Sanità, meglio farsi un paracadute
La spesa di chi paga di tasca propria salirà a 155 miliardi nel 2019. Il rapporto Rbm: serve una previdenza di cittadinanza
Quasi un italiano su due è «rassegnato» a pagare di tasca propria per la salute, senza nemmeno aver provato a prenotare una visita o un esame attraverso il Servizio sanitario nazionale. Per l’esattezza, si parla del 44% del campione (diecimila cittadini maggiorenni) analizzato dal l’ultimo Rapporto Rbm-censis. È un fenomeno diffuso, a cui si aggiunge un altro dato: il ricorso a prestiti e credito al consumo da parte di cittadini malati o indigenti per finanziarsi le cure mediche è infatti letteralmente triplicato in un anno, passando dal 10% al 27%.
La fotografia che emerge è trasversale: poveri e ricchi sembrano in un qualche modo costretti a passare al privato. Pagare di tasca propria è infatti capitato al 38% delle persone con redditi bassi e al 50% di chi ha redditi alti, dice la ricerca. Così, si stima che nel 2019 le prestazioni sanitarie pagate di tasca propria dagli assistiti passeranno da 95 alla cifra record di 155 miliardi.
Uno dei motivi che spinge a scegliere di curarsi in strutture e cliniche private sono le lunghe liste d’attesa degli ospedali pubblici. In media, secondo il report, si
attendono 128 giorni per una visita endocrinologica, 114 giorni per una diabetologica, 65 giorni per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per una gastroenterologica, 56 giorni per una visita oculistica. Non va meglio per gli accertamenti diagnostici. In media bisogna aspettare 97 giorni per una mammografia, 75 per una colonscopia, 71 per una densitometria ossea, 49 per una gastroscopia. Nell’ultimo anno, inoltre, il 35% degli italiani non è riuscito a prenotare, neanche una volta, una prestazione nel pubblico perché ha trovato le liste d’attesa chiuse. E il 62% di chi ha prenotato una visita convenzionata ne ha effettuata almeno un’altra nella sanità a pagamento.
Urgenze
«Ben 13 milioni di italiani si sono fatti visitare da medici sia del pubblico che del privato per avere la certezza della diagnosi di una malattia», spiega Francesco Maietta, responsabile dell’area politiche sociali del Censis. Per questo «è necessario raddoppiare il diritto alla salute degli italiani e per farlo occorre pianificare una rapida transizione da una sanità integrativa di pochi (oggi circa 14 milioni di persone già hanno una polizza sanitaria) a una sanità integrativa di tutti, una sorta di “welfare di cittadinanza”—, commenta Marco Vecchietti, amministratore delegato e direttore generale di Rbm Assicurazione Salute —. Può avvenire attraverso l’evoluzione dei fondi sanitari da strumento della contrattazione collettiva nazionale a strumento di protezione sociale».
Rbm fa parte di Rbhold, tra i maggiori gruppi italiani nel campo del welfare integrativo e contrattuale, ed è specializzato nell’assicurazione sanitaria. Ogni giorno assiste i dipendenti di grandi aziende e dei principali fondi sanitari integrativi contrattuali, delle casse assistenziali, degli enti pubblici e delle casse professionali.
Oggi la spesa sanitaria privata si attesta intorno ai 37 miliardi di euro e si stima che nel 2019 possa arrivare a 42 miliardi di euro, in crescita del 7% dal 2014.
«Non c’è tempo da perdere», è stato il mantra ripetuto anche dal palco del Welfare Day, dove il rapporto è stato presentato la scorsa settimana. La popolazione italiana invecchia. Dall’inizio della crisi, in circa dieci anni, la spesa pubblica per la salute in Italia si è fermata, mentre quella delle famiglie ha continuato a crescere, come si è visto nel caso dei prestiti richiesti. Inoltre, il 92% degli italiani ha dovuto pagare di tasca propria per le cure odontoiatriche per i farmaci, occhiali e protesi.
«L’unica struttura che in Italia sembra funzionare è il Pronto Soccorso che registra un gradimento positivo per il 44% degli italiani. Il problema, ormai noto, è che ci si reca a farsi visitare anche se non si hanno reali emergenze», conclude Maietta.