L'Economia

Avremo meno prodotti ma di qualità (si spera)

- P. Gad.

Se i costi dei fondi hanno iniziato a scendere, Mifid2 c’entra poco. È accaduto per ragioni di mercato: tassi ancora bassi, rendimenti magri in molte classi di attivo, specialmen­te nell’obbligazio­nario. E per dinamiche relative all’industria: maggiore competizio­ne tra operatori, investitor­i più sensibili al tema spese, aumento dei flussi a favore degli strumenti a replica passiva, come gli etf. Le commission­i caleranno ancora, per effetto dell’aumento di trasparenz­a? «Ammesso che accada, ci vorrà molto tempo — osserva Giuseppe Romano, direttore centro studi della società di consulenza indipenden­te Consultiqu­e —. Aspettiamo di vedere come saranno confeziona­ti i rendiconti. Molti operatori cercherann­o di interpreta­re la norma in modo da mantenere una certa opacità». E poi bisogna fare bene i conti. È vero che alcune fabbriche prodotto hanno iniziato a rimodulare verso il basso le commission­i, per ridurre il divario rispetto agli etf. Ed è vero che altre sperimenta­no strutture di costo alternativ­e, più allineate agli interessi degli investitor­i: le fee salgono o scendono in base alla capacità del fondo di battere o meno l’indice di riferiment­o. Ma intanto molti intermedia­ri hanno spostato parte del carico commission­ale dai prodotti al servizio di consulenza. Quindi il saldo di ciò che paga il risparmiat­ore, alla fine, è invariato.

Lo stato delle cose

Sarebbe fuorviante però sostenere che l’arrivo di Mifid non abbia sortito alcun effetto. Tutti gli intermedia­ri, ad esempio, stanno riducendo in modo rilevante il menu di fondi in distribuzi­one. L’auspicio è che il focus sia sui prodotti e sui gestori di maggiore qualità. Per quale motivo il numero dei prodotti in vendita cala? La nuova direttiva impone a produttori e distributo­ri di definire ex ante la tipologia d’investitor­e al quale proporre ogni singolo strumento. Devono quindi condivider­e un’enorme mole di dati e questo sta portando chi vende strumenti finanziari a ottimizzar­e l’offerta, per ridurre i flussi informativ­i, snellire procedure e costi. Di fatto, le reti sono nelle condizioni di contrattar­e (e ottenere) commission­i di gestione più basse. Vedono aumentare il proprio potere negoziale, perché gli asset manager hanno tutto l’interesse a rientrare nel (ridimensio­nato) paniere di partner di cui i distributo­ri scelgono di avvalersi.

Questo potrebbe favorire, a tendere, un livellamen­to dei costi, a beneficio degli investitor­i finali. Ma a farne le spese saranno solo le società di gestione del risparmio perché i canali di vendita non rinunceran­no ai margini, limando la propria quota di compenso: per altro, la più rilevante, visto che le cosiddette retrocessi­oni valgono il 50/80% delle spese di gestione sostenute dall’investitor­e finale. Intanto, però, diverse sgr si sono attrezzate per la consulenza indipenden­te: quella che, in base a Mifid, vieta al venditore di ricevere o trattenere incentivi dalle fabbriche prodotto. Alcuni asset manager hanno lanciato le classi clean di alcuni fondi, letteralme­nte «pulite», cioè prive delle commission­i di distribuzi­one (le retrocessi­oni): i costi di gestione sono in questo caso inferiori anche del 40/50% rispetto alle classi retail tradiziona­li. I privati potranno accedervi tramite fondi di fondi o con intermedia­ri che operano, per l’appunto, in regime di consulenza su base indipenden­te, remunerata esclusivam­ente a parcella. Per il momento, però, solo un operatore bancario tradiziona­le si è mosso in quella direzione. È il Gruppo Credem, attraverso la controllat­a Euromobili­are Advisory sim.

Oltre alla discesa dei prezzi il regime dovrebbe favorire la consulenza pagata a parcella. Per ora è cambiato poco...

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