Perché l’america mette nel mirino la Ue (dopo la Cina)
Non sappiamo come verrà ricordato Donald Trump nei libri di storia. Ma non sarà dimenticato il suo continuo terremotare le relazioni internazionali in nome di un’america da far tornare grande o da mantenere grande (come da suo ultimo slogan per le elezioni del 2020). Probabilmente verranno ricordate le conseguenze di questa continua destabilizzazione del mondo. Conseguenze anche economiche. Le aspettative degli investitori sono fondamentali per alimentare il motore dell’economia mondiale. E le aspettative in questi ultimi anni sono quantomeno incerte. Prova ne è il fatto che la liquidità enorme immessa sui mercati è arrivata con molta difficoltà all’economia reale, fermandosi, invece, nelle casseforti delle banche e in generale nel mondo della finanza. L’orizzonte di chi fa impresa non è quasi mai relativo a pochi mesi. E la stabilità del quadro competitivo mondiale è decisivo per fare scelte orientate al lungo periodo: se ne facciano una ragione i critici della globalizzazione che vorrebbero tornare ad antistoriche nazioni in grado di svilupparsi nell’autarchia. Il mercato ha ormai una dimensione globale, nonostante qualsiasi muro fisico o barriera commerciale si voglia innalzare. E, a esserne più convinto, dovrebbe essere proprio chi vede in Trump un esempio. È in atto una negoziazione per riequilibrare il commercio mondiale tra Stati Uniti e Cina voluta dall’attuale amministrazione americana. Ma quando si è trattato di individuare un altro bersaglio nella sua guerra continua al mondo, il presidente degli Stati Uniti se l’è presa con Mario Draghi. Vale a dire con l’espressione più evidente e plastica dell’ue. Non certo con questo o quel leader di stati nazione potenti o presunti tali, siano essi la Germania, la Francia o la stessa Italia. Nel mirino è finita quella Banca centrale che ha tenuto assieme l’eurozona. A dimostrazione che se si vuole avere voce in capitolo nel riequilibrio tra Usa e Cina, la dimensione non potrà che essere europea.