Facebook e la grana della criptovaluta
LA CRIPTOVALUTA DI MARK CHI CI GUADAGNA?
La nuova moneta di Facebook parte col piede sbagliato. È basata sulla tecnologia blockchain, ma non è così democratica perché è controllata dai suoi fondatori, di cui non è chiaro il potere. Inoltre è garantita da riserve investite in titoli di Stato, la cui gestione può provocare rischi sistemici sui mercati finanziari
C’è da fidarsi di Libra ovvero della criptovaluta inventata da Facebook? È la domanda che tutti si sono posti dopo il recente annuncio della nascita della nuova iniziativa del social network di Mark Zuckerberg.
Prima che Libra veda davvero la luce — l’anno prossimo, nelle intenzioni dei promotori, fra i quali si contano anche le emittenti di carte di credito Visa e Mastercard e il sistema di pagamenti online Paypal — il progetto dovrà passare al vaglio delle varie autorità di controllo. Quelle degli Stati uniti e dell’europa hanno già promesso un severo scrutinio.
I punti da chiarire infatti sono moltissimi, prima di poter concludere che sì, ci si può fidare. A partire dalle questioni di base: come e da chi è regolata Libra, intesa sia come valuta sia come consorzio che la gestisce? È una banca, una moneta, un fondo Etf o tutto questo insieme?
Le critiche
I primi a criticare il progetto di Zuckerberg e del suo braccio destro nella creazione di Libra, David Marcus (vedere L’economia del 24 giugno), sono stati i puristi della tecnologia blockchain, quella su cui si basa la stessa Libra. Loro denunciano che il sistema di Libra non è davvero decentralizzato e democratico — le caratteristiche fondamentali della blockchain — e probabilmente non lo diventerà mai, come invece promette il «libro bianco» su Libra pubblicato da Facebook.
Blockchain è una catena di blocchi di transazioni visibili a tutti, «approvate» dai partecipanti al sistema attraverso un protocollo del consenso. È un sistema aperto, chiunque può parteciparvi se in possesso di un computer e di certe caratteristiche tecniche. Libra invece è controllata dai suoi fondatori: ma quali poteri avranno sul sistema? Potranno vietare l’accesso a certe categorie di utenti? Impedirne l’uso in certi Paesi? Bocciare lo sviluppo di applicazioni?
E fra i fondatori di Libra, davvero Facebook avrà solo un peso uguale a quello di tutti gli altri? O il consorzio è solo un paravento per evitare problemi con l’antitrust, come sostengono i critici?
Lo scopo di Libra, ha spiegato Zuckerberg, è offrire un’alternativa ai servizi bancari efficiente e a bassissimo costo, per chi non ha accesso a un conto corrente, in particolare nel Terzo mondo. Con Libra si potranno effettuare pagamenti e trasferimenti di denaro via telefonino come si inviano messaggi via Whatsapp o Messenger (due sistemi della famiglia Facebook) o con altre app. Però molti di quelli senza un conto corrente nel Terzo Mondo non hanno neppure uno smartphone, fanno notare i critici. E negli Stati Uniti oltre la metà di chi non ha accesso ai servizi bancari è in questa condizione perché non ha abbastanza soldi, secondo la Fdic, il fondo federale di garanzia dei depositi. Inoltre servizi alternativi alle banche via telefonino esistono già, con miliardi di utenti nel mondo, senza bisogno di ricorrere alla blockchain. In Cina per esempio ci sono Wechat Pay e Alipay. In altri Paesi, dall’india al Sudafrica, c’è Mpesa. E in America e altrove funzionano Paypal e Venmo.
Il meccanismo
Un plus di Libra sarebbe il fatto che il suo valore sarà legato a un paniere di valute affidabili e quindi dovrebbe essere stabile, non volatile come quello dei Bitcoin e di altre criptovalute; inoltre sarà garantito da riserve liquide. Il meccanismo è questo: quando un utente vuole scambiare i suoi soldi con la valuta Libra — per effettuare poi pagamenti o trasferimenti di denaro —, vengono create tante unità di Libra quante ne vale la somma da scambiare. Il valore equivalente viene immesso nelle riserve. Viceversa, quando un utente vuole riscattare le sue Libra, incassa il denaro contante, preso dalle riserve e le relative Libra sono «distrutte». L’ammontare delle riserve dipende quindi da quante Libra sono in circolazione. Ma questo comporta due tipi di problemi. Il primo è che le riserve devono essere «sicure»: secondo il «libro bianco» saranno investite solo in titoli emessi da Stati o entità con basse probabilità di fallimento. Se Libra avesse un grande successo, aumenterebbe moltissimo la richiesta di quei titoli, con un forte impatto sui tassi di interesse, già oggi negativi nel caso per esempio dei bund tedeschi.
Il valore
Il secondo problema riguarda chi gestisce le riserve, chi le custodisce e chi le controlla. Anche i titoli teoricamente a «rischio zero» in realtà possono fluttuare di valore, come ben sanno i gestori professionali di patrimoni. E se le riserve di Libra diventano ingenti, la loro gestione sarà una faccenda delicatissima per la liquidità dei mercati finanziari globali. Oltretutto i fondatori di Libra hanno il diritto di incassare i rendimenti degli investimenti delle riserve, al netto delle spese per far funzionare il sistema: ma se vogliono guadagnarci, dovrebbero aumentare il livello di rischio degli investimenti. E ancora: Libra è una valuta digitale, ma ha bisogno di una rete di rivenditori autorizzati per scambiarla con i contanti degli utenti. Quali garanzie di liquidità daranno questi rivenditori, in particolare nei Paesi del Terzo mondo?
Infine c’è lo scottante tema della privacy, su cui Facebook promette di non ripetere i gravi errori del passato. La sua nuova società Calibra, creata per sviluppare servizi basati su Libra, giura che userà i dati finanziari personali degli utenti per offrir loro altri prodotti solo se gli stessi utenti daranno il permesso.
Resta da vedere quanto chiaro e facile da capire sarà il meccanismo per dare o negare il consenso.