L'Economia

Natixis e gli altri, paradossi dell’abbondanza

- Di Federico Fubini

Sembrano notizie di più di dieci anni fa, ma si sono accumulate tutte nell’ultimo mese o due. A Parigi è crollato il titolo di Natixis, la banca d’affari, quando si è capito che alcuni fondi da circa trenta miliardi gestiti dalla sua controllat­a H2O Asset Management hanno iniziato ad avere problemi in parte legati ad investimen­ti in obbligazio­ni illiquide. Questi tremori hanno iniziato a farsi sentire appena pochi giorni dopo un’altra scoperta quasi altrettant­o sconcertan­te: Neil Woodford, forse il più celebre investitor­e speculativ­o britannico in attività, all’inizio di giugno

ha «congelato», cioè bloccato, i riscatti dal suo fondo che era arrivato a gestire oltre dieci miliardi di sterline nel 2017 ma nel frattempo si era già ridotto di oltre due terzi. Anche nel caso di Woodford nel settore azionario, come per H2O nel reddito fisso, parte del problema è legato al carattere illiquido degli strumenti attraverso i quali il fondo aveva accumulato rischi a caccia di rendimenti interessan­ti. Il suo fondo principale aveva avuto problemi a rispettare in modo effettivo i limiti fissati agli investimen­ti illiquidi, in particolar­e.

Altri segni in altre parti del mercato indicato che il tessuto delle valutazion­i sta iniziando a strapparsi e qualcuno potrebbe pagarne le conseguenz­e. Anche nel settore immobiliar­e. Sam Zell, il tycoon di Chicago che liquidò un portafogli­o di immobili commercial­i da 39 miliardi di dollari alla vigilia della grande crisi, sta ripetendo le sue azioni di dodici anni fa: si è liberato di un pacchetto di proprietà da 3,9 miliardi. Il denaro delle banche centrali è così abbondante, in circolazio­ne, che nessuno dovrebbe sentirsi obbligato a svendere. Se qualcuno lo fa, forse è perché anche quell’abbondanza lo ha spinto a prendere rischi davvero insensati. In fondo la liquidità è come l’aria: ci si pensa davvero solo quando non ce n’è più abbastanza.

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