Meccanica «alla spina» L’elettrico è la strada per il futuro
La sfida più grande, per un settore in sofferenza (-2,5% la produzione), sarà reinventarsi. I big apripista: a Maranello il 50% di ibridi dal 2020
Sarà come passare dal liscio al reggae. Sempre di quattro quarti si tratta, ma servirà profondo impegno per resettare la strumentazione sul nuovo ritmo.
In Emilia Romagna in molti ci stanno pensando: la transizione elettrica inciderà radicalmente sulla filiera manifatturiera. E il meccanico sarà il primo settore a dover reagire, non foss’altro per una questione aritmetica, dato che il numero di componenti di una ecar è un sesto di quelli oggi utilizzati nei mezzi endotermici. Ragiona il vicepresidente nazionale di Federmeccanica Fabio Tarozzi, che a Modena guida il gruppo Siti-b&t specializzato in automazione avanzata: «Fra gli imprenditori la consapevolezza di essere di fronte a una rivoluzione c’è. Ma è una consapevolezza preoccupata poiché il riposizionamento costerà tempo e oggi il settore sta soffrendo».
Ecco il punto: difficile pensare alla strategia quando il treno rallenta. Lo dice il mood raccolto da Tarozzi: «Le guerre commerciali fra Cina e Usa inibiscono il ciclo degli investimenti e alimentano le incertezze, poiché nel 2009 sapevamo chi fosse l’uomo nero, oggi leggere la realtà è più complesso e
allora si rimandano gli investimenti in macchinari, semilavorati e beni durevoli». Ma lo confermano anche le statistiche.
Andamenti
Il Monitor Distretti di Intesa Sanpaolo ad esempio già segnalava a fine 2018 andamenti contrastanti e qualche scricchiolio: bene solo le macchine per il legno di Rimini (+13%) e il packaging bolognese (+7,1%), piatto il food machinery di Parma (+0,9%), male le macchine per l’industria ceramica di Modena e Reggio (-4%), i ciclomotori di Bologna (-4,2%) e le macchine utensili di Piacenza (-8,1%). Tendenza al ribasso, a scorrere i dati di Unindustria Reggio Emilia per il settore metalmeccanico, confermata anche per la prima parte del 2019, poiché il rallentamento dei livelli produttivi nel primo trimestre dell’anno ha toccato il 2,5%, il che ha finito per riflettersi sulla dinamica del fatturato, in calo dell’1,1%. Negativo anche il portafoglio ordini del secondo quarto per la maggioranza degli operatori (il 57%, mentre solo il 7% lo percepisce in aumento). A Castel di Casio, sull’appennino Bolognese, Stefano Scutigliani, oltre ad avere la delega alla filiera Macchine di Confindustria Emilia, amministra la Metalcastello, che produce ingranaggi per movimento terra e automotive: «Chi investe in tecnologia e brevetta si salva dalla concorrenza del low cost asiatico, ma è chiaro che siamo di fronte a uno snodo della storia e bisogna farsi trovare pronti, l’alternativa è scomparire. Noi, ad esempio, anche grazie a una partnership con le università di Bologna e Ferrara, stiamo partecipando alla prototipazione di un nuovo sistema di ingranaggi per i futuri motori elettrici che equipaggeranno i camion. Quello dell’elettrico sarà un mercato dalle alte barriere d’entrata, non sarà uno scherzo». A fare la traccia, da questo punto di vista, sono i big del settore: a Maranello Ferrari fra due anni produrrà il 50% delle sue auto con tecnologia ibrida, Lamborghini è al lavoro sui nuovi chassis, a Modena il centro di progettazione Alfa e Maserati è sul pezzo. La preoccupazione, semmai, è per i piccoli. Così il presidente di Confapi Emilia, Giovanni Gorzanelli: «Confermo il rallentamento degli ordinativi, dall’automotive alle macchine di precisione, in particolare per quelle aziende subfornitrici e inserite nelle filiere internazionali. Stiamo attraversando una congiuntura dominata dall’incertezza. Sarebbe necessaria una più lucida politica industriale per governare il cambiamento, che sarà inevitabile». Cambiamento che, secondo il presidente dei Giovani di Confindustria Emilia Romagna Michele Poggipolini (terza generazione, oggi a capo dell’omonima impresa di famiglia che produce viti hi-tech), si tradurrà in un grande sforzo di diversificazione produttiva: «Se è vero, come dicono i tedeschi, che fra dieci anni il 30% dei veicoli sulle nostre strade sarà elettrico, molte aziende oggi inserite nella supply chain dell’automotive dovranno trasferire la propria tecnologia ad altri settori. Noi ad esempio, che fino al 2009 avevamo come mercato di riferimento la F1, abbiamo puntato sull’aerospazio. Non è stato facile, ma è stata la nostra salvezza». Dal liscio al reggae, appunto.
Sarebbe necessaria una più lucida politica industriale per governare il cambiamento, che sarà inevitabile