L’ITALIA NON ATTRAE PIÙ TALENTI (E I CONTI IN DISORDINE LI PAGHIAMO NOI)
Il Paese non pensa giovane e gioca una partita di pseudo riforme che pesano sul deficit Le imprese invece...
Come accadeva una volta per i commissari tecnici della Nazionale, oggi sono tutti economisti. Il miglior titolo degli ultimi tempi è dell’avvenire. Recita così: «Tassapiattisti». Incomparabile. Se qualcuno pensa che la Terra sia piatta perché meravigliarsi del fascino che accompagna la sciagurata idea di sbarazzarsi, una volta per tutte, del fastidioso vincolo di bilancio? Ma se gli economisti hanno molte colpe — per esempio quella di non aver previsto la crisi finanziaria del 2008, tanto da essere rimproverati persino dalla regina Elisabetta — e sono divisi su diagnosi e terapie, su un punto sono tutti d’accordo: il vincolo di bilancio è inesorabile. Lo si può aggirare per un po’, ma non per sempre. Lo si può eludere per buone ragioni: quando si investe, per esempio. Ma alla fine il conto arriva. E lo pagano i più deboli. Nessun pasto è gratis è il titolo del saggio di Lorenzo Forni, edito dal Mulino, da oggi in libreria. Lo anticipiamo su L’economia perché raramente ci è capitato di leggere una disamina più chiara e accessibile di quella del professore di Politica economica dell’università di Padova e segretario
generale di Prometeia Associazione. Il sottotitolo: «Perché politici ed economisti non vanno d’accordo». I primi hanno bisogno di consenso per essere rieletti. «E non vogliono o non riescono a tenere in conto — scrive Forni — le compatibilità economiche, mentre gli economisti, che non sono infallibili, guardano sostanzialmente solo a quelle». Giusto. Però i secondi commettono a volte un errore non banale. Credere che gli elettori siano sempre soggetti razionali. Non è così. Le scelte, in qualsiasi democrazia, anche in quelle solide ed evolute, sono fatte più di emozioni, passioni, persino sogni che di analisi di fattibilità dei programmi dei partiti.
Il vincolo di bilancio è inesorabile. Lo si può aggirare per un po’, ma non per sempre. Alla fine sono colpiti i più deboli
L’esercizio del potere
E non è raro che un economista diventato un personaggio politico, dunque noto e soggetto al voto, sacrifichi la teoria all’esercizio del potere. Non succede solo oggi e non succede solo in Italia. Ambizioni e vanità non risparmiano nessuno. Lo scontro tra politici ed economisti infuria negli Stati Uniti di Donald Trump. E Forni segnala puntualmente i limiti dell’espansione fiscale e del protezionismo americani.
Politici ed economisti non vanno d’accordo: i primi fanno leva sulle emozioni per farsi eleggere, i secondi pensano (sbagliando) che nelle urne si facciano scelte razionali. In ogni caso bisogna tornare con i piedi per terra. La spesa pubblica in disavanzo non si ripaga da sola e i miracoli da moltiplicazione dei pani e dei pesci sono impossibili Meglio coltivare scenari realistici. L’italia faccia leva seriamente sulle proprie forze
Ma si duole soprattutto che Paesi più piccoli (ogni riferimento all’italia è puramente casuale) possano mettersi sul medesimo piano. Gonfiare il petto allo stesso modo. E scambiare la forza di una moneta sovrana, anche la più disgraziata, per quella del dollaro.
Allora, per spiegare al meglio come agisca nel tempo il vincolo di bilancio, l’autore riporta il lettore italiano con i piedi per terra. E lo mette di fronte ad altri esempi. L’espansione fiscale e monetaria ha creato spesso facili illusioni. La crisi economica successiva è stato il modo, iniquo, di riportare i sistemi a un seppur fragile equilibrio.
I casi Bielorussia e Spagna
Cominciamo con la Bielorussia, sì la Bielorussia. Ovvero, un caso in cui l’attrazione per il credito facile ha favorito soprattutto l’attività edilizia e permesso alle famiglie di accendere mutui e acquistare casa. In apparenza una soluzione ottimale. La moneta si crea, basta stamparla. Peccato che la produzione non cresca a sufficienza. Le importazioni aumentino, la bilancia commerciale peggiori. Il debito con l’estero esploda. Il cambio del rublo però era difeso dalla banca centrale. E qui siamo al mantra sovranista: no problem. L’economia bielorussa ha avuto, negli ultimi dieci anni, tre crisi di bilancia dei pagamenti. Inflazione al 20 per cento e un cambio che si è svalutato di dieci volte. Anche la Spagna però, sotto sotto, ha fatto la stessa cosa prima della crisi del 2008 o no? Con tutte le dovute differenze tra un’economia di mercato e una pianificata. Troppo credito per l’edilizia, bolla immobiliare poi scoppiata. Spiega Forni che, essendo parte dell’unione monetaria, Madrid non ha svalutato e non ha creato inflazione domestica. Ha contenuto il costo del lavoro ed è stata costretta a dure riforme. Dure ma utili. Oggi cresce molto più di noi. «Queste politiche — nota Forni — sono state per certi aspetti più trasparenti rispetto a quelle che si sarebbero avute con una forte svalutazione, ma certamente più costose da un punto di vista politico». In economia la credibilità è tutto. In politica non sempre. Conta quello che appare o quello si vuole far apparire. I cicli di governo sono spesso corti. La memoria labile. E Forni spiega quello che è accaduto all’argentina del cui default nel 2001 hanno fatto le spese anche trecentomila risparmiatori italiani. Ma ce lo siamo dimenticati. Il cambio forzoso (currency board) tra peso e dollaro era stato istituito per sopperire alla bassa credibilità del governo argentino e convincere che l’inflazione sarebbe stata sconfitta. Ebbe come conseguenza la corsa a indebitarsi nella valuta americana. A tassi più bassi. La promessa era quella di cambiare sempre i pesos in dollari. Il debito estero esplose, le esportazioni crollarono, i capitali fuggirono. E, alla fine, la banca centrale tanto sovranista quanto poco credibile (59 governatori dal 1945 a oggi), si arrese. Non esistono pasti gratis nemmeno per chi pensa che, una volta dichiarato il default, il conto lo paghino solo i malcapitati creditori esteri. Anche questo è un piccolo e sottinteso mantra sovranista che si nasconde dietro la formula too big to fail, chi è grosso non può fallire. Pagano i creditori. I debiti si cancellano. Per circa un anno, dopo il default, gli argentini non ebbero accesso ai loro risparmi. «Svalutazione, inflazione, recessione, disoccupazione, riduzione dei redditi e dei risparmi sono inevitabili», chiosa Forni. Per non parlare delle conseguenze legali che, nel caotico fallimento argentino, sono state gigantesche. La spesa pubblica in disavanzo «che si paga da sola», attraverso l’aumento del gettito fiscale è, nell’analisi di Forni , «il tentativo moderno del miracolo della moltiplicazione di pani e dei pesci». Con qualche eccezione. Per esempio gli investimenti in istruzione, ricerca, sostenibilità ambientale. Ma i risultati arrivano troppo tardi. E anche gli elettori, non solo i leader, sono impazienti. Insomma, di lezioni per l’italia nel libro di Forni ce ne sono parecchie, nonostante il Paese abbia una posizione netta sull’estero vicina al pareggio, a differenza della Spagna. Dunque non abbia un problema di vincolo esterno. Può e deve far leva sulle proprie forze, che sono tante. Non coltivare scenari impossibili scordandosi le tante debolezze. L’illusione più grande è quella legata alla titolarità del debito pubblico, cioè al vincolo interno. Se due terzi dei titoli emessi sono collocati a soggetti italiani, si dice, il problema è risolto.
Ma se le famiglie italiane dovessero sostituire gli investitori esteri perché dovrebbero accontentarsi di interessi più bassi? E perché non dovrebbero avere il timore, come è accaduto nei tanti casi esplorati in questo libro (Argentina, Grecia) di perdere in parte o tutto il proprio patrimonio? Il sostegno alla crescita, conclude Forni, passa più attraverso le riforme che rendono un’economia più concorrenziale, digitale e competitiva. Non con la spesa facile e le riduzioni di tasse in deficit o con la stampa senza controllo della moneta.
E, aggiungiamo noi, dicendo la verità agli elettori. Quando sono alle prese con i propri conti, le famiglie sanno perfettamente cos’è un vincolo di bilancio. Tant’è vero che sono meno indebitate delle famiglie di altri Paesi con le finanze pubbliche più in ordine.
In privato gli italiani stanno bene attenti: non per nulla sono meno indebitati dei cittadini di Paesi con le finanze più in ordine