DAI PORTAPACCHI ALLE VALIGIE CON THULE IL VIAGGIO VALE SEMPRE
L’azienda svedese che negli anni Sessanta ha inventato l’iconico attrezzo da mettere sul tetto dell’auto ha ampliato il business verso lo sport. Oggi punta su trolley, zaini e accessori per l’infanzia. Il segreto del successo? Investire almeno il 6% in ricerca, dice il ceo Welander
«Colui che vuole viaggiare felice deve viaggiare leggero», diceva Antoine de Saint-exupéry, lo scrittore del Piccolo Principe. Invece basta percorrere una delle autostrade italiane nei week end, piuttosto che nei mesi estivi, per trovare auto stracolme di ogni cosa. Che sia di terra, di cielo o di mare, il bagagliofardello è la condanna di ogni viaggiatore. «Bring your life (Porta la tua vita con te) è il nostro tag line — dichiara Magnus Welander, dal 2010 ceo e presidente dell’azienda svedese Thule —. La nostra missione è semplificare la vita del viaggiatore, senza costringerlo a rinunce».
Era il 1942 quando a Hillerstorp, un piccolo paesino nel Sud della Svezia, si lavorava il ferro. La famiglia Thulin era specializzata in prodotti per la caccia. È stata poi l’intuizione del figlio, vent’anni dopo, a creare quello che oggi è l’impero Thule, presente in 140 Paesi nel mondo con 2.300 dipendenti tra i nove stabilimenti e i 35 uffici di vendita. Il 2018 si è chiuso con un fatturato di 6,4 miliardi di Sek (circa 606 milioni di euro).
Giovane, con poca voglia di studiare, ma tanta creatività e con lo spirito imprenditoriale nel sangue, il ragazzo disegna quello che è diventato il primo porta valigie da tetto per auto. Erano gli anni Sessanta e la Svezia godeva di una buona economia. Non avendo partecipato alla Seconda Guerra Mondiale, il Paese era fiorente e anche un operaio poteva permettersi l’acquisto di un’automobile. E con la macchina gli svedesi si spostavano, andavano nelle piccole case di campagna portando con loro ogni bene (dall’utile al futile). All’inizio l’azienda contava sulla forza di sei persone: padre, madre, due figli e due operai. Quando il mercato si allargò, arrivarono gli investimenti in macchinari e personale. Negli anni Settanta l’apertura verso la Germania. «Iniziarono ad arrivare i soldi veri — racconta Welander —. Con il boom dello sci-algrande pinismo, abbiamo disegnato il primo porta sci per auto». A contribuire alla fortuna dell’azienda è stato, quasi involontariamente, il grande sciatore Ingemar Stenmark che utilizzando il porta sci di Thule sulla sua auto ne divenne il portavoce. «Thule era dappertutto nel mondo, tranne che negli stati Uniti. Gli Usa sono un po’ lo zoccolo duro di ogni azienda: o si prende il volo, o si fallisce. Si doveva correre il rischio», racconta il presidente.
Apripista
A fare da apripista, un cugino della famiglia: per sei mesi non ebbe successo. Ma era il 1982 e in America si iniziava a praticare il windsurf, ancora sconosciuto nel resto del mondo. Accadde che in una fiera di attrezzature sportive, il velista californiano Robby Naish vedendo lo stand di Thule esordì dicendo, davanti a decine di giornalisti: «Finalmente Thule è arrivato anche negli Usa». Il dado era tratto. Ora l’azienda, che negli Stati Uniti ha prodotto nel 2018 un fatturato di 1,852 miliardi di SEK, è presente con la storica fabbrica nei pressi di New York e una più recente a Chicago.
«Tutti i disegni escono dal quartier generale di Malmö, ma vengono realizzati
Nel 1999 la vendita a un private equity che punta tutto sulla fornitura all’automotive. Ma non aveva fatto i conti con la crisi del 2008...