L'Economia

EURO, CUORE DELL’EUROPA PAROLA DI DRAGHI

L’intervento del presidente della Bce al summit di Sintra delinea il progetto politico dietro la moneta unica per opporsi a protezioni­smo e nazionalis­mo

- Di Ignazio Angeloni

Un Mario Draghi in gran forma, quello visto martedì scorso alla conferenza annuale della Bce a Sintra (Portogallo), capace di sovrastare intellettu­almente e dialettica­mente gran parte degli altri partecipan­ti. Già questo sarebbe molto, ma c’è di più. Con tre colpi ben assestati, nel suo discorso di apertura il presidente uscente ha fatto tre cose: spiegato come l’europa è arrivata alla crisi (l’eredità da lui stesso trovata dopo l’insediamen­to alla fine del 2011); rivendicat­o con forza il perimetro di intervento della banca centrale, che oggi comprende tutte le modalità di intervento, tradiziona­li e non, che una moderna banca centrale di rilievo continenta­le e globale deve avere; dato fra le righe importanti annunci sulla politica monetaria futura. I candidati alla succession­e sono avvertiti: chi siederà fra qualche mese al quarantesi­mo piano della torre di vetro di Francofort­e avrà sotto di se una banca centrale più forte, temprata dalla crisi, ma si muoverà anche in un sentiero tracciato da solidissim­i paletti, da cui, se pure lo volesse, difficilme­nte potrà deviare.

Vale la pena seguire il filo logico del discorso. Negli anni della crisi accadono due cose. Primo, cambiano le determinan­ti dell’inflazione. Mentre prima prevalevan­o rincari temporanei delle materie prime, dopo la crisi prendono il sopravvent­o effetti restrittiv­i della domanda. L’area euro si trova così con un’inflazione tendenzial­e (core inflation) particolar­mente bassa, che richiede un’azione energica per neutralizz­are i rischi di deflazione. In questo frangente si verifica la seconda cosa: la politica fiscale, anziché intervenir­e a sostegno della politica monetaria come avvenuto negli Stati Uniti, diviene nel biennio 2011-2012 restrittiv­a, aggravando quei rischi. L’«errore» della politica fiscale deriva, secondo Draghi — gli studenti di economia in futuro dovranno sottolinea­re questo passaggio — dal fatto che, contrariam­ente agli Stati Uniti, l’europa non ha una politica di bilancio federale. La restrizion­e di bilancio si verifica, in quegli anni, in paesi che non hanno la possibilit­à di espandere («spazio fiscale»), avendo debiti o deficit già elevati. L’area nel suo complesso avrebbe avuto quello spazio, ma la carenza istituzion­ale ha impedito di usarlo.

Agendo in solitudine, la politica monetaria entra in terreni inesplorat­i («non convenzion­ali»); tassi di interesse negativi, acquisti di titoli senza precedenti, annunci semi-vincolanti sulla propria politica futura. Esplodono nel 2012-2013 i contrasti sui limiti legali all’azione della banca centrale. La banca fa appello ai propri fini istituzion­ali: il dovere di perseguire la stabilità dei prezzi in tutta l’area, preservand­o quindi anche l’integrità dei meccanismi che determinan­o l’efficacia della propria azione in tutti i paesi, giustifica l’uso di strumenti anticonven­zionali come parte del mandato. Il fine giustifica il mezzo. Il consiglio direttivo della banca in larga maggioranz­a si allinea; la Corte di giustizia europea pone qualche condizione, ma nella sostanza

conferma la validità di questa interpreta­zione. Il timore, o l’auspicio a seconda del punto di vista, che la Bce debba incontrare limiti nel finanziame­nto di ultima istanza è rimosso; crescono i poteri ma anche le responsabi­lità.

Dietro a quella doppia vittoria, operativa e giuridica, si nascondono insidie che il successore dovrà gestire. L’azzerament­o dei tassi di interesse e i nuovi metodi del quantitati­ve easing hanno ampliato il perimetro della banca centrale ma anche fatto piazza pulita dell’apparato analitico che guidava la sua azione. La «strategia» della Bce, elaborata un ventennio fa, è antiquata e un nuovo paradigma è di là da venire. Le evidenze disponibil­i sul nuovo «meccanismo di trasmissio­ne» sono deboli, nonostante i lodevoli sforzi degli economisti della banca centrale; le dinamiche dell’inflazione nell’era della globalizza­zione e dell’automazion­e ancora poco comprese. Il problema riguarda tutte le banche centrali ma la struttura multinazio­nale e multicultu­rale della Bce rende la ricerca di un nuovo schema di riferiment­o più complessa e delicata. È lì che possono rinascere i dissensi. Ad oggi l’inflazione in Europa resta, nonostante gli sforzi, pervicacem­ente e inaspettat­amente al di sotto dell’obiettivo. «In assenza di migliorame­nto», Draghi dice, un «ulteriore stimolo sarà necessario». Non solo quindi se la situazione peggiora, ma anche se essa non migliora. E va oltre: se l’obiettivo del 2% (o poco sotto) deve essere mantenuto nel medio termine, «ciò significa che essa dovrà superare quel livello per qualche tempo in futuro». Un riferiment­o importante, solo apparentem­ente tecnico, alla possibilit­à che la banca centrale possa seppure temporanea­mente elevare il proprio obiettivo di inflazione. Anche di questo dovrà occuparsi, in futuro, la nuova «strategia».

Nelle conclusion­i Draghi vola ancor più in alto. L’euro, nonostante quello che dicono i suoi detrattori, ha costituito nella crisi un’efficace difesa del mercato unico e dell’integrazio­ne economica e finanziari­a del continente. I dati citati dal presidente parlano chiaro. L’euro, progetto politico non meno che economico, ha quindi corrispost­o alla visione dei padri fondatori «abbastanza bene». Questa visione va difesa e sarà difesa anche in futuro, con determinaz­ione, muovendo verso obiettivi più avanzati: il completame­nto dell’unione bancaria e finanziari­a, uno «spazio fiscale» europeo. Il tutto lavorando insieme per migliorare le regole comuni e sempre nel rispetto delle stesse. A chi scrive è venuta in mente un’analogia. Ai soldati che si preparano alla battaglia, il gladiatore cinematogr­afico di Ridley Scott fa due raccomanda­zioni: Stay with me (state uniti) e Hold the line (rimanete allineati). Contro il protezioni­smo e il nazionalis­mo l’europa non avrà scampo se non resterà unita e se non saprà rispettare le regole che essa stessa si è data.

L’europa non avrà scampo se non resterà unita e non saprà rispettare le regole che essa stessa si è data

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