Pop Bari, la corsa al salvataggio non finisce mai
Non è una gara di 100 metri piani dove un secondo in più è un’eternità. Ma anche la crisi di una banca è una corsa contro il tempo. Che può diventare drammatica. Ne sanno qualcosa in Veneto, ad Arezzo, nelle Marche ecc. Bastano pochi mesi senza dare soluzioni, senza cambiare passo, senza rompere con il passato, trasmettendo una sensazione di precarietà, e la banca si trova con clienti e depositi volati via, parametri patrimoniali da rincorrere. Rapidamente la difficoltà diventa crisi e la crisi diventa salvataggio. Figurarsi se la paralisi dura anni. A Genova con la Carige e a
Bari con la Popolare, pur tra mille differenze, siamo al capitolo «salvataggio».
Carige tutto sommato è un caso noto, maturo, nell’agenda del governo, anche se non ancora risolto. Ma Bari? Gli azionisti, a differenza di Carige che era quotata in Borsa, non hanno mai avuto la possibilità di uscire. Avevano acquistato i titoli a prezzi folli, stabiliti a tavolino dal consiglio di amministrazione e da loro stessi avallati in assemblea. Ecco, questo bisogna dirlo: a Bari nelle assemblee sono sempre stati tutti immancabilmente e rigorosamente allineati e coperti. Sono quasi 80mila, dipendenti compresi, in attesa degli eventi. Da anni. Spa? Borsa? Ricambio dei vertici (la famiglia Jacobini governa da sempre)? Aggregazione? A gennaio l’annuncio del piano industriale 2019-2023. Punto primo: rafforzamento patrimoniale «entro giugno 2019». Giugno è arrivato, insieme a un bilancio 2018 con quasi 400 milioni di perdita. Il rafforzamento è rimandato e anche l’assemblea di bilancio slitta al 13-14 luglio. Però la banca ha fatto sapere, ufficialmente quindi accreditandola, di aver ricevuto un’offerta per la Cassa di Orvieto da Sri Global. Fa parte del gruppo di Giulio Gallazzi, un finanziere dalla rilevante inconsistenza patrimoniale. Fate presto. Ma soprattutto: fate sul serio.