, sul pianeta ci sono ancora oltre 815 milioni le persone che soffrono di denutrizione cronica, più del 10% della popolazione mondiale. E il paradosso è che per sfamarle basterebbe un quarto del cibo buttato via ogni anno.
Da dove cominciare per rimettere in equilibrio la situazione? Un ruolo importante dovrebbero giocarlo politiche più responsabili da parte delle istituzioni internazionali e dei governi delle singole nazioni.
Secondo il Food Sustainability Index, lo strumento creato da Fondazione Barilla e The Economist Intelligence Unit per analizzare le performance dei Paesi (dai 34 stati mappati nel 2017 oggi sono 67) in base alla sostenibilità del loro sistema alimentare, Francia, Germania e Spagna sono risultati quelli in cui attualmente si spreca oggi meno cibo; in fondo alla classifica si posizionano Indonesia, Libano ed Emirati Arabi. La Francia si distingue nel mondo per aver adottato politiche concrete per la riduzione dello spreco sia a livello industriale sia domestico, così come per aver messo in atto iniziative rivolte all’agricoltura urbana limitando l’utilizzo di prodotti chimici come fertilizzanti e pesticidi.
Da dove partire
E l’italia? Siamo sul quarto gradino del Food Sustainability Index. Il merito, sottolinea il report di Fondazione Barilla, va da un lato alle politiche messe in campo dal legislatore per ridurre gli sprechi a livello industriale, come avvenuto con la Legge Gadda, che ha semplificato le procedure per le donazioni degli alimenti invenduti puntando al recupero di cibo da donare alle persone più povere. Dall’altro all’impegno della filiera alimentare, capace di passare dal 3,58% del cibo gettato rispetto a quello prodotto del 2016 al 2,3% del 2017, superando così le performance della stessa catena in Germania e Giappone. Il nostro Paese si distingue anche per la disponibilità e la gestione dell’acqua. C’è però ancora parecchia strada da fare, soprattutto sul fronte dei consumi. Ogni anno ciascuno di noi butta nella spazzatura circa 145 kg di cibo, molto più di quanto una famiglia di tre persone potrebbe consumare in media in dodici mesi. Il problema riguarda inoltre il consumo di plastica, in larga parte imputabile al mondo dell’alimentare, per il packaging dei prodotti.
Economia in cerchio
L’adozione di politiche responsabili in tema di riduzione degli sprechi alimentari contribuirebbe poi a raggiungere gran parte dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile promossi dall’agenda 2030 delle Nazioni Unite. «Soffermarci sul modo in cui produciamo e consumiamo il cibo è fondamentale per preservare il pianeta e migliorare le condizioni di vita della popolazione mondiale — sottolinea
Il problema riguarda anche l’impatto della plastica, con cui si realizza gran parte del packaging degli alimenti
Principato —. Diminuire gli sprechi alimentari permette di lottare contro la povertà e la fame nel mondo, agevola la sostenibilità dei centri urbani e contribuisce alla diffusione dell’economia circolare».
E non è tutto perché, «se le aziende del settore alimentare aumentassero gli investimenti per le infrastrutture e gli impianti di stoccaggio nei mercati più poveri, non solo metterebbero in atto politiche di riduzione degli sprechi di cibo ma sosterrebbero anche lo sviluppo economico di queste aree, diminuendo così le disuguaglianze», conclude Principato.