CANTIERE FISCO FLAT TAX E CASSETTE DI SICUREZZA LE MINIRIFORME? SOLO TEMPO PERSO
Conte e il Governatore Visco hanno appena richiamato la necessità di misure ampie e organiche. Vediamo gli ingredienti per una revisione effettiva e duratura: il primo sarebbe una riserva di legge, per evitare che sia solo propaganda elettorale. Poi atten
Il Governatore della Banca d’italia e il presidente del Consiglio hanno recentemente invocato una riforma fiscale, definita da essi, rispettivamente, «ampia» (o «strutturale») e «organica». Non è difficile mettere insieme progetti su questa o quella imposta o su questa o quella fase del procedimento impositivo, così come non è difficile trovare ricette di questo e quel piatto.
Il problema è disporre anche del know how e dell’organizzazione che distinguono uno chef da un pur diligente e talentuoso cuoco casalingo. Fuor di metafora: servono anche qualche regola costituzionale e un po’ più di attenzione all’amministrane
zione. Giusto per rendere le riforme effettive e durature.
Un diritto costituzionale tributario
Una prima esigenza è presidiare la creazione delle norme tributarie. Due gli scopi. Il primo è evitare la strumentalizzazione del fisco, prima delle elezioni per raccogliere voti, promettendo meno tasse, e dopo le elezioni per raccogliere quattrini, onde mantenere la promessa di nuove spese. Il secondo è chiudere il rubinetto delle norme, rallentando almeno il flusso delle continue modifiche. Senza tali misure anche un sistema disegnato con talento e precisione sarebbe presto stravolto dall’operare congiunto di queste due piaghe della politica fiscale. Due scopi, due regole. Prima regola: qualunque abolizione o riduzione di imposte non può essere finanziata in deficit (cioè a debito), con una futura riduzione di spese, un futuro aumento di altre imposte o di gettito. In altri termini, si deve rendere evidente ai cittadini che la pressione tributaria è veramente ridotta solo quando sono ridotte le spese con essa finanziate e si deve far cessare l’emissione dei pagherò miliardari costituiti dalle clausole di salvaguardia. Basta far pagare le spese di oggi alle generazioni future, basta giochi contabili delle tre carte, basta chimere di miracolose maggiori entrate, magari da flat tax. Seconda regola: una sola legge tributaria all’anno, parallela alla legge di Bilancio, limitando i decreti-legge alla modifica di aliquote e tariffe o a casi di vera emergenza finanziaria. In un Paese in cui il governo avesse durata uguale a quelle delle Camere, la legge tributaria annuale sarebbe solo la tappa annuale di un programma di legislatura. Ma inutile illudersi: l’italia non è quel tipo di Paese.
L’intendenza seguirà
Sembra che Napoleone non abbia mai pronunciato la frase «l’intendenza seguirà», ma ciò non toglie che troppi legislatori l’abbiano presa per vera, credendo che bastasse un po’ di carta inchiostrata denominata «legge» per ottener gli effetti sperati. Una legge, invece, non è sufficiente a cambiare la realtà. Serve molto altro. È proprio nella fase di attuazione che il più delle riforme tende a perdersi, in un accavallarsi di decreti applicativi, istruzioni, interpretazioni, modelli e procedure informatiche. Un bailamme che sarebbe evitato con un semplice accorgimento: il tempo. Tempo per preparare una riforma, coinvolgendo i soggetti legittimati a dire la loro (funzionari pubblici, accademici, professionisti, organizzazioni di categoria, rappresentanti dei contribuenti). Tempo deve essere dato anche dopo l’emanaziodella legge: l’intendenza seguirà sì, purché le sia dia modo di lavorare ordinatamente; e con essa seguiranno professionisti e software house, che sono ormai il primo soggetto da interpellare se si vuole avere un’idea dei tempi di applicazione. Ma l’intendenza segue solo se c’è un’intendenza, che invece è proprio quello che stiamo perdendo, nell’ignoranza e nel silenzio, grazie all’opera instancabile di chi pensa che il Fisco sia una burocrazia come tutte le altre, di chi crede che un dirigente del fisco si seleziona solo con concorsi vecchio stile, di chi, risibilmente, afferma che i funzionari del Fisco vanno pagati poco perché così si reclutano solo «quelli-che-ci-credono». Il Fisco è invece l’amministrazione delle amministrazioni: senza il suo lavoro e i fondi che essa procura non esisterebbero tutte le altre. È il punto di contatto più sensibile del rapporto fra i cittadini e lo Stato: la conoscenza senza l’esperienza è la strada maestra per compromettere tale rapporto. È un settore estremamente tecnico, le cui conoscenze sono lautamente remunerate nel privato: come si dice negli Usa, if you pay peanuts you get monkeys. Come scriveva Einaudi, «qualunque riforma tributaria è pura ipocrisia, ciarlataneria, polvere negli occhi se non è preceduta da una riforma degli ordinamenti dei funzionari statali».
Nella giungla
Un’altra puntata è ora sul contante (le cassette di sicurezza): un nuovo intervento estemporaneo a un tasso ridicolo
Un Fisco confuso, invece, è proprio quello che sembra emergere in quest’ultimo anno. Senza porsi nessuno dei problemi sopra esposti e rimanendo lontani anche dalle soluzioni parziali, ma razionali, suggerite dal Governatore Ignazio Visco, si procede in direzione radicalmente opposta, con piccole misure sparse, confusi aggiustamenti e improvvisazioni: una botta al cuneo fiscale per finanziare il salario minimo, un condono tombale come quello cancellato in fretta e furia a ottobre e una flat tax a più aliquote, parte incongrua e in evidente crisi di identità di un’irpef ormai quadruplice.
Da ultimo, nell’ennesimo rilancio di questa interminabile partita a poker sui conti dello Stato, si ripropone l’emersione del contante, anch’essa al tasso — ormai tra il mitico e il mistico — del 15 per cento. Idea già bocciata un paio d’anni fa, quando pure il prelievo proposto era del 35%, per una semplice ragione: il contante non ha un passato evidente e non è semplice garantire che non sia il frutto di attività criminali, se non a prezzo di lunghe e complesse indagini da rimettere, di fatto, agli intermediari. Il contante di chi ha «solo» evaso il Fisco potrebbe anche essere oggetto di una sanatoria, purché non al ridicolo tasso del 15 per cento. Non è però comunque accettabile, con l’alibi di queste somme, rischiare di sdoganare anche le altre di origine criminale, che dovrebbero essere invece confiscate al 100% e non affluire nell’economia regolare, dove amplierebbero la presenza malavitosa, alimentando imprese comunque fragili e malsane. Invece di una riforma «ampia», «strutturale» e «organica», abbiamo così una serie di estemporanei e casuali (e rischiosi) salti da un albero all’altro. Nel frattempo, in attesa di almeno uno dei miracoli economici promessi per questo 2019, almeno nessuno si lamenti di trovarsi in una giungla fiscale.