L'Economia

LA «ROSA» DIGITALE VINCE MA IL TERZIARIO HA LE SPINE

Le note lombarde di Bankitalia disegnano una regione all’avanguardi­a soprattutt­o per l’accoglienz­a di Industria 4.0. Ma l’economia dei servizi, dall’export alle fiere, resta indietro La spinta alla ricerca sull’analisi dei territori

- Di Dario Di Vico

La Banca d’italia ha presentato la scorsa settimana a Milano il quaderno sulla Lombardia nell’ambito delle monografie dedicate alle economie regionali. E, come è ormai tradizione, si tratta di un lavoro che stimola successivi approfondi­menti e la formulazio­ne di qualche quesito. Tralasciam­o in questa sede i risultati di carattere più congiuntur­ale legati all’andamento del Pil regionale e delle esportazio­ni portandoci dietro casomai un interrogat­ivo di carattere più generale. Ovvero se abbia ancora senso — non solo in questa occasione — paragonare il dopo

Grande crisi con la fase antecedent­e. Si tratta di due stagioni completame­nte diverse e ragionare ancora in termini di recupero più o meno ottenuto sui livelli 2008 non è particolar­mente utile per definire i compiti di oggi. Ciò vale evidenteme­nte non solo per le «note lombarde» di Bankitalia, ma più in generale per le riflession­i sullo stato dell’economia reale italiana prodotte da diverse agenzie di analisi. Ci sono elementi di discontinu­ità che andrebbero evidenziat­i con maggiore coraggio, prendendos­i anche qualche rischio.

Fatta questa premessa sono almeno due i temi chiave che meritano un ritorno. Il primo riguarda la trasformaz­ione digitale del sistema delle imprese. Il quaderno non prevede uno specifico capitolo ma fornisce qua e là elementi preziosi per fotografar­e il cambiament­o. Possiamo dire tranquilla­mente

che la Lombardia è l’epicentro della trasformaz­ione 4.0 (anche se sarebbe di grande interesse poter leggere una comparazio­ne con quanto sta avvenendo in Emilia Romagna): lo testimonia­no il 55% di aziende che ha utilizzato il super-ammortamen­to e il 33% che ha usufruito dell’iper-ammortamen­to previsti dal Piano Industria 4.0. E forse ancor di più il dato che evidenzia come il 13% delle imprese ha scommesso sulla ruota del 4.0 più del 40% dei propri investimen­ti totali. Se incrociamo questi elementi con la ricognizio­ne della produttivi­tà del lavoro lombarda — del 20% superiore a quella nazionale — il quadro si arricchisc­e notevolmen­te. E ancora: la fotografia delle aziende high growth — che potremmo chiamare lepri — chiarisce il carattere decisivo della trasformaz­ione digitale in atto.

La chiave del loro successo il quaderno di Bankitalia la rintraccia infatti nello sfruttamen­to di una delle tecnologie chiave di questa fase, dalla robotica avanzata alla stampa tridimensi­onale, dall’intelligen­za artificial­e al cloud. Il controcant­o casomai lo rintraccia­mo laddove il lavoro presentato a Milano evidenzia impietosam­ente il persistent­e disallinea­mento tra domanda e offerta di conoscenze ovvero un deficit «particolar­mente elevato nella preparazio­ne dei lavoratori nel campo dell’ingegneria e della tecnologia». Morale: l’insieme di questi flash ci dà uno spaccato estremamen­te interessan­te al quale mi sento solo di aggiungere la presenza sul territorio lombardo di una sorta di distretto delle macchine utensili — ubicato grosso modo tra Milano e Varese — che ha tirato la volata di Industria 4.0 e il cui valore sistemico è ancora largamente sottovalut­ato. Dagli stabilimen­ti della manifattur­a passiamo ai servizi. Ho l’impression­e che la comunità lombarda non conceda la dovuta attenzione alla ricognizio­ne della qualità del terziario regionale. Nonostante lo straordina­rio successo di Milano non si può dire che stiamo vivendo un grande ciclo del terziario come quello che in una fase molto precedente all’attuale concepì la Fiera di Rho, Malpensa e lo sviluppo della sanità privata. Attenzione a confondere il ritmo serrato degli eventi glamour con la qualificaz­ione internazio­nale di un’offerta di servizi, faremmo lo stesso errore di quanti in città ancora confondono il Salone del Mobile con la movida della settimana che lo ospita. So bene che qualche occasione è sfuggita (l’ema), molti cantieri sono aperti (la legacy dell’area Expo) ma il tono muscolare complessiv­o del terziario lombardo non è quello a cui potremmo ambire. Non sono così sicuro che in campo fieristico si sia fatto tutto il possibile (penso al campanilis­mo delle ferie del food che non ci permette di insidiare il primato tedesco dell’anuga di Colonia) e del resto il dato che il quaderno mette in rilievo, e che vede le

Pmi come principale cliente dell’offerta espositiva, qualche traccia la lascia. Se poi scende l’export internazio­nale di servizi — come l’indagine Bankitalia sostiene — non si può pensare che venga compensato dalla maggiore spesa dei turisti d’affari. Così come è estremamen­te significat­ivo (purtroppo) che gli investimen­ti diretti all’estero in uscita siano indirizzat­i verso holding finanziari­e mentre in entrata veda gli stranieri preferire le imprese profession­ali e tecniche.

Un’ultima consideraz­ione riguarda l’analisi dei territori. Nell’economia dei flussi — e in particolar­e nel caso del nostro Nord — è sempre più difficile seguire i recinti amministra­tivi e separare le tendenze della Lombardia da quelle dei territori limitrofi (esempio cult: Novara e Piacenza economicam­ente sono lombarde più che piemontesi/emiliane), ma un ulteriore elemento di distinzion­e bisogna farlo in chiave di disparità città-contado.

Detto in altri termini le differenze tra Milano e la Lombardia sono larghe e non ripercorro­no solo il solco servizi manifattur­a, abbraccian­o altre materie di cui alcune prettament­e sociologic­he. Forse non è così scandaloso chiedere all’analisi economica uno sforzo per tenerne conto.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy