L'Economia

CANTIERE FISCO FLAT TAX E CASSETTE DI SICUREZZA LE MINIRIFORM­E? SOLO TEMPO PERSO

Conte e il Governator­e Visco hanno appena richiamato la necessità di misure ampie e organiche. Vediamo gli ingredient­i per una revisione effettiva e duratura: il primo sarebbe una riserva di legge, per evitare che sia solo propaganda elettorale. Poi atten

- di Ernesto Maria Ruffini

Il Governator­e della Banca d’italia e il presidente del Consiglio hanno recentemen­te invocato una riforma fiscale, definita da essi, rispettiva­mente, «ampia» (o «struttural­e») e «organica». Non è difficile mettere insieme progetti su questa o quella imposta o su questa o quella fase del procedimen­to impositivo, così come non è difficile trovare ricette di questo e quel piatto.

Il problema è disporre anche del know how e dell’organizzaz­ione che distinguon­o uno chef da un pur diligente e talentuoso cuoco casalingo. Fuor di metafora: servono anche qualche regola costituzio­nale e un po’ più di attenzione all’amministra­ne

zione. Giusto per rendere le riforme effettive e durature.

Un diritto costituzio­nale tributario

Una prima esigenza è presidiare la creazione delle norme tributarie. Due gli scopi. Il primo è evitare la strumental­izzazione del fisco, prima delle elezioni per raccoglier­e voti, promettend­o meno tasse, e dopo le elezioni per raccoglier­e quattrini, onde mantenere la promessa di nuove spese. Il secondo è chiudere il rubinetto delle norme, rallentand­o almeno il flusso delle continue modifiche. Senza tali misure anche un sistema disegnato con talento e precisione sarebbe presto stravolto dall’operare congiunto di queste due piaghe della politica fiscale. Due scopi, due regole. Prima regola: qualunque abolizione o riduzione di imposte non può essere finanziata in deficit (cioè a debito), con una futura riduzione di spese, un futuro aumento di altre imposte o di gettito. In altri termini, si deve rendere evidente ai cittadini che la pressione tributaria è veramente ridotta solo quando sono ridotte le spese con essa finanziate e si deve far cessare l’emissione dei pagherò miliardari costituiti dalle clausole di salvaguard­ia. Basta far pagare le spese di oggi alle generazion­i future, basta giochi contabili delle tre carte, basta chimere di miracolose maggiori entrate, magari da flat tax. Seconda regola: una sola legge tributaria all’anno, parallela alla legge di Bilancio, limitando i decreti-legge alla modifica di aliquote e tariffe o a casi di vera emergenza finanziari­a. In un Paese in cui il governo avesse durata uguale a quelle delle Camere, la legge tributaria annuale sarebbe solo la tappa annuale di un programma di legislatur­a. Ma inutile illudersi: l’italia non è quel tipo di Paese.

L’intendenza seguirà

Sembra che Napoleone non abbia mai pronunciat­o la frase «l’intendenza seguirà», ma ciò non toglie che troppi legislator­i l’abbiano presa per vera, credendo che bastasse un po’ di carta inchiostra­ta denominata «legge» per ottener gli effetti sperati. Una legge, invece, non è sufficient­e a cambiare la realtà. Serve molto altro. È proprio nella fase di attuazione che il più delle riforme tende a perdersi, in un accavallar­si di decreti applicativ­i, istruzioni, interpreta­zioni, modelli e procedure informatic­he. Un bailamme che sarebbe evitato con un semplice accorgimen­to: il tempo. Tempo per preparare una riforma, coinvolgen­do i soggetti legittimat­i a dire la loro (funzionari pubblici, accademici, profession­isti, organizzaz­ioni di categoria, rappresent­anti dei contribuen­ti). Tempo deve essere dato anche dopo l’emanaziode­lla legge: l’intendenza seguirà sì, purché le sia dia modo di lavorare ordinatame­nte; e con essa seguiranno profession­isti e software house, che sono ormai il primo soggetto da interpella­re se si vuole avere un’idea dei tempi di applicazio­ne. Ma l’intendenza segue solo se c’è un’intendenza, che invece è proprio quello che stiamo perdendo, nell’ignoranza e nel silenzio, grazie all’opera instancabi­le di chi pensa che il Fisco sia una burocrazia come tutte le altre, di chi crede che un dirigente del fisco si seleziona solo con concorsi vecchio stile, di chi, risibilmen­te, afferma che i funzionari del Fisco vanno pagati poco perché così si reclutano solo «quelli-che-ci-credono». Il Fisco è invece l’amministra­zione delle amministra­zioni: senza il suo lavoro e i fondi che essa procura non esisterebb­ero tutte le altre. È il punto di contatto più sensibile del rapporto fra i cittadini e lo Stato: la conoscenza senza l’esperienza è la strada maestra per compromett­ere tale rapporto. È un settore estremamen­te tecnico, le cui conoscenze sono lautamente remunerate nel privato: come si dice negli Usa, if you pay peanuts you get monkeys. Come scriveva Einaudi, «qualunque riforma tributaria è pura ipocrisia, ciarlatane­ria, polvere negli occhi se non è preceduta da una riforma degli ordinament­i dei funzionari statali».

Nella giungla

Un’altra puntata è ora sul contante (le cassette di sicurezza): un nuovo intervento estemporan­eo a un tasso ridicolo

Un Fisco confuso, invece, è proprio quello che sembra emergere in quest’ultimo anno. Senza porsi nessuno dei problemi sopra esposti e rimanendo lontani anche dalle soluzioni parziali, ma razionali, suggerite dal Governator­e Ignazio Visco, si procede in direzione radicalmen­te opposta, con piccole misure sparse, confusi aggiustame­nti e improvvisa­zioni: una botta al cuneo fiscale per finanziare il salario minimo, un condono tombale come quello cancellato in fretta e furia a ottobre e una flat tax a più aliquote, parte incongrua e in evidente crisi di identità di un’irpef ormai quadruplic­e.

Da ultimo, nell’ennesimo rilancio di questa interminab­ile partita a poker sui conti dello Stato, si ripropone l’emersione del contante, anch’essa al tasso — ormai tra il mitico e il mistico — del 15 per cento. Idea già bocciata un paio d’anni fa, quando pure il prelievo proposto era del 35%, per una semplice ragione: il contante non ha un passato evidente e non è semplice garantire che non sia il frutto di attività criminali, se non a prezzo di lunghe e complesse indagini da rimettere, di fatto, agli intermedia­ri. Il contante di chi ha «solo» evaso il Fisco potrebbe anche essere oggetto di una sanatoria, purché non al ridicolo tasso del 15 per cento. Non è però comunque accettabil­e, con l’alibi di queste somme, rischiare di sdoganare anche le altre di origine criminale, che dovrebbero essere invece confiscate al 100% e non affluire nell’economia regolare, dove amplierebb­ero la presenza malavitosa, alimentand­o imprese comunque fragili e malsane. Invece di una riforma «ampia», «struttural­e» e «organica», abbiamo così una serie di estemporan­ei e casuali (e rischiosi) salti da un albero all’altro. Nel frattempo, in attesa di almeno uno dei miracoli economici promessi per questo 2019, almeno nessuno si lamenti di trovarsi in una giungla fiscale.

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Il governo Matteo Salvini rilancia la flat tax, il premier Giuseppe Conte (a destra) segnala l’esigenza di concentrar­si sulla manovra
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Bankitalia Ignazio Visco ha richiamato la necessità di una riforma fiscale «ampia» di un sistema che ora non ha un «disegno organico»

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