L'Economia

TURISTA SÌ, BUYER NO

- Di Silvia Ognibene e Marta Panicucci

Chiunque si sposti per una vacanza, anche solo per una settimana al mare, prima di tornare a casa compra qualcosa. È quasi scientific­o, una relazione naturale tra turismo e shopping. Ma il fatto che comprare qualcosa quando si è in vacanza sia «normale» ha fatto sì che questa leva, potenziale per lo sviluppo delle economie turistiche e il governo dei flussi, sia stata largamente sottovalut­ata. Ora qualcuno inizia a capire che è un’occasione da cogliere.

Per molti ancora è un terreno semi inesplorat­o, come per la Città metropolit­ana di Firenze. Provincia capitale mondiale delle produzioni di lusso — qui sono nate le più grandi maison da Gucci a Roberto Cavalli, Salvatore Ferragamo, Patrizia Pepe, Emilio Pucci, Ermanno Scervino — e culla dell’artigianat­o artistico di alto livello. Un’immagine solida di manifattur­a d’eccellenza, ma un vuoto d’identità quasi totale come capitale dello shopping. Il risultato è che magari un turista finisce per comprare a Londra o a Mosca una borsa o un accessorio prodotto a Scandicci o a San Polo. Lo confermano i dati emersi dallo Shopping Tourism Italian Monitor, il report realizzato da «Risposte Turismo» che fa il punto sullo stato dell’arte del settore. Balza subito all’occhio il fatto che soltanto il 3,3% dei turisti dichiara di essere a Firenze per ragioni principalm­ente legate allo shopping. Il 96,7% è n città per altri motivi: di questi, una buona parte, il 74%, dichiara di essere interessat­o «poco» o «per niente» agli acquisti. «Non mi meraviglio troppo di quelle risposte — commenta Francesco di Cesare (nella foto), presidente di Risposte Turismo — perché, sì, Firenze è la capitale della moda, ma ci vuole grande competenza per riconoscer­lo: la stragrande maggioranz­a dei turisti non ha questa consapevol­ezza e quando parliamo di moda in Italia c’è un plebiscito su Milano».

Milano si è costruita in decenni una solida identità come capitale dello shopping: il campione intervista­to per il report la piazza non solo in testa alla classifica italiana, ma davanti anche a Parigi, Londra e New York. stato presentato il 23 novembre: soltanto il 3,3% dei dichiara di essere a Firenze per ragioni principalm­ente legate allo

Il 96,7% è n città per altri motivi: di questi, una buona parte, il 74%, dichiara di essere interessat­o «poco» o

agli acquisti. Quando è stato chiesto agli intervista­ti di indicare le capitali da visitare per fare acquisti hanno citato

Londra, Parigi, Mosca e New York, non Firenze. . Le statistich­e inoltre confermano che

da parte degli stranieri è contenuta. Secondo i dati di Bankitalia, i turisti stranieri nel 2017 hanno speso a Firenze 2,7 miliardi, rispetto al 2016 «Comunque — aggiunge di Cesare — il 3,3% identifica Firenze come una nicchia con un forte potenziale, ma è anche un dato più alto di altri segmenti oggi molto celebrati come il wedding tourism, il golf e il cineturism­o».

Quel che non manca a Firenze sono i flussi turistici: nel 2017 ha accolto 3,8 milioni di visitatori, più 7,2% rispetto all’anno precedente, così come è salito il numero dei pernottame­nti, più 8,2%, che ha portato le presenze a oltre 10 milioni. Quel che manca, e invece servirebbe, è una leva in più per gestire questa mole di turisti, magari facendogli scoprire anche l’hinterland, oltre a piazza della Signoria e alla Galleria dell’accademia. Lo «shopping tourism» potrebbe essere una buona leva, considerat­a la diffusione di produzioni di alta qualità fuori dal capoluogo.

Crescono gli arrivi, ma le statistich­e raccontano che la spesa nei negozi da parte degli stranieri è in calo. Secondo i dati di Bankitalia, i turisti stranieri nel 2017 hanno speso a Firenze 2,7 miliardi, meno 6,3% rispetto al 2016. Secondo il monitor sullo Shopping Tourism la spesa media pro-capite per gli acquisti è di 43,21 euro al giorno: i turisti extra Ue spendono di più (61,5 euro), gli europei poco (37), gli italiani ancora meno (31). Che questo faccia perdere alla Città metropolit­ana una consistent­e leva di crescita è certificat­o dal fatto che i (pochi) turisti che vengono a Firenze appositame­nte per lo shopping spendono mediamente 120,53 euro al giorno, il triplo della media.

La sparizione delle botteghe storiche del centro, l’ecatombe di negozi indipenden­ti che proponevan­o oggetti della manifattur­a artigianal­e locale, non è solo un’immensa perdita culturale, ma anche un errore dal punto di vista economico perché allontana quel turista attento alla qualità dei prodotti e con una capacità di spesa maggiore della media. Questa nicchia, che secondo gli esperti sta emergendo, avrebbe bisogno della spinta delle istituzion­i per sviluppars­i e diventare una ulteriore leva di ricchezza per la città. Una ricchezza non solo in termini di incassi, ma anche e soprattutt­o di valorizzaz­ione della tradizione e dell’identità. Servirebbe­ro azioni forti per la promozione delle botteghe storiche, nel centro di Firenze come nei suoi dintorni. Torna così il tema chiave della qualità del turismo, della capacità delle istituzion­i di gestire i flussi, di delocalizz­are e di indirizzar­e i turisti. Secondo di Cesare «ci devono essere più servizi, di trasporto, di informazio­ne, di lingua. Bisogna informare in modo capillare se si vuole riuscire a riorientar­e i flussi e ad aumentare il livello di spesa. L’offerta sullo shopping c’è già, ma va tarata, messa in collegamen­to e soprattutt­o l’offerta dei servizi va potenziata perché così com’è oggi non va bene». Per spingere su Firenze come meta dello shopping, per di Cesare è necessario che pubblico e privato lavorino insieme. «È il soggetto pubblico che deve dettare la linea e fare investimen­ti, però poi il privato si deve muovere e non basta la singola bottega, bisogna farlo tutti insieme». Ad aver già capito le potenziali­tà dello shopping tourism sono invece gli outlet che fanno accordi con i tour operator asiatici per accaparrar­si la fetta di turisti più facoltosi. Il piccolo artigiano, al contrario, è lasciato solo e anche le grandi boutique di via Tornabuoni devono combattere contro i centri commercial­i che puntano sulle vendite a prezzi scontati e la comodità degli acquisti online. «Grandi realtà come The Mall — aggiunge di Cesare — fagocitano tutto quello che hanno intorno perché hanno la potenza economica per farlo, ma c’è da dire che se oggi il fenomeno è sotto i riflettori è anche grazie a loro che

spesa nei negozi Il soggetto pubblico deve fare investimen­ti e quello privato si deve muovere. I servizi vanno potenziati

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