Mercati, aspettative a somma zero
Da un lato c’è chi paventa la recessione e si riempie di bond, dall’altro i super ottimisti azionari. Ma la Fed...
Èun equilibrio alquanto precario quello che stanno sperimentando i mercati finanziari. Se restano in piedi è solo perché le contraddittorie visioni degli investitori finiscono per scontrarsi e annullarsi. Da un lato c’è chi paventa una possibile recessione: e dunque ha senso comprare bond e titoli di stato, poiché il tracollo o, comunque, il forte rallentamento dell’economia spingerebbero le banche centrali a tagliare i tassi d’interesse. Dall’altro c’è chi crede che la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina finirà con un non lontano compromesso: cosicché l’economia si riprenderà e, in un mondo senza inflazione, due o tre tagli dei tassi Fed non potranno che far bene alle borse. Anzi molto bene: perché con i rendimenti dei bond scesi di oltre un punto percentuale dai massimi di otto mesi fa, le azioni diventano ancor più attraenti. Questo difficile equilibrio poggia sulla convinzione che la Fed farà il proprio dovere per sostenere l’economia: e quel che dovrà fare è per l’appunto ascoltare i mercati, in questa
contingenza perfettamente in sintonia con il pensiero di Donald Trump.
I tassi vanno abbassati di almeno 75 centesimi quest’anno e di altri 25 nel 2020: un intero punto percentuale suggeriscono le scommesse sui Fed Funds e pretendono le invettive del presidente americano contro la banca centrale. La Fed finirà per piegarsi, come spesso è stato in passato, ai desiderata dei mercati e, dalle recenti parole di Jerome Powell, s’è già intuita la possibilità. Ma la questione è: fino a che punto sarà disposta ad assecondare Trump e gli investitori?
Le opzioni
Supponiamo che i mercati abbiano perfettamente ragione a pretendere quattro tagli dei tassi. Se così sarà, significa che la guerra commerciale, in un ciclo economico che già sta dando segni di stanchezza, avrà portato il mondo in recessione. In questo caso, i tassi finiranno probabilmente a zero (come sostiene Stan Druckenmiller) e faranno soldi a palate quanti hanno acquistato bond. Ma le borse precipiteranno con grossi danni per chi si ritrova pieno di azioni. Se invece la Fed si limitasse a un taglio dei tassi (diciamo a luglio, come stima all’86% il mercato) e rimanesse a guardare per mesi la situazione, i mercati patirebbero una doppia delusione: quello obbligazionario colpevole d’aver spinto eccessivamente in basso i rendimenti e quello azionario per essersi troppo «Da tempo sosteniamo che una recessione negli Usa nel 2020 sia lo scenario più probabile e … spingerà la Fed a tagliare 3 volte i tassi», dice Erik Nielsen, capo economista di Unicredit (nella foto). Lo scenario diverrebbe certo per Simon Rabinovitch, corrispondente de l’economist: la guerra doganale scatenata da Trump porterà «irrimediabilmente» alla recessione e niente potrà evitarla. Più sfumata la posizione di Deutsche Bank: La dicotomia tra azioni e bond farebbe davvero pensare a una recessione, sostiene Parag Thatte; ma forse la scommessa del mercato obbligazionario è esagerata imbaldanzito (è tornato a un passo dal record), contando unicamente sul sostegno della politica monetaria. Qualche speculatore potrebbe pensare di “mettersi al ribasso” su due fronti: bond e azioni. Guadagnerebbe due volte. Anzi «10 volte», sostengono gli analisti di Ubs, suggerendo di operare con la leva di differenti strumenti derivati.
Il fondale
Il quadro è quello delineato: una «tremenda opportunità d’arbitraggio» tra «il mucchio» d’aspettative coltivate dal mercato sull’intervento della Fed e il «molto meno» che potrà invece mettere in atto la banca centrale. «C’è il rischio concreto che (Powell e soci) allentino la politica monetaria molto meno di quanto ci si aspetti, esasperando i rischi al ribasso per azioni e bond», dice Pete Clarke, strategist sui derivati della banca svizzera. E se Bank of America sostiene che tagliare i tassi adesso sarebbe «molto rischioso», perché creerebbe una bolla colossale (sarebbe un «errore», come fece Alan Greenspan nel 1998), Morgan Stanley aggiunge che persino una drastica riduzione dei Fed Funds non eviterebbe una recessione. «Anche senza intensificazione della guerra doganale, il nostro modello suggerisce una crescita negativa degli utili societari nei prossimi 12 mesi e le nuove tensioni commerciali non fanno altro che spingere al ribasso le previsioni», sostiene Mike Wilson, capo degli investimenti di Morgan Stanley. Pur ipotizzando un accordo tra Usa e Cina, la crescita degli utili sarà negativa quest’anno e piatta nel 2020: in questo caso L’S&P potrebbe salire fino a 3 mila per poi ridiscendere a 2.750. Se l’incertezza dovesse protrarsi per altri 3-4 mesi, anche gli utili del prossimo anno sarebbero negativi (-8%) e l’indice calerebbe a 2.400. Infine, se non si raggiungesse nessun accordo e fossero applicate tariffe del 25% a tutti i beni, L’S&P cadrebbe ancor più in basso e gli utili calerebbero anche nel 2021. Sarebbe una vera «recessione degli utili», come lo stratega di MS va predicando da mesi. E’ noto il cronico pessimismo di Wilson e per questo si dovrebbe prendere con cautela la sua analisi. Ma Wilson è stato tra i pochissimi a vedere giusto nei logoranti saliscendi del 2018. E, inoltre, le stime di crescita degli utili 2019 per L’S&P (dati Refinitiv) stanno davvero peggiorando: ora sono scese al 2,6%, distanti da quanto si pensava a inizio anno (7,3%) e lontanissime dalle illusioni di otto mesi fa (10,2%).
Le stime sulla crescita degli utili sono comunque negative, anche senza un peggioramento della guerra dei dazi