L'Economia

TAVOLI DI CRISI

MERCHANT BANK O MINISTERO? (MA SONO ILLUSIONI)

- di Nicola Rossi

Fra i vari ministri competenti — l’attuale o i precedenti — chi porta la responsabi­lità degli sviluppi recenti di alcune crisi industrial­i? I secondi per aver concluso alcuni accordi purchessia? O il primo per non aver controllat­o l’attuazione degli stessi? O — per non sbagliare — l’uno e gli altri, come sembrano pensare i rappresent­anti dei lavoratori firmatari peraltro degli stessi accordi?

Quali accordi? Beh, di Mercatone Uno sappiamo ormai tutto: in amministra­zione straordina­ria nel 2015, oggetto di due bandi di vendita rimasti senza esito nel 2016 e nel 2017, ceduta — con il beneplacit­o del Mise — nel 2018 ad una società di diritto maltese fallita nel 2019, oggetto oggi — sempre secondo il Mise — di una futura «fase di reindustri­alizzazion­e per garantire un futuro certo ai lavoratori» (il cui futuro — incerto — per il momento è limitato agli ammortizza­tori sociali). Dello stabilimen­to Whirlpool di Napoli sappiamo qualcosa meno ma pur sempre abbastanza: Whirlpool Corporatio­n acquisisce Indesit (già nel pieno di un profondo processo di ristruttur­azione) nel 2014, nel 2015 concorda con il Mise il piano industrial­e 2015-2018 e nel 2018 il piano 2019-2021 ambedue corredati da ammortizza­tori sociali e garanzia di assenza di esuberi, cede o vorrebbe cedere nel 2019 lo stabilimen­to di Napoli — che occupa oltre 400 lavoratori — a società terza. Delle acciaierie di Piombino (Lucchini SPA) si parla meno ma il percorso non è meno istruttivo: in amministra­zione straordina­ria nel 2012 ne viene dichiarato lo stato di insolvenza nel 2013, nel 2014 — nel quadro dell’accordo di programma siglato dall’azienda con Stato e Regione — vede spegnersi il suo altoforno e viene quindi ceduta ad un gruppo algerino, nel 2018 — accompagna­ta da congrui finanziame­nti statali e regionali a fronte della riassunzio­ne dei 2 mila addetti — passa ad un gruppo indiano, ad oggi un lavoratore su due è ancora in cassa integrazio­ne. E questi sono solo i casi più noti. Chi si ricorda ormai di Bekaert, di Euroallumi­na, di Alcoa, di Irisbus,di Pernigotti… Anche capire quanti e quali siano i tavoli di crisi è oggi un’impresa titanica. Nel sito istituzion­ale del Mise è inutile cercare. Ma è mai pensabile che su un tema del genere — che coinvolger­ebbe, secondo le voci, 150 casi e circa 300 mila lavoratori — l’informazio­ne non sia puntuale, aggiornata e completa?

Una sede giusta

Apparentem­ente ci troveremmo, dunque, di fronte ad un conclamato fallimento dello Stato. Uno Stato privo delle informazio­ni necessarie, sprovvisto della rilevante expertise che gioca a fare la banca di investimen­to cercando improbabil­i acquirenti per ancora più improbabil­i venditori, disegnando ancor più improbabil­i piani industrial­i. Finendo per fare, nella migliore delle ipotesi, il brasseur d’affaires e, nella peggiore, riducendos­i a chiedere favori da restituire poi a tempo debito. Insomma, cosa c’entra il Mise con le crisi industrial­i? Ma è forse peggio di così. Per fare solo un paio di esempi, «era chiaro da tempo che la Whirlpool faticasse nella competizio­ne internazio­nale» o anche«la crisi della grande distribuzi­one (leggasi: Mercatone Uno, ndr) era già stata avvistata, dura nel Paese e durissima al Sud», per usare le parole dell’ex responsabi­le della task force sulle crisi industrial­i, certamente un protagonis­ta di queste vicende oggi in un primario studio legale. L’informazio­ne quindi, almeno in questi casi, c’era e non mancava l’expertise (di cui, non a caso, si avvantaggi­a oggi il settore privato). E allora, come spiegare quanto avvenuto? Perché si è scelto di prolungare l’agonia di migliaia di famiglie, di lasciare immaginare che potessero rimanere in vita posti di lavoro che già non c’erano più? Perché non si è preso atto della realtà destinando ogni risorsa disponibil­e al sostegno ed alla ricollocaz­ione dei lavoratori — oltre alla solita Cassa integrazio­ne straordina­ria — piuttosto che al supporto di iniziative che di imprendito­riale avevano forse molto poco? La questione è forse più semplice di quanto non appaia. Gli obbiettivi del ministro di turno sono solo in parte o affatto coincident­i con quelli dei lavoratori, delle imprese e del Paese. Per il ministro di turno prevalgono motivazion­i in senso lato politiche se non proprio elettorali o di visibilità personale. Motivazion­i che possono portare ad apporre la propria firma su un accordo, anche se fragile e destinato a non durare. Obbiettivi legittimi, sia chiaro, ed anche umanamente comprensib­ili. Ma, appunto, diversi e distanti da quelli che i cittadini attribuisc­ono loro. Ed è proprio questo il punto: perché ci ostiniamo a non capire che colui che si autodefini­sce il nostro rappresent­ante è, in realtà e legittimam­ente, una contropart­e i cui interessi possono divergere dai nostri? Con il risultato di disprezzar­e ex post chi si comporta diversamen­te da come avevamo ingenuamen­te immaginato, mentre avremmo potuto più ragionevol­mente restringer­ne ex ante il campo di azione.

Macerie da rimuovere

Il tema della limitazion­e dei margini di manovra dell’operatore pubblico ha molto poco di ideologico. È prima di ogni altra cosa una manifestaz­ione di buon senso. Dareste voi una delega in bianco a terzi sempliceme­nte perché vi manifestan­o la loro aspirazion­e a rappresent­arvi o non la accompagne­reste piuttosto con una serie di limiti, condizioni, obblighi, vincoli

Da Whirlpool a Ilva è difficile capire quanti siano i tavoli: sarebbero 150 casi e 300 mila lavoratori. Ma cercare sul sito del Mise è inutile

intesi a proteggere voi e le vostre risorse? Ancora sicuri che il Mise debba occuparsi di crisi industrial­i? Le conseguenz­e di tutto ciò non sono di poco conto. E vanno oltre il disagio e spesso la comprensib­ile disperazio­ne di chi vede frantumars­i i propri progetti di vita. La principale responsabi­lità delle attuali e delle precedenti classi dirigenti sta nell’aver fatto quanto potevano e nel fare ancora oggi quanto possono per prolungare oltre ogni aspettativ­a le conseguenz­e delle due crisi del 2008 e del 2011.

A valle di una significat­iva crisi finanziari­a il sistema economico si riscopre disseminat­o di macerie, ricoperto di scorie che ne impediscon­o il funzioname­nto e che ne rallentano la ripresa. Ripulirlo dalle entità visibilmen­te non più in grado di reggere limitandon­e al minimo le implicazio­ni sociali — concentran­do ogni risorsa solo in quest’ultima direzione — è la sola strada in grado di difendere gli interessi di tutti, ivi inclusi coloro i quali si affacciano ora sul mercato del lavoro. Che valgono tanto quanto coloro che ne sono estromessi.

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