CDP, ENI E LE ALTRE: DALLE AZIENDE DI STATO 4 MILIARDI AL TESORO
Il «dividend yeld» delle quotate è in media del 3,7% con picchi sopra il 5% nell’energia
Con le sole cedole delle grandi partecipate il governo potrebbe pagare gran parte della cifra necessaria per evitare la procedura d’infrazione Ue. La più redditizia è Cdp con circa 3 miliardi. E poi Eni, Enel e Poste. Un portafoglio che rende più dei titoli di Stato, anche per una politica spinta dei dividendi, che comunque attrae investitori
Tre miliardi e 244 mila euro. È quanto hanno reso in dividendi le principali aziende del Tesoro lo scorso anno, secondo i bilanci da poco approvati. Non sarà l’intera cifra che, si è calcolato, potrebbe essere necessaria per evitare la procedura d’infrazione Ue, i 5 miliardi per tenere il rapporto deficit/pil al 2,1%. Ma è una bella fetta.
La gran parte — i calcoli sono dell’università Bocconi per L’economia del Corriere della Sera — viene dalla più redditizia delle aziende del ministero dell’economia, la Cassa Depositi e prestiti: 2 miliardi e 81 milioni, come dire quasi il 60% dell’utile consolidato. Cifra che sale a 2,9 miliardi, considerando l’extra dividendo richiesto da via XX Settembre proprio nei giorni scorsi alla sua partecipata, la «nuova Iri» che è azionista degli aeroporti di Milano e Napoli come di Terna, Italgas e Snam. Un’aggiunta da 794 milioni per le casse del Tesoro (pro quota sui 959 milioni complessivi, contando anche le quote delle Fondazioni bancarie socie di Cdp). Che porta l’introito totale da dividendi a circa 4 miliardi di euro. Al secondo posto, dopo la Cdp guidata da Fabrizio
Palermo, c’è con 671 milioni (il 70% dell’utile) l’enel, amministrata da Francesco Starace, con cui proprio Cassa depositi e prestiti ha fra l’altro una joint venture sulla banda ultralarga per il web veloce (Open Fiber). Insieme Cdp ed Enel apportano al ministero metà dei dividendi ordinari.
Il bronzo va alle Poste Italiane, che per la quota rimasta al Tesoro dopo la quotazione del 2015 (il 29,26%, un 35% è di Cdp) riforniscono le casse di Stato di 169 milioni (il 41% dell’utile). Segue con 131 milioni il gigante di Piazza Affari, l’eni, che distribuisce agli azionisti il 73% dell’utile (e se ci si ferma a 131 milioni per la parte dello Stato è perché al Tesoro ne fa capo oggi solo il 4,34%; il 25,76% è di Cdp).
Quasi 60 milioni (58) vengono poi dall’enav delle torri di controllo dei voli, quotata dal 2016 (ma al Tesoro ne rimane la maggioranza, il 53,28%). E una cinquantina di milioni (54) arrivano dal Poligrafico e Zecca dello Stato, che fa capo per intero al ministero dell’economia e gli gira praticamente tutti i guadagni (95% dell’utile netto).
Altri 27 milioni vengono dall’stm che l’italia partecipa in condominio con il governo francese e 24 milioni da Leonardo: l’ex Finmeccanica, che lavora soprattutto per la Difesa, è tornata al dividendo da due anni, dopo averlo negato agli azionisti fino al 2016 (e fu un lascito, la cedola, della gestione Moretti). Cinque milioni di euro, infine, sono il contributo del Gse, il Gestore dei servizi energetici.
Manca all’appello, certo, il Monte dei Paschi, che non può distribuire dividendi finché l’azionista Tesoro non completa il risanamento secondo gli accordi con l’unione europea. Comprensibile. Lo è meno il contributo zero, in quest’ultimo bilancio, di Ferrovie, che da non quotata e fornitrice di servizio universale riceve lei stessa trasferimenti dal Tesoro. Ma potrebbe generare rendimento, ragiona il mercato, se ne fosse quotata una fetta, comprendente la parte più preziosa, l’alta velocità. progetto accantonato, però. Zero dividendi anche dalla Rai, ma è servizio pubblico, non ci si aspetta che distribuisca cedole.
I tre giganti
Le aziende-bancomat per il Tesoro sono dunque la Cdp, che di fatto funziona come una banca ma non ne ha i costi operativi, l’enel, l’eni di Claudio De Scalzi e le Poste di Matteo Del Fante. È chiaro che pensare a dismissioni in questo caso significherebbe per le casse dello Stato rinunciare a fior di introiti, esattamente quest’anno a 3,8 miliardi (contando l’extra dividendo chiesto a Cdp e votato all’assemblea del 28 giugno). Per queste quattro società la quota di utili che il ministero dell’economia si riserva è infatti alta, oscilla fra il 41% (Poste) e il 95% (Enav). In mezzo c’è il 66% raggiunto di fatto dalla Cdp (con l’extradividendo) e il 70% circa di Eni ed Enel. Troppo? Chiaro che questi soldi non sono impiegati per lo sviluppo delle società, ma finiscono nelle tasche degli azionisti. È anche vero, però, che una politica di distribuzione dei dividendi generosa attrae investitori istituzionali, anche esteri.
Piccola parte dei guadagni, poco più del 10%, è destinata al dividendo invece da Stmicroelectronics (13,36%) e dalla citata Leonardo (15,87%). Nel complesso il portafoglio di aziende del Tesoro (la Bocconi ha analizzato le sette quotate e le otto grandi non quotate) è pregiato. Il rapporto fra dividendo e prezzo di Borsa (dividend yield) per le società su Piazza Affari è alto: tolto il Monte dei Paschi di Siena (zero) la media è del 3,7%, con picchi intorno al 5% per l’eni (5,23%), l’enel (4,98%) e le Poste (4,92%).
Il valore
Tutto mentre l’intero portafoglio delle grandi 15 società di Stato mantiene un valore elevato, compatibilmente con le oscillazioni di Borsa: 104,7 miliardi, calcola la Bocconi (dati al 26 giugno scorso, contro i 104,8 miliardi di fine aprile). E se le aziende più pesanti in questo senso sono Cdp, Enel ed Eni, in generale il rapporto fra dividendo e valore (calcolato secondo i prezzi di Borsa per le quotate e col metodo del patrimonio netto o dei multipli per le altre) è del 3%. Più dei titoli di Stato, che rendono sull’1-2% (1,38% il tasso medio all’emissione al marzo scorso). Ed è curioso che i 3,2 miliardi di dividendi incassati dal Tesoro (al netto dei 794 milioni aggiuntivi richiesti a Cdp) equivalgano all’incasso dell’ultima asta di titoli di Stato, i Ctz e i Btp indicizzati con cui il Tesoro ha fatto il pieno con 3,25 miliardi di euro.