L'Economia

VIVERE INDEBITATI AL 200 PER CENTO ISOLATI E SENZA CRESCITA

- Di Francesco Daveri

Alcune consideraz­ioni dopo la provocazio­ne di Paolo Savona sul rapporto tra debito pubblico e Pil. Il Giappone può essere un modello per rilanciare consumi e investimen­ti e far decollare l’economia? I numeri dicono il contrario

Nel suo primo discorso annuale al mercato finanziari­o il presidente della Consob Paolo Savona è ritornato su un tema da lui già trattato in precedenza, affermando che «se la fiducia nel paese è solida e la base di risparmio sufficient­e, livelli di indebitame­nto nell’ordine del 200% (del Pil; mia aggiunta) non contrastan­o con gli obiettivi economici e sociali perseguiti dalla politica».

È una frase impegnativ­a. Per molti è dubbio che un paese come l’italia possa passare da un rapporto debito-pil al 130% di oggi a un ipotetico 200 % di un domani che verrà senza passare attraverso il purgatorio di una drammatica crisi finanziari­a. Stupisce che il presidente della Consob usi espression­i più adatte alle aule di qualche università che al discorso ufficiale del responsabi­le dell’autorità preposta a vigilare sui mercati finanziari per garantire il risparmio degli italiani.

Immaginand­o però di esserci riusciti, cioè di essere veramente arrivati ad un rapporto debito-pil al 200%, si può provare a pensare come funzionere­bbe l’economia italiana nel nuovo regime. Un punto di riferiment­o di un paese che appare lontano dall’insolvenza c’è ed è quello a cui pensa anche il presidente della Consob. È il Giappone. In effetti, secondo quanto riportato dall’economic Outlook dell’ocse, a fine 2018 il Giappone aveva un debito superiore a 1,2 quadriliar­di (1230 triliardi, un milione e 230 miliardi) di yen. Una cifra astronomic­a — la più vicina approssima­zione reale al fantastili­ardo dello zio Paperone di Walt Disney. Tale cifra, se confrontat­a con i 548 mila miliardi di yen del Pil giapponese (circa 4500 miliardi di dollari), colloca il rapporto debito-pil di Tokyo ad un rapporto del 225%: più di novanta punti di Pil in più di quello italiano. Nonostante questa montagna di debito, tutto si può dire tranne che il Giappone sia avviato su una dinamica di insostenib­ilità

finanziari­a: il tasso di interesse sui titoli pubblici giapponesi a 10 anni è a -0,14 punti percentual­i, di poco superiore al minimo di sempre di -0,29 punti del luglio 2016, mentre la crescita del Pil a prezzi correnti — che misura la crescita del denominato­re del rapporto — si è assestata sempre nel 2018 a un numero modestamen­te positivo (+0,7%). Fino a che il tasso di interesse sul debito è inferiore alla crescita del Pil a valore il debito rimane sostenibil­e.

Un paese invecchiat­o

Una volta stabilito che il Giappone non è sprofondat­o in una crisi finanziari­a epocale c’è però da chiedersi quali siano i risultati di un’economia con il debito al 200 per cento. Il boom del debito sopra il 200% è maturato negli anni successivi al 2009 da quando il primo ministro Shinzo Abe — tuttora in carica — attuò la sua strategia delle «tre frecce». Lo scoccare delle tre frecce — la combinazio­ne di espansione del bilancio pubblico (del debito, appunto), del bilancio della banca centrale e di riforme economiche volte a migliorare la competitiv­ità dell’economia giapponese — avrebbe dovuto riportare l’economia giapponese sul binario della crescita che si era persa per strada fin dal lontano 1992, cioè dallo scoppio della bolla immobiliar­e degli anni Ottanta. Non è accaduto. La crescita post-2009 del Pil giapponese in volume è stata un modesto +0,7 per cento. Un numero enormement­e più piccolo di quello sperimenta­to negli anni precedenti allo scoppio della bolla (+4,4%, nel 1980-91) e anche più piccolo di quello registrato nel 1992-2007, gli anni della deflazione a cui Abe voleva porre fine. La crescita non è decollata per varie ragioni. La prima è che i consumi non sono ripartiti: +0,6% l’anno negli ultimi dieci anni contro il +1,2 del 1992-2007 e il +3,8 del 1980-91. E i consumi non sono ripartiti perché — nonostante i deficit di bilancio e la monetizzaz­ione del debito acquistato dalla Bank of Japan — le famiglie giapponesi hanno mantenuto una bassa propension­e a spendere: solo il 55,7% del Pil, più o meno la stessa percentual­e che negli anni prima di Abe. E anche le esportazio­ni — la punta di diamante dell’economia giapponese, in crescita al 5,5% annuo sia nel 1980-91 che nel 1992-2007 — hanno rallentato al +4,3 per cento. Evidenteme­nte le riforme mancate hanno pesato, spegnendo l’impulso espansivo della forte svalutazio­ne dello yen degli ultimi dieci anni (deprezzato­si da 90 a 110 contro dollaro).

Insomma nel Giappone degli ultimi dieci anni che il presidente della Consob prende ad esempio tanto debito, tanta moneta, (meno di) zero crescita aggiuntiva di Pil, consumi ed export. La demografia pesa: il Giappone — come l’italia — è un paese di «vecchi» e le persone anziane tendono a risparmiar­e fino alla fine, vuoi perché non conoscono la data di fine vita o perché hanno figli e nipoti da mantenere oggi e domani. Fatto sta che il risparmio dei giapponesi — nonostante la sua remunerazi­one sia bassissima — rimane quello che era. E così gli stimoli fiscali del governo sono stati risparmiat­i dalle famiglie giapponesi nel timore che tutto ciò un giorno finisca e lo Stato presenti il conto in termini di maggiori imposte. Così si vive — anzi: si sopravvive, con un po’ di ansia — con il debito al 200%. Con in più, per l’italia, una possibile esplosione della spesa pubblica per interessi – a parità di costo medio del debito - dal 3,7 al 5,6% del Pil. È a questo radioso futuro a cui pensa il professor Savona per il suo e nostro Paese?

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Paolo Savona, 82 anni, è presidente della Consob dal 20 marzo scorso e ministro per gli Affari europei fino all’8 marzo
Al vertice Paolo Savona, 82 anni, è presidente della Consob dal 20 marzo scorso e ministro per gli Affari europei fino all’8 marzo
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