Dove va l’italia senza grandi imprese?
Ese poi le battute sguaiate e le risse con le imprese finissero per mettere in mora e travolgere anche quel po’ di progettualità industriale fin qui espressa? Entro pochi giorni, i tempi li detta il concordato in continuità di Astaldi, potrebbero arrivare a maturazione le decisioni su «Progetto Italia». È l’idea di aggregare il sistema delle costruzioni, gravato da una crisi di lungo corso (e quanto sia grave potete leggerlo a pagina 15 nel servizio di Antonella Baccaro). Pietro Salini, regista e promotore, ha spiegato nei giorni scorsi al «Corriere» che «non è un’operazione di salvataggio di imprese
decotte ma un’operazione d’intervento tra imprese e istituzioni finanziarie a supporto di un progetto per il sistema-paese». Coinvolgendo accanto a gruppi in difficoltà finanziarie come Trevi, Condotte, Grandi Lavori Fincosit e Cmc, aziende in bonis come Pizzarotti e Rizzani De Eccher. Un «polo», insomma, non una Gepi, capace di sviluppare una massa critica tale da avere ruolo e visibilità sui mercati internazionali. Con accanto la Cassa depositi e prestiti, regista di sistema e le banche, che tentano per questa via di rientrare dall’ingente quantità di credito incagliato nella crisi dell’edilizia.
Come sempre i finali di partita sono quelli decisivi e su soldi, governance e sentimenti c’è ancora la possibilità di importanti confronti.
Poi toccherà agli azionisti. E se i numerosi giri di tavolo in corso dicono il vero, vedremo presto una serie di pronunciamenti. D’altra parte il clima di scontro continuo che parte della maggioranza alimenta con le aziende non autorizza nessun pronostico. Una politica distratta, e a caccia di nemici, ci ha insegnato, ricordandocelo negli ultimi giorni con nuove e clamorose punte polemiche, che ai toni forcaioli corrisponde spesso il muro di gomma delle decisioni mancate che lasciano in sospeso piccoli e grandi. Ma senza grandi imprese, l’italia dove va?