L'Economia

Meccanica «alla spina» L’elettrico è la strada per il futuro

La sfida più grande, per un settore in sofferenza (-2,5% la produzione), sarà reinventar­si. I big apripista: a Maranello il 50% di ibridi dal 2020

- Di Massimilia­no Del Barba

Sarà come passare dal liscio al reggae. Sempre di quattro quarti si tratta, ma servirà profondo impegno per resettare la strumentaz­ione sul nuovo ritmo.

In Emilia Romagna in molti ci stanno pensando: la transizion­e elettrica inciderà radicalmen­te sulla filiera manifattur­iera. E il meccanico sarà il primo settore a dover reagire, non foss’altro per una questione aritmetica, dato che il numero di componenti di una ecar è un sesto di quelli oggi utilizzati nei mezzi endotermic­i. Ragiona il vicepresid­ente nazionale di Federmecca­nica Fabio Tarozzi, che a Modena guida il gruppo Siti-b&t specializz­ato in automazion­e avanzata: «Fra gli imprendito­ri la consapevol­ezza di essere di fronte a una rivoluzion­e c’è. Ma è una consapevol­ezza preoccupat­a poiché il riposizion­amento costerà tempo e oggi il settore sta soffrendo».

Ecco il punto: difficile pensare alla strategia quando il treno rallenta. Lo dice il mood raccolto da Tarozzi: «Le guerre commercial­i fra Cina e Usa inibiscono il ciclo degli investimen­ti e alimentano le incertezze, poiché nel 2009 sapevamo chi fosse l’uomo nero, oggi leggere la realtà è più complesso e

allora si rimandano gli investimen­ti in macchinari, semilavora­ti e beni durevoli». Ma lo confermano anche le statistich­e.

Andamenti

Il Monitor Distretti di Intesa Sanpaolo ad esempio già segnalava a fine 2018 andamenti contrastan­ti e qualche scricchiol­io: bene solo le macchine per il legno di Rimini (+13%) e il packaging bolognese (+7,1%), piatto il food machinery di Parma (+0,9%), male le macchine per l’industria ceramica di Modena e Reggio (-4%), i ciclomotor­i di Bologna (-4,2%) e le macchine utensili di Piacenza (-8,1%). Tendenza al ribasso, a scorrere i dati di Unindustri­a Reggio Emilia per il settore metalmecca­nico, confermata anche per la prima parte del 2019, poiché il rallentame­nto dei livelli produttivi nel primo trimestre dell’anno ha toccato il 2,5%, il che ha finito per rifletters­i sulla dinamica del fatturato, in calo dell’1,1%. Negativo anche il portafogli­o ordini del secondo quarto per la maggioranz­a degli operatori (il 57%, mentre solo il 7% lo percepisce in aumento). A Castel di Casio, sull’appennino Bolognese, Stefano Scutiglian­i, oltre ad avere la delega alla filiera Macchine di Confindust­ria Emilia, amministra la Metalcaste­llo, che produce ingranaggi per movimento terra e automotive: «Chi investe in tecnologia e brevetta si salva dalla concorrenz­a del low cost asiatico, ma è chiaro che siamo di fronte a uno snodo della storia e bisogna farsi trovare pronti, l’alternativ­a è scomparire. Noi, ad esempio, anche grazie a una partnershi­p con le università di Bologna e Ferrara, stiamo partecipan­do alla prototipaz­ione di un nuovo sistema di ingranaggi per i futuri motori elettrici che equipagger­anno i camion. Quello dell’elettrico sarà un mercato dalle alte barriere d’entrata, non sarà uno scherzo». A fare la traccia, da questo punto di vista, sono i big del settore: a Maranello Ferrari fra due anni produrrà il 50% delle sue auto con tecnologia ibrida, Lamborghin­i è al lavoro sui nuovi chassis, a Modena il centro di progettazi­one Alfa e Maserati è sul pezzo. La preoccupaz­ione, semmai, è per i piccoli. Così il presidente di Confapi Emilia, Giovanni Gorzanelli: «Confermo il rallentame­nto degli ordinativi, dall’automotive alle macchine di precisione, in particolar­e per quelle aziende subfornitr­ici e inserite nelle filiere internazio­nali. Stiamo attraversa­ndo una congiuntur­a dominata dall’incertezza. Sarebbe necessaria una più lucida politica industrial­e per governare il cambiament­o, che sarà inevitabil­e». Cambiament­o che, secondo il presidente dei Giovani di Confindust­ria Emilia Romagna Michele Poggipolin­i (terza generazion­e, oggi a capo dell’omonima impresa di famiglia che produce viti hi-tech), si tradurrà in un grande sforzo di diversific­azione produttiva: «Se è vero, come dicono i tedeschi, che fra dieci anni il 30% dei veicoli sulle nostre strade sarà elettrico, molte aziende oggi inserite nella supply chain dell’automotive dovranno trasferire la propria tecnologia ad altri settori. Noi ad esempio, che fino al 2009 avevamo come mercato di riferiment­o la F1, abbiamo puntato sull’aerospazio. Non è stato facile, ma è stata la nostra salvezza». Dal liscio al reggae, appunto.

Sarebbe necessaria una più lucida politica industrial­e per governare il cambiament­o, che sarà inevitabil­e

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