Usato, una strada (poco) battuta
Vendute 300 mila auto ex noleggio. Quasi tutte in blocco per fare cassa, ma con i privati i guadagni sarebbero più elevati
Dove vanno a finire le auto che rientrano dai noleggi? Nel mercato dell’usato ovviamente, dove rappresentano una fetta molto ambita. Pochi anni di vita alle spalle, chilometraggi certificati, tagliandi garantiti dalle società di noleggio che includono l’assistenza nei loro contratti, aumentano l’appetibilità delle vetture che provengono dalle flotte. Ce ne sarebbe abbastanza per garantire un ottimo business, eppure, secondo uno studio condotto da Fleet&mobility, i margini di guadagno sono inferiori alle possibilità.
«Innanzitutto — spiega Alessandro Palumbo, direttore scientifico del centro studi e autore del documento — le società del noleggio a lungo termine preferiscono vendere direttamente ai dealer e ai rivenditori, piuttosto che ai privati». Lo fanno per batter cassa velocemente «perché — aggiunge Palumbo — gli operatori acquistano in stock, quasi sempre tramite aste online, e pagano subito. Le trattative con i privati richiedono più tempo». In sostanza, rinunciano alla trattativa diretta e a possibili guadagni più alti, in cambio di rapidità
e soprattutto praticità. La vendita diretta richiede strutture capillari e spazi dove stivare ed esporre le auto che in attesa di un compratore possono anche invecchiare e perdere di valore. Alcune società si stanno strutturando in tal senso (vedi Arval con il sito Brumbrum, e Leaseplan con Carnext), le altre, la grande maggioranza, continuano a seguire il canale tradizionale.
Opportunità
Secondo le rilevazioni di Fleet&mobility, nel 2018 il 73,2% delle vetture ex noleggio sono finite in mano a dealer e rivenditori, il 12,9% ha preso la strada delle esportazioni per la rivendita su altri mercati, e solo il 6,5% è andato ai privati. Questi ultimi rappresentano il 45% degli acquirenti finali, mentre il 28,9% prende la strada di altre società. Il quadro relativo alle vetture che provengono dal breve termine non cambia: case, dealer e società costituiscono la principale voce d’acquisto, quasi l’unica in questo caso (96,3%).
Il giro d’affari è oltretutto in crescita: ha sfiorato le 300 mila unità nel 2018, arrivava a 278 mila l’anno precedente. Una quota minoritaria, ma di valore nel grande mercato dell’usato che nel 2018 ha rappresentato il doppio del nuovo in volume.
Ma l’80% dell’usato veicolato dai concessionari proviene ancora dai privati e a fare le spese di un sistema che sottoperforma sono in definitiva i dealer, in assenza di una reale strategia in quest’area di business. I concessionari si fanno oltretutto carico di stock e giacenze, quindi di un valore immobilizzato: dalle 59 auto in media del 2014 si è passati alle 85 del 2018, con periodi di immobilizzazione più o meno costanti (70 giorni in media). Secondo il centro studi, se ogni dealer avesse seguito l’andamento del mercato, avrebbe fatturato in media 64 milioni di euro nel periodo preso in considerazione, compreso tra il 2007 e il 2018. Invece il fatturato medio si è attestato sui 40 milioni. Fatto cento il volume del fatturato realizzato da una concessionaria, il 17,2% in media deriva dalla vendita dell’usato, contro il 72% ricavato dal nuovo (fonte Dekra, osservatorio bilanci). «Analizzando l’80% dei bilanci dei concessionari italiani — ha spiegato Toni Purcaro, amministratore delegato di Dekra Italia —, abbiamo rilevato nel 2017 una marginalità del nuovo pari a circa al 5,8%, contro il 3% dell’usato». Si può migliorare la situazione? Secondo Purcaro una migliore gestione dell’usato di qualità, quello appunto di provenienza business, comporterebbe diversi benefici: «Se fosse gestito unicamente dai concessionari potrebbe fornire un’importante leva finanziaria da parte delle case. Veicolare la parte di qualità attraverso la propria rete di vendita, in maniera esclusiva, rafforzerebbe inoltre il brand e in definitiva fidelizzerebbe ancora di più il cliente. Alla marca e alla rete di vendita».