CON LE OLIMPIADI SI FA BUSINESS (MA NON COME POTRESTE CREDERE)
L’impatto economico si calcola con moltiplicatori spesso imprecisi. Serve più attenzione alle ricadute culturali e sociali sulla collettività. Come insegna il «modello Milano» nato con Expo 2015
Ora che abbiamo messo nel sacco il voto del Cio e che abbiamo festeggiato con il giusto entusiasmo la passione e la perizia tattica con cui Milano-cortina ha condotto il percorso fino alla vittoria, ci possiamo permettere qualche considerazione sulle stime di impatto economico che hanno accompagnato la candidatura italiana alle Olimpiadi, e allargare un po’ il discorso. Il campo di indagine delle ricadute sul territorio degli investimenti culturali e sportivi è uno dei terreni dove negli ultimi anni è stato fatto uno dei maggiori progressi nella letteratura accademica e, accanto alle canoniche analisi costi-benefici, sono fiorite indagini sui numerosi effetti che si scaricano sul contesto oggetto dell’evento. Le analisi di impatto sono indispensabili in un mondo in cui le risorse — pubbliche e private — sono sempre più ristrette e occorre fare scelte allocative oculate per non disperdere gli investimenti. Ecco allora che la misurazione di ciò che può succedere a valle di un evento diventa strumento decisionale rilevante anche per gli sponsor nella fase di fund raising.
Questa impatto-mania però ha anche gemmato negli esperti un certo sovradimensionamento ottimistico degli indicatori (quasi che ci fossero sempre solo effetti positivi), ha prodotto valutazioni troppo spot e non continuative confondendo risultati di breve e lungo termine, ha escluso categorie di costo dal computo e ha esagerato nelle stime dei visitatori.
La lista
Che cosa si intende per analisi di impatto? Una stima delle variazioni apportate da una qualche azione (un festival, una mostra, una rassegna, un insediamento architettonico, un campionato sportivo) sull’attività del territorio. Non necessariamente gli effetti associati all’impatto sono solo positivi, anzi. Nonostante molte analisi a priori entusiastiche, alcuni eventi sportivi internazionali e — sapendo che tocchiamo un campo minato, anche alcuni Expo in giro per il mondo — hanno avuto a consuntivo più ombre che luci.
La ricaduta è misurata sul piano economico. Ciò avviene attraverso i mutamenti delle uscite e delle entrate monetarie, del flusso turistico e dell’occupazione, calcolando le capacità dell’economia locale di attrarre risorse aggiuntive. Molto raramente la metodologia si spinge ad un livello più perfezionato aggiungendo al calcolo economico diretto anche quelle spese che istituzioni e imprese sono costrette a fare per fronteggiare la successiva domanda dell’economia locale, alimentando così la crescita dei consumi e della produzione che si ripetono fino all’esaurimento del ciclo (l’impatto indiretto). L’indicatore più usato in questo caso è il moltiplicatore, che aiuta a capire in maniera sintetica quanto l’investimento diretto e indiretto si tramuterà in effetto economico positivo per il territorio. Esempi ormai famosi sono le spese per la realizzazione del film Sideways che hanno reso 7 volte l’investimento nel distretto enogastronomico della Napa Valley oppure l’investimento a Matera per avere ospitato la Passione di Cristo di Mel Gibson che ha ritornato un moltiplicatore di 5 volte oppure ancora il multiplo 4 dei costi per realizzare il festival della Mente di Sarzana, il valore 6 per la finale della Coppa dei Campioni in una città europea, e così via). Poiché spesso l’indicatore appare un po’ esagerato nelle esternazioni dei decisori pubblici che hanno necessità di ottenere un ritorno politico, se si sentono magnitudini superiori al 10, bisognerebbe diffidare del rigore delle indagini che per motivi vari sovrastimano il successo dell’evento.
Le mancanze
Ma ciò che colpisce maggiormente nelle recenti analisi di impatto è la quasi totale assenza delle riflessioni sugli effetti sociali e culturali dell’evento, che invece sono esternalità positive importanti, anche se – essendo più intangibili – sono più difficilmente trasferibili in unità monetarie. Ci riferiamo alla capacità di attrarre nuovo pubblico e al raffinamento del gusto estetico della popolazione, alla capacità del territorio di costruire reti e sistemi (la contaminazione di artisti o di atleti, che poi costruiscono sodalizi longevi nei loro campi di attività), alla incrementale reputazione internazionale delle città ospitanti, alla opportunità di diventare un locus rilevante per la formazione e il lancio dei nuovi talenti. Quando si parla di trasformare il patrimonio cognitivo dei cittadini non ci si può limitare solo alle considerazioni di ricaduta economica, bensì occorrerebbe misurare la tensione e l’energia che il processo di progettazione e di realizzazione dell’evento produce nel lungo termine. Il caso di Expo a Milano è l’ esempio lampante: il processo iniziato nel 2008 e non ancora oggi terminato con l’onda lunga dell’evento del 2015 ha rilanciato la metropoli lombarda come la più dinamica e innovativa e ha introdotto nel distretto una energia che ci ha spinto oggi a coniare la dizione «modello Milano» (risultato molto più importante del business in sé). E lo stesso è stato il mood post-olimpico a Torino, che ha iniettato la voglia di cambiare volto alla capitale dell’auto. E lo stesso potremmo dire di Matera, al di là dell’indotto monetario che si scaricherà sulla Basilicata in questi sei mesi.
Eventi come le Olimpiadi invernali del 2026 o la più vicina Ryder Cup di golf a Roma nel 2022 (che sarà il terzo evento sportivo di risonanza mondiale dei prossimi anni in Italia) o i moltissimi festival di intrattenimento culturale sparsi per la penisola non sono solo escamotage moltiplicativi per l’indotto diretto e indiretto (movimenti di cassa, nuovi lavori, trasporti, ristorazione e accomodation), ma sono un importantissimo input per lo «stretching culturale» della collettività .