Natixis e gli altri, paradossi dell’abbondanza
Sembrano notizie di più di dieci anni fa, ma si sono accumulate tutte nell’ultimo mese o due. A Parigi è crollato il titolo di Natixis, la banca d’affari, quando si è capito che alcuni fondi da circa trenta miliardi gestiti dalla sua controllata H2O Asset Management hanno iniziato ad avere problemi in parte legati ad investimenti in obbligazioni illiquide. Questi tremori hanno iniziato a farsi sentire appena pochi giorni dopo un’altra scoperta quasi altrettanto sconcertante: Neil Woodford, forse il più celebre investitore speculativo britannico in attività, all’inizio di giugno
ha «congelato», cioè bloccato, i riscatti dal suo fondo che era arrivato a gestire oltre dieci miliardi di sterline nel 2017 ma nel frattempo si era già ridotto di oltre due terzi. Anche nel caso di Woodford nel settore azionario, come per H2O nel reddito fisso, parte del problema è legato al carattere illiquido degli strumenti attraverso i quali il fondo aveva accumulato rischi a caccia di rendimenti interessanti. Il suo fondo principale aveva avuto problemi a rispettare in modo effettivo i limiti fissati agli investimenti illiquidi, in particolare.
Altri segni in altre parti del mercato indicato che il tessuto delle valutazioni sta iniziando a strapparsi e qualcuno potrebbe pagarne le conseguenze. Anche nel settore immobiliare. Sam Zell, il tycoon di Chicago che liquidò un portafoglio di immobili commerciali da 39 miliardi di dollari alla vigilia della grande crisi, sta ripetendo le sue azioni di dodici anni fa: si è liberato di un pacchetto di proprietà da 3,9 miliardi. Il denaro delle banche centrali è così abbondante, in circolazione, che nessuno dovrebbe sentirsi obbligato a svendere. Se qualcuno lo fa, forse è perché anche quell’abbondanza lo ha spinto a prendere rischi davvero insensati. In fondo la liquidità è come l’aria: ci si pensa davvero solo quando non ce n’è più abbastanza.