L'Economia

Btp, la vera storia dello spread in calo

I mercati non credono all’insolvenza e la Bce ha dato una mano. Ma i grandi investitor­i spiano le mosse su mini Bot e manovra

- Di Walter Riolfi

Prima è arrivata la minaccia di una procedura d’infrazione della Ue per debito eccessivo; e la settimana scorsa se n’è avuta certezza. Disarmante la reazione del vice primo ministro Matteo Salvini: si farà la flat tax ed emetteremo mini Bot, ha dichiarato, a significar­e che deficit e debito saliranno ancor più in futuro.

Nel frattempo, il Pil italiano è cresciuto appena dello 0,1% nel primo trimestre e la produzione industrial­e è crollata ad aprile. Ma i mini Bot servono a pagare gli arretrati della pubblica amministra­zione (53 miliardi), ribattono Salvini e Luigi Di Maio. Fanno debito e sono illegali, risponde Mario Draghi, e Fitch avverte che, se fossero emessi, si avrebbero «immediate conseguenz­e negative sul rating».

Per ironia della sorte, il debito è già salito di 53 miliardi in un anno e ad aprile ha toccato i 2.373 miliardi che, in un’economia destinata alla stagnazion­e, equivalgon­o al 135% del pil. Di questo passo l’italia non tarderà molto a contendere il primato alla Grecia (175%). Ce n’è abbastanza per mettersi al ribasso sui Btp, si direbbe, e così

hanno pensato parecchi investitor­i. Infatti lo spread, dal minimo relativo di 266 il 24 maggio, ricomincia a salire fino a 286 il 31 maggio, ma poi ridiscende precipitos­amente. E appena udite le suadenti parole di Draghi a Sintra («una politica monetaria commisurat­a alla gravità dei rischi» che spazia da tassi fermi per un più lungo periodo, se non più bassi ancora, alla resurrezio­ne del quantitati­ve easing), lo spread è finito a 240 punti. Un investitor­e razionale penserebbe che non ci sia molta logica nei comportame­nti del mercato; e, al contrario, un politico come Salvini si convincere­bbe che è giusto quel che vuol fare il governo.

La logica

Invece c’è una certa logica e Salvini non ha motivo per gloriarsi, perché è diffusa convinzion­e che «mentre la retorica di alcuni politici italiani rimane ostile alle regole europee, il governo resti impegnato a rispettare i parametri fiscali della Ue», si legge nel compassato comunicato di Fitch; oppure, nel più diretto lessico di Andrea Delitala di Pictet, che alcuni esponenti del governo siano «usi ad abbaiare molto, ma a mordere poco». Dunque, il mercato non crede a una dispendios­a flat tax e ancor meno ai mini Bot che, nel giudizio di Erik Nielsen, capo economista di Unicredit, sono idee da «economisti vudù». Fatta salva questa convinzion­e (o illusione), vi sono fattori «tecnici» e un particolar­e quadro macroecono­mico che spiegano il parziale ritorno d’interesse per i Btp. Il primo motivo, sostiene Delitala, è che, dopo lo choc di maggio e novembre 2018, quando lo spread sfiorò i 330 punti, il mercato «è oggi meno impreparat­o alle brutte notizie». Il secondo è che, in un contesto internazio­nale di rendimenti in forte calo — perché non c’è inflazione, come ripetono gli ottimisti, o perché crescono i rischi di recessione come temono i pessimisti—il 2,10% promesso dal decennale italiano è gran cosa. Con il Bund tedesco a -0,32% (minimo storico) e oltre 12 mila miliardi di titoli a rendimenti negativi in giro per il mondo (quasi il 30% delle attività esistenti), cos’altro si può comprare?

I Treasury americani offrono un ancor attraente 2%, ma il ritorno s’azzera se ci si vuol proteggere dal rischio cambio. Inoltre, aggiunge il capo investimen­ti di Pictet, è prassi assai lucrosa finanziars­i a tassi negativi presso la Bce e comprare Btp, come fanno le banche. E, anche se non puoi attingere al bengodi della banca centrale, rendimenti ancora relativame­nte elevati procurano a fondi comuni, fondi pensione e assicurazi­oni un barlume di positività e un piccolo sollievo ai risparmiat­ori che a queste hanno affidato i denari. Il precipitar­e a politiche monetarie che paiono riportarci alle condizioni di 10 anni fa ha costretto la pattuglia d’investitor­i che ancora erano al ribasso sui Btp a chiudere le posizioni. Così si spiega uno spread calato in poche settimane di 45 punti e il rendimento di 65. Anche se il costo del denaro per il Tesoro italiano è di gran lunga più caro del resto d’europa, il nostro debito appare più sostenibil­e: se gli oneri su quello emesso sono il 2,8% del Pil, il nuovo costerebbe solo l’1,3% (dati del ministero) e su questa più «modesta» spesa si fondano le proiezioni di bilancio. Ma una cosa è chiara: di tutta questa felice contingenz­a, «l’italia non ha meriti», conclude Delitala. Inoltre, questa condizione è del tutto provvisori­a. Vi sono due componenti nello spread: una misura il rischio d’insolvenza e incide per circa il 70%: il resto rappresent­a l’incognita su una possibile uscita dall’euro. Un maggior deficit pubblico (e quindi un’ulteriore crescita del debito) finirebbe per gonfiare il primo, ma avrebbe riflessi anche sul secondo. L’emissione di mini Bot, accompagna­ta dalla retorica anti euro, renderebbe invece esplosivo il pericolo Italexit. Non a caso sono due i paesi in cui Bank of America e Goldman Sachs sconsiglia­no d’investire: Gran Bretagna e Italia. È quello che pensano anche i grandi investitor­i sondati da Bofa: 50 di loro (il 42%, contro il 30% di un mese fa) hanno dichiarato di voler «sottopesar­e» l’italia nei prossimi 12 mesi.

Italia e Gran Bretagna sono i Paesi in cui è meglio non impegnarsi troppo, secondo il sondaggio globale di Bofa tra gli operatori

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy