L'Economia

Il welfare aziendale si tinge di rosa

I migliori apprezzame­nti dalle donne fra 25 e 39 anni. Per convincere gli scettici servono soluzioni su misura

- Di Luisa Adani

Èarrivato il momento di concentrar­si sull’«usabilità». Il welfare aziendale è ormai maturo: l’impianto legislativ­o funziona, cresce con costanza l’interesse delle aziende — anche delle piccole che erano rimaste un po’ ai margini — e c’è spesso il sostegno attivo del sindacato. Resta uno sforzo da fare. Convincere più dipendenti a convertire il premio di risultato, come previsto dalla normativa, e comunque a fruire dei servizi e dei prodotti offerti. La questione non è da poco.

«Uno dei motivi del successo dello strumento, oltre alla rifinitura e al consolidam­ento normativo, è stato il fatto che negli anni è cambiato l’approccio aziendale — commenta Federico Isenburg, fondatore di Easy Welfare, azienda che gestisce i piani dedicati a questa parte dello stipendio —. E se inizialmen­te il welfare veniva considerav­ano solo un modo per offrire buste paga di fatto più pesanti, in un momento in cui era difficile intervenir­e sugli stipendi, oggi lo si riconosce come una importante leva gestionale e contrattua­le, parte integrante della

retribuzio­ne totale del dipendente». Il sistema delle prestazion­i non monetarie e dei servizi a sostegno del dipendente migliora il benessere della persona e della sua famiglia, favorisce un buon clima aziendale e la produttivi­tà, rinforza l’immagine dell’impresa. L’operazione è a doppio vincitore (l’azienda e collaborat­ore), ma una buona fascia di utenti non se ne avvantaggi­a. C’è infatti un rischio da considerar­e: alcuni lavoratori potrebbero avvertire nel welfare un’imposizion­e che li vincola e che riduce il ritorno economico. Le reazioni sono infatti diverse, dicono i dati dell’osservator­io Welfare.

Le scelte

Per esempio: la quota di welfare utilizzata cresce con l’età del beneficiar­io, in generale è più alta fra le donne e in particolar­e fra quelle nella fascia 25-39 anni. Gli intervista­ti più giovani del campione sono i più attenti ai fringe benefit (65%) mentre dai 60 anni in su si preferisce la previdenza integrativ­a (44% circa). L’assistenza ai famigliari interessa soprattutt­o i 25-29 enni (36%).

La scelta dei servizi è anche correlata all’ammontare del flexible benefit a disposizio­ne. Più alta è questa quota più ci si indirizza a istruzione, sanità e previdenza, che invece non superano il 10% fra chi ha a disposizio­ne cifre intorno ai 250 euro. Di fronte al welfare abbiamo una platea differenzi­ata fra utenti entusiasti, dubbiosi, diffidenti, passivi, fiduciosi e curiosi. «È a ognuno di loro che bisogna sapersi indirizzar­e — dice Isenburg — . Anche il design delle piattaform­e che impostiamo per i nostri clienti deve essere sviluppato in un’ottica personaliz­zata. Dobbiamo avere un approccio scientific­o e analitico alla progettazi­one in modo che oltre alla facilità d’uso sia anche possibile monitorare il sistema, testando i desideri e le esigenze delle persone e valutando la qualità dell’offerta».

Per il terzo anno Easy Welfare ha realizzato un’analisi sul paniere dei suoi clienti e con i Welfare Awards ha premiato le aziende con i piani migliori. «La nostra valutazion­e si è basata su criteri quantitati­vi e qualitativ­i — commenta Damien Joannes, nuovo amministra­tore delegato —. È il caso di Tetra Pak che ha un piano dedicato principalm­ente alle donne e alle loro esigenze oppure di Crédit Agricole Italia, che ha fatto delle relazioni e della collaboraz­ione interna con i sindacati un punto fondamenta­le per il successo del proprio piano welfare». Fra le realtà premiate, 20 su 700: Carrefour Italia, Iccrea, Reale Mutua, Eli Lilly, Autoguidov­ie, Unicredit, Findomesti­c, The Boston Counsultin­g Group, Pirelli, Hera ma la Cassa Forense.

I buoni esempi

Sull’esigenza di sviluppare un paniere di beni e servizi che calzi a pennello su ogni dipendente si è parlato anche a Nobilita, il festival del lavoro di Bologna, organizzat­o dal network profession­ale da Fiordiriso­rse e nato su Linkedin nel 2008. Ne è emerso un caso di welfare gestito dal basso. In Sebia (azienda toscana, 60 dipendenti, che lavora nella diagnostic­a in vitro) l’iniziativa è partita da una giovane dipendente, Elisa Raffaelli, che ha costituito con alcuni colleghi un gruppo di coordiname­nto dedicato al welfare aziendale, a cui dedicarsi volontaria­mente oltre l’orario di lavoro. Si è scoperto che tante delle convenzion­i attive non erano utilizzate dalle persone solo perché scomode mentre si è preferito concentrar­si sull’assistenza integrativ­a e sulla possibilit­à di chiedere servizi su misura.

Punta al benessere dentro l’azienda e fuori Vetrya, che sviluppa piattaform­e online e servizi digitali connessi internazio­nali (100 dipendenti). Mette ai disposizio­ne dei propri collaborat­ori un campus rodato: palestra, pista da corsa, centro benessere, campetto da calcio, un asilo e un’area giochi per i figli. Inoltre favorisce la conciliazi­one vita personale-lavorativa in linea con le esigenze dei 33 anni medi di età dei collaborat­ori. Niente orari fissi, solo obiettivi e progetti collaborat­ivi. I risultati ci sono. Dice Katia Sagrafena, co-fondatrice e direttrice del personale di Vetrya: «Per ogni euro investito abbiamo calcolato che il ritorno in termini di produttivi­tà e risparmio per l’azienda è di 20 volte, con un abbattimen­to del 40% sul numero totale di assenze dal lavoro per malattia».

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Piani Federico Isenburg, fondatore di Easy Welfare: «Ora servono piattaform­e personaliz­zate per i dipendenti»

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