«IL MATTONE DI MILANO? FA CONCORRENZA A BERLINO E LONDRA»
Ora il gruppo americano Hines punta sulle città-stato, «più trasparenti ed efficienti». In testa, dice il ceo Mario Abbadessa, il capoluogo lombardo, dove vuole investire altri 3 miliardi fra Sesto, l’ex Trotto/san Siro e l’area Bocconi. «Solo affitti e c
Paradossi. Mario Abbadessa, ex bocconiano, è il più giovane (35 anni) «direttore anziano» (senior director) di Hines, il gruppo internazionale immobiliare (4 mila dipendenti). Ma ha un concetto antico, platonico in testa, da tradurre in pratica: la città Stato. E in Italia intende Milano, all’estero luoghi come San Francisco, New York, Dublino, San Paolo. È convogliandole su Milano — la «quindicesima città nella classifica mondiale per nostra allocazione del capitale, la quarta in Europa dopo Berlino, Dublino e Londra» — che Abbadessa conta di raccogliere risorse da investire nel mattone italiano dai fondi sovrani e dalla casse professionali straniere o dai fondi pensione. Perché? Semplicemente perché qui «c’è trasparenza, un’amministrazione competente», si lavora spediti. E gli investitori si fidano. Anche perché il modello di Hines è quello dell’affitto, «intergenerazionale e a prezzi accessibili», sul lungo termine. Non più della vendita.
Vuole dire generazione di cassa costante e pochi rischi per chi decide di investire, là dove c’è domanda, in studentati, residenze non medicali-comunità per anziani (con «presidio medico, spazi per gli spostamenti facili»), alloggi per genitori separati. Tanti appartamenti, per fare economie di scala. Sembra social housing, edilizia sociale stile Fondazione Cariplo? No, qui si vuole guadagnare, certo. Ma «è edilizia privata accessibile». E comunque Giuseppe Guzzetti, ex presidente della Fondazione, «è stato il pioniere». Ambizioni alte. «Hines sarà la locomotiva del futuro sviluppo immobiliare di Milano», dice Abbadessa. Che ha 3 miliardi da investire sul capoluogo lombardo entro il 2023, oltre ai due già usciti dal gruppo «di cui 1,8 a Milano» (il resto a Firenze) dal 2015, quando lui è diventato responsabile di tutte le attività del gruppo in Italia. «Saranno per metà soldi liquidi, per metà a leva», dice, cioè a prestito dalle banche. «Lavoriamo con i fondi sovrani orientali, come quello di Hong Kong, ed europei,
più che arabi».
Giovedì scorso Abbadesssa ha chiuso l’acquisto degli spazi Dolce & Gabbana in via della Spiga 26, valore 250 milioni, progetto «con otto nove negozi» con il fondo pensione olandese Pggm (206 miliardi di beni gestiti). Ha appena presentato il rilancio di piazza Cordusio con Generali e Fosun, con il palazzo dove andrà Uniqlo. Ma più che sul retail è sul residenziale che Hines si sta concentrando per uno «sviluppo organico»della città.
I tre progetti
In questi giorni Abbadessa sta lavorando, nel suo ufficio di via Broletto, a tre mega piani: Milanosesto, l’ex Trotto a San Siro e l’area Bocconi fra le vie Giovenale e Col Moschin, più l’ex Consorzio agrario. In futuro, spera nel Politecnico alla Bovisa. È lui che sta conversando con Giuseppe Bonomi, presidente di Milanosesto (di cui Hines dovrebbe diventare advisor industriale per Intesa e diventare azionista) per riqualificare l’area Falck.
«Entro l’estate dovremmo presentare il piano industriale per Milanosesto e da luglio iniziare i lavori, un milione di metri quadri edificabili su 1,5 — dice —. Dopo che Intesa ci avrà incaricato come project e advisor strategist andremo a spiegare l’operazione ai fondi. Faremo tutto, tranne la Città della salute e il centro commerciale, dove si dovrà vedere se il gruppo arabo Fawaz Alhokai eserciterà l’opzione a fabbricare o no». E cosa costruirà Hines? «Molti uffici, ci sarà il recupero dell’archeologia industriale, avremo incubatori inseriti in un contesto, come abbiamo fatto a Dublino con il complesso Cherry Wood. Si procederà per fasi, il primo nucleo potrebbe essere pronto in cinque-sette anni». Milanosesto catalizzerà la gran parte del denaro: «Investiremo in sviluppo, qui e al Trotto, il 60-70% degli 1,5 miliardi di nuova liquidità stanziati, il resto sarà per acquistare edifici esistenti». All’area Trotto Hines prevede circa 400 appartamenti da dare in affitto ad anziani e famiglie, «110 euro al metro quadro tutto compreso», persino «due baby sitter ogni 30 appartamenti». Sulla firma del mandato da parte di Intesa per Milanosesto il gruppo conta, e intanto guarda al resto. Sul Politecnico in zona Bovisa, dove addirittura la Tsinghua University di Pechino ha rilevato un’area, «abbiamo i radar accesi», dice Abbadessa. E vicino alla Bocconi, dove c’è un combattivo comitato di zona, si accelera sullo studentato in costruzione in Giovenale-col Moschin. «Abbiamo rivisto il progetto per renderlo più integrato con il contesto. Inizieremo in luglio, dovremmo essere pronti in due anni: 150 milioni d’investimento per 1.200 posti letto a prezzi calmierati, da 500 euro al mese. Piantumeremo tutta la via Col Moschin, rifaremo la pista ciclabile, riorganizzaremo i parcheggi, costruiremo area bimbi e area cani». Ma la novità di questo gruppo americano, che da quando costruì i grattacieli di Milano Porta Nuova con Manfredi Catella (ora in Coima), poi venduti al Qatar, è diventato sempre più regista che accompagnatore degli investimenti, è l’approccio. Sugli affitti, certo. Soprattutto, però, sulla città Stato.
ll nuovo corso
«Saremo la locomotiva dello sviluppo immobiliare sotto la Madonnina. Qui la disoccupazione è al 5%, i fondi si fidano» In alto, Mario Abbadessa, 35 anni, da marzo senior managing director di Hines Italia dov‘è dal 2010. Qui sopra, la copertina del 29 aprile con Manfredi Catella, fondatore e ceo di Coima Res, ex Hines; e l’intervista del 14 giugno a Giuseppe Bonomi, presidente di Milanosesto
«Abbiamo cambiato linea da novembre — dice Abbadessa —. Prima avevamo un sistema geografico, impostato sui Paesi, ora è basato sulle città. C’è sempre più disconnessione tra le città metropolitane e il resto del territorio. E Milano, nella corrente della megacity che trainano il turismo come Los Angeles, New York, San Paolo, è l’esempio lampante. Il Paese intorno è complicato, faticoso. Ma la città è molto trasparente, efficiente, l’amministrazione è preparata. Questo nuovo approccio sposta capitali importanti». Hines ha uffici in 108 città del mondo e se Milano è quindicesima per allocazione del denaro, dice Abbadessa, è per i suoi parametri: «L’italia ha un debito pubblico pari al 130% del Pil, Milano e la Lombardia pari al 45% del risparmio privato. Qui la ricchezza pro capite è di 32 mila euro contro i 15 mila del Paese. Il tasso di disoccupazione è il 5%, un terzo dell’italia. Non ci sono altre città così nel Paese».
Situazione nota, vero. Lo è meno la svolta «cittadina» degli investitori del mattone. «Hines gestisce nel mondo 110 miliardi — dice Abbadessa —. In ciascuna delle prime 20 città della nostra classifica metteremo a disposizione una cifra pari al 5-10% di questa somma». E però: «Noi siamo investitori industriali, abbiamo una sede in tutti i 108 Paesi in cui operiamo e trattiamo solo immobili, non come Blackstone e altri fondi di private equity». A riprova, il manager cita l’hines European Value Fund, «nostra caratteristica»: un fondo che «ha raccolto 700 milioni da decine di investitori asiatici, americani ed europei». Prudenti. Come le casse di previdenza bavaresi e degli odontoiatri di Berlino. Nella Milano del sindaco Giuseppe Sala, evidentemente, rischio zero o quasi.