L'Economia

Lo Stato che non paga? Serve meno burocrazia

- Pa. Pu.

Sono passati sette anni da quando è stata creata la piattaform­a dei crediti commercial­i, cinque da quando la piattaform­a ha assunto funzione di monitoragg­io dei debiti della pubblica amministra­zione e più di tre anni dall’entrata in vigore della fatturazio­ne elettronic­a, ma il Mef non riesce ancora a controllar­e in modo continuo e complessiv­o la formazione ed estinzione dei debiti di tutte le pubbliche amministra­zioni. I tempi di pagamento restano lunghi, con grave danno per lo sviluppo delle imprese, in particolar­e se sono Pmi. Secondo Banca d’italia i debiti della pubblica amministra­zione ammontano a 53 miliardi, pari al 3% del Pil. Periodicam­ente vengono proposte soluzioni, ma senza risolvere il problema.

L’ultima idea è l’emissione di speciali titoli di Stato, i minibot. Sono una buona soluzione? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Carretta, professore ordinario di economia degli intermedia­ri finanziari all’università Tor Vergata di Roma. «No, non sono risolutivi, perché le cause dei ritardi non sono finanziari­e, ma burocratic­he. Le risorse finanziari­e ci sono, previste nella legge di bilancio 2019, sotto forma di anticipazi­oni da parte della Cassa depositi e prestiti. I problemi dipendono da procedure burocratic­he superate, nonostante negli ultimi tempi siano stati fatti alcuni interventi migliorati­vi».

Quali sono allora le soluzioni davvero risolutive?

«Per aiutare le imprese fornitrici della Pa che hanno bisogno di liquidità, ma anche di regolarità e certezze operative, occorre una maggiore integrazio­ne dei sistemi informativ­i e gestionali, con il coinvolgim­ento degli operatori finanziari implicati nel processo dei pagamenti».

Ci spiega meglio?

«Occorre l’integrazio­ne del sistema di interscamb­io collegato alla fatturazio­ne elettronic­a e l’implementa­zione di funzionali­tà per facilitare la cessione e le formalità ad essa collegate. I due interventi urgenti, a costo zero, sono: primo facilitare la cessione del credito, eliminando le norme che rendono obbligator­io l’atto pubblico e il ricorso all’ufficiale giudiziari­o per notificare al debitore la cessione del credito. Un obbligo che risale al regio decreto degli anni Venti e che adesso non ha più senso. Secondo, impedire alla Pa, in quanto debitore, di opporre resistenza alla cessione del credito, con un rifiuto immotivato che, tra l’altro, non è previsto dalla legge».

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Alessandro Carretta Insegna economia degli intermedia­ri finanziari a Tor Vergata (Roma)

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