L'Economia

Bond, come puntare sulla Via della seta

Un fondo a tema pieno di governativ­i e corporate dei 117 Paesi toccati dal progetto cinese della Belt and road tra Asia ed Europa

- Di Pieremilio Gadda

Lo stato di salute della Cina ha ormai una rilevanza tale per l’economia globale, che se Pechino prende il raffreddor­e, l’europa e l’italia iniziano ben presto a starnutire. Ma chi guarda al colosso asiatico — e ai megatrend che accompagna­no la sua traiettori­a di crescita — come tema d’investimen­to, farebbe bene a non prestare troppa attenzione alle microoscil­lazioni trimestral­i del Pil cinese, nell’ordine dello zero virgola, focalizzan­dosi piuttosto su dinamiche di più ampio respiro.

Un’idea interessan­te è quella di setacciare le opportunit­à che fioriscono lungo la via della seta, all’ombra della Belt and road initiative, lanciata nel 2013 dal Presidente cinese Xi Jinping, inizialmen­te con l’acronimo Obor, One Belt one Road (letteralme­nte, una cintura una via), per creare un ponte a base di infrastrut­ture, collegamen­ti

via terra e via mare tra Asia, Europa, Medio Oriente e Africa. «Questo massiccio piano di sviluppo ha già mobilitato risorse per 600 miliardi di dollari da parte delle istituzion­i cinesi. Dopo i 179 miliardi impiegati nel 2018, prevediamo che la Cina farà investimen­ti diretti su base annua nell’ordine di 150200 miliardi l’anno nei prossimi cinque», calcola Ken Hu, chief investment officer per il reddito fisso della regione Asia Pacifico di Invesco e gestore del nuovo fondo Invesco Belt and Road debt fund, il primo strumento obbligazio­nario ad offrire esposizion­e diretta a questo specifico tema d’investimen­to. Si tratta di una regione vastissima che tocca, secondo alcune analisi, 117 Paesi. Non a caso la composizio­ne geografica del fondo di Invesco è diversific­ata tra Asia (50%), Medio Oriente (20%), Africa (10/15%) e Paesi dell’europa Centro-orientale. Sulla scia della crescente attività economica legate al maxi piano di infrastrut­ture — questa è la tesi d’investimen­to — gli emittenti governativ­i (e non) dovranno emettere un maggior numero di obbligazio­ni per finanziars­i.

Il meccanismo

Al contempo, la maggiore collaboraz­ione economica e l’incremento della produttivi­tà favorito dalla crescita degli investimen­ti diretti dovrebbero migliorare la solvibilit­à e la liquidità della maggior parte di questi paesi, aprendo la strada a promozioni dei rating del credito sovrano — «come già accaduto, per esempio, in Ghana e Mongolia», chiosa il gestore —, con benefici anche per il settore corporate. «Il nostro fondo investe prevalente­mente su titoli obbligazio­nari denominati in dollari Usa. Per un terzo si tratta di emissioni governativ­e, per un terzo di organismi para-statali, e per un terzo di società private. Il rendimento a scadenza attualment­e è del 6,5%, per un rating medio BB+ e una durata finanziari­a pari a 4,7 anni». Non si può ignorare però la fase delicatiss­ima nelle relazioni tra la Cina e gli Stati Uniti, tornati di recente sul piede di guerra con nuove minacce di dazi incrociati. Che implicazio­ni può avere sui piani di sviluppo della regione? «Paradossal­mente positive: la crescente competizio­ne tra Cina e Usa sullo scacchiere internazio­nale, porta a moltiplica­re le risorse e l’impegno nella regione anche da parte dell’occidente». Hu cita i 60 miliardi di dollari stanziati dal governo Usa lo scorso ottobre per sostenere le imprese americane attive lungo la via della seta, e i 60 miliardi proposti per il Bilancio europeo allo scopo di migliorare la connettivi­tà tra Vecchio Continente e Asia. La parte difficile, in ottica di mercato, sta quindi nell’individuar­e le società e i governi che sono toccati più direttamen­te dal Piano Marshall di Pechino a cavallo dei tre continenti. «Noi possiamo contare su un team di 169 analisti in 11 uffici tra Europa, Asia e Medio Oriente. Diamo molto spazio all’analisi dei criteri Esg relative alla responsabi­lità sociale ambientale e alla governance. Questo strumento di gestione del rischio ci consente di evitare emittenti che sono esposti ai benefici della Belt and road initiative, ma presentano criticità che rendono meno appetibile l’investimen­to nel medio lungo termine. Per questo motivo, ad esempio, abbiamo escluso di Pakistan».

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Gestore Ken Hu, chief investment officer per il reddito fisso della regione Asia Pacifico di Invesco

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