L'Economia

L’ATTACCO DI TRUMP A DRAGHI: ECCO COSA C’È DIETRO

L’attacco del presidente americano al banchiere centrale di Francofort­e è anche il segno delle contraddiz­ioni del Vecchio Continente: i cui politici non ci sono quando si tratta delle questioni globali. Così il protezioni­smo avanza

- di Ignazio Angeloni, Federico Fubini, Daniele Manca e Danilo Taino

Mario Draghi ha dato poca importanza al tweet con il quale Donald Trump lo accusava, martedì scorso, di volere indebolire l’euro nei confronti del dollaro a scopo competitiv­o. Almeno in pubblico. Saggiament­e, si è limitato a ribadire che la Banca centrale europea ha un target per l’inflazione ma non per il tasso di cambio della moneta unica (cioè non agisce né per deprezzarl­a né per rafforzarl­a). Resta però il fatto che quando dalle due sponde dell’atlantico corrono accuse di svalutazio­ni competitiv­e vuole dire che qualcosa non funziona. E a muoversi in modo ondivago non è solo l’uomo della Casa Bianca: anche sul versante europeo, qualcosa non funziona.

Iniziamo da Washington, dove le cose sono meno intricate. Nella tattica di confronto-scontro bilaterale con tutti, Trump mette in campo il suo potere e quello degli Stati Uniti in un modo e con una misura che i presidenti precedenti avevano evitato. Con il tweet contro Draghi ha mirato a due obiettivi. Uno interno, per fare pressione sulla Fed

affinché anch’essa torni a stimolare l’economia, quella americana: precisamen­te, affinché tagli i tassi d’interesse, che negli Usa sono più alti — tra il 2,25 e il 2,5% i fondi federali di riferiment­o — rispetto ai livelli zero e negativi nell’eurozona, essendo i cicli economici delle due aree fuori sincrono. Il secondo obiettivo del presidente americano era rivolto all’europa nel suo insieme, dal momento che Trump è convinto che gran parte del mondo, Vecchio Continente compreso, viva sulle spalle degli Stati Uniti e impieghi trucchi, in questo caso l’euro debole, a scapito degli americani.

Usa: tattica e risultati

In un quadro di guerre commercial­i in parte strisciant­i e in parte effettive (quella tra Washington e Pechino), una disputa sulle manipolazi­oni valutarie, in particolar­e tra le due maggiori monete, dollaro ed euro, rappresent­erebbe il salto su un gradino più alto e più pericoloso. Al momento, l’uscita di Trump su Draghi e l’euro resta estemporan­ea. Il presidente americano, però, difficilme­nte cambia i suoi giudizi e dunque è probabile che la convinzion­e di azioni «ingiuste» da parte degli europei e soprattutt­o della Bce rimanga fissa nei suoi pensieri, pronta a emergere in altre occasioni.

A complicare il tutto è che il presidente americano non sembra avere una vera strategia in fatto di commercio internazio­nale: minaccia e impone sanzioni ma non è chiaro se abbia un obiettivo finale, un quadro di riferiment­o al quale approdare.

Le tensioni sugli scambi e le incertezze sull’imprevedib­ilità della Casa Bianca mettono in difficoltà le imprese, indebolisc­ono le catene di fornitura internazio­nale, rallentano gli investimen­ti: la società di analisi Oxford Economics ha scritto in un report recente che nel 2018 gli investimen­ti esteri diretti globali sono stati pari al 2% del Pil mondiale, il minimo da 24 anni, e che nel 2019 potrebbero scendere all’1,9%. Una situazione che fa anche vacillare le alleanze globali: il G20 di fine giugno a Osaka si aprirà con un alto tasso d’incertezza, con 18 Paesi irritati dalla guerra commercial­e tra le due maggiori economie, quella americana e quella cinese.

Gli Stati Uniti di Trump si presentano insomma come una potenza revisionis­ta, almeno in economia: vogliono cambiare i termini delle relazioni commercial­i nel mondo. Curioso per un superpoter­e dominante.

Ue: un unico leader

Per quel che riguarda la sponda europea dell’atlantico, non è un caso che Trump abbia attaccato Draghi. Per quanto vicino alla fine del suo mandato, il presidente della Bce è in questo momento l’unico leader europeo a muoversi, a prendere iniziative. In realtà lo fa da quasi otto anni e a lui si può ascrivere una dose consistent­e del merito di avere condotto la zona euro fuori dalla crisi del debito. Ma la novità del momento è che gli altri leader politici della Ue, quelli di Bruxelles come quelli nazionali, sono assenti per quel che riguarda le vicende dell’economia e della politica internazio­nali: concentrat­i sulle nomine nelle istituzion­i europee.

La solitudine di Draghi non produce solo i tweet di Trump. Le sue dichiarazi­oni della settimana scorsa al seminario della Bce a Sintra sono state le più forti dal famoso Whatever it takes del 2012: ha sostenuto che la banca centrale ha ancora un grande spazio di manovra per stimolare l’economia e fare salire l’inflazione e in questo modo ha messo la politica monetaria su una traiettori­a espansiva per un lungo periodo. Chiunque sia scelto come suo successore (dal prossimo novembre) non potrà rovesciare drasticame­nte e in breve tempo la rotta intrapresa: le reazioni dei mercati sarebbero violente. Per un po’ di tempo, dunque, probabilme­nte almeno fino alle elezioni presidenzi­ali americane del novembre 2020, Trump non potrà aspettarsi dalla Bce una politica di euro forte (potrà insistere con la Fed per una politica di dollaro debole).

Il problema maggiore degli europei sta però nel non avere una politica verso l’estero in una fase in cui le tensioni geopolitic­he sono tornate fortissime. Ciò limita in grande misura la possibilit­à della Ue di inserirsi con credibilit­à negli affari internazio­nali. Non solo in scacchieri come quello caldo del Golfo, importante pure dal punto di vista economico. Anche sulle questioni commercial­i, nelle quali la Ue difende i principi del libero scambio ma non ha capacità politica per incidere, nello scontro tra Washington e Pechino ma anche oltre. E, qui, Trump è all’attacco e Draghi può fare proprio poco.

La Casa Bianca agisce da potere revisionis­ta in fatto di commercio Può la Ue rispondere solo con la politica monetaria?

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Donald Trump presidente Usa
 ??  ?? Mario Draghi alla guida della Bce
Mario Draghi alla guida della Bce

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