IL LASCITO DI DRAGHI A DIFESA DELL’INDIPENDENZA DELLA BANCA D’ITALIA
Nomine, quote e riserve: la lettera del presidente della Bce al Parlamento sulla proprietà dell’istituto centrale smonta i presupposti delle proposte della maggioranza gialloverde. C’è il rischio di incrinare l’autonomia dei vertici operativi, provocare danni ai bilanci dei soci e violare, ancora una volta, le regole Ue sui conti pubblici
Chiunque sia interessato a capire lo stato delle relazioni fra l’italia e il resto dell’unione europea dovrebbe leggere un documento firmato da Mario Draghi il 24 giugno scorso. È un parere che il presidente della Banca centrale europea ha inviato alla Camera sulla proposta di legge presentata da alcuni esponenti della maggioranza «sulla struttura proprietaria della Banca d’italia» e sul ruolo di quest’ultima nella gestione delle riserve, in particolare quelle auree del valore di circa 90 miliardi di euro. L’opinione della Bce non è vincolante, ma è di natura legale ed è molto precisa — quanto preoccupata — su alcuni punti delicati per l’equilibrio fra poteri in Italia. Dal merito delle parole di Draghi, più che dal tono, salta agli occhi come un sordo attrito fra istituzioni sul ruolo e sul controllo di Banca d’italia non sia un rischio per il futuro. È già realtà. La posta in gioco è multipla: l’equilibrio di potere in Italia fra autorità elette che rappresentano la volontà dei cittadini e autorità indipendenti che assicurano pesi e contrappesi a qualunque eventuale abuso di potere; la posizione del Paese nell’euro; infine, la stabilità e il capitale di una buona parte del sistema finanziario che — nota la Bce — rischia di essere espropriato.
Indipendenza
Probabilmente questo è solo un assaggio di ciò che arriverà nei prossimi mesi, se e quando andrà avanti un’ulteriore proposta di legge sul sistema di nomine e di definizione dello statuto della Banca centrale. Ma come assaggio, è un boccone importante. Gli appunti mossi dalla nota legale firmata da Draghi sono numerosi e vanno alla sostanza delle funzioni di Banca d’italia. La Bce scrive per esempio: «È importante che non siano abrogati», come invece previsto dalla proposta di legge sotto esame, due commi (1 e 2) dell’articolo 5 della legge 133 del 2013 approvata durante il governo di Enrico Letta. Quei due commi impediscono che l’assemblea dei partecipanti al capitale della Banca d’italia e il Consiglio superiore dell’istituto possano interferire nelle funzioni dei vertici operativi e indicano i requisiti per la cooptazione nello stesso Consiglio superiore: «Indipendenza, onorabilità e professionalità».
Secondo la Bce, abolire quei due principi renderebbe vulnerabile la Banca d’italia a interferenze esterne, anche da parte della politica. In primo luogo, il rischio è presente perché l’«indipendenza» non sarebbe più un presupposto per chi viene cooptato nel Consiglio superiore. Soprattutto però, se la legge fosse approvata nella forma attuale, l’assemblea dei quotisti potrebbe interferire nelle scelte della Banca d’italia — anche quelle da compiere a Francoforte — proprio mentre la stessa legge avanzata dalla maggioranza in Italia prevede il passaggio del capitale dalle banche e altre istituzioni private al Tesoro. In altri termini, da Francoforte si fa notare che la versione attuale della riforma proposta sulle quote apre la strada all’influenza della politica sulla Banca d’italia. «In generale — si legge nel documento firmato da Draghi — la Bce sollecita le autorità italiane a valutare attentamente i possibili effetti della proposta di legge sulla struttura proprietaria della Banca d’italia sull’indipendenza dell’istituto stesso come sancita dal Trattato» europeo.
Le quote
Un aspetto controverso, secondo Draghi, riguarda il valore al quale le partecipazioni al capitale di Banca d’italia dovrebbero passare dagli attuali soci privati al governo. L’assetto attuale è un’evoluzione della riforma del 1936, che coinvolge nel capitale dell’istituto di emissione le banche stesse. Oggi, alla luce del riassetto del 2013, le banche detengono quote da 25 mila euro ciascuna di un capitale del valore nominale stimato in 7,5 miliardi. Queste partecipazioni danno loro il diritto di partecipare alla suddivisione, al massimo, del 6% degli utili annui (il resto va come dividendo al Tesoro, perché Banca d’italia resta comunque un istituto di diritto pubblico); ma nessun quotista può detenere più del 3% e i diritti di indirizzo dell’assemblea degli azionisti sono di fatto azzerati dagli articoli che l’attuale proposta di legge di maggioranza cerca di abrogare. In sostanza il sistema delle quote in vigore serve per dare sostanza al patrimonio delle banche, non per governare l’istituto centrale.
Ora, la riforma messa in campo dalla maggioranza prevede un cambiamento. Il ministero dell’economia dovrebbe comprare dalle banche le quote «al valore nominale di mille lire» ciascuna (pari a 0,51 euro). In altri termini un capitale oggi nei libri delle banche per 7,5 miliardi passerebbe allo Stato per 150 mila euro, infliggendo così un’erosione al patrimonio degli istituti stessi. Presentata così, l’operazione sembra molto simile a un esproprio. Nota la Bce: «Il prezzo di acquisto summenzionato (…) merita attenzione da parte delle autorità italiane sotto il profilo del diritto di proprietà».
Oro e riserve in valuta
Ci sono poi le questioni relative alle riserve. La proposta di legge in esame sancisce che la Banca d’italia gestisce e detiene le riserve auree «ad esclusivo titolo di deposito» e che la proprietà delle riserve in valuta estera passi dai bilanci dell’istituto allo Stato. La Bce si oppone a entrambi questi passaggi. La nota legale chiede che cada la menzione all’«esclusivo titolo di deposito», perché Banca d’italia non è la semplice depositaria ma il gestore plenipotenziario dell’oro della Repubblica: ne va della tutela di questo patrimonio dalle mire della politica. Inoltre, nella proposta di legge anche il passaggio alla diretta proprietà dello Stato delle riserve ufficiali in dollari, yen o sterline sarebbe illegale perché equivarrebbe a un «finanziamento monetario» del governo ad opera della banca centrale (ciò è vietato dal Trattato europeo). Nel frattempo è già arrivata un’altra proposta di legge che dà potere a governo e parlamento di cambiare lo statuto di Banca d’italia e nominarne tutti i vertici. Probabile dunque altre note critiche da parte della Bce. Cosa sta accadendo? Di certo in alcuni politici aver dovuto subire nei mesi scorsi nomine sgradite nel direttorio dell’istituto centrale ha provocato una reazione. Se diventerà conflitto istituzionale aperto, in Italia e in Europa, lo si capirà molto presto.