NOI TEDESCHI NON CE NE ANDREMO MA ALLE AZIENDE SERVE FIDUCIA
Gerahrd Dambach, neopresidente della Camera di commercio italo-germanica: questo Paese ha garantito ottimi margini, resteremo anche nelle ipotesi peggiori. Ma voi non sfidate i mercati. Le chiavi del rilancio? Auto e costruzioni
Sono pochi gli interlocutori che rispondono alle domande andando dritti al punto, anche quando si tratta di questioni scomode. Gerahrd Dambach è uno di questi. Tedesco di Bruchsal, nel Badenwürttemberg, 56 anni, è entrato in Bosch nel ’93. Oggi è amministratore delegato con responsabilità per il Sud Europa. Dal 10 giugno è anche il nuovo presidente della Camera di commercio italo-germanica.
Le imprese tedesche sono pessimiste sull’italia. Il 26% dichiara di non avere in programma investimenti e il 10% teme di dover ridurre i posti di lavoro. Perché?
«In Italia la domanda interna è in calo dal 2007 e sta scendendo ancora. Visto che il 60% del Pil è generato dalla domanda interna, questa debolezza preoccupa. Detto questo, le imprese tedesche non abbandonerebbero l’italia nemmeno negli scenari peggiori. L’italia ha garantito finora ottimi margini».
Consigli per uscire dall’impasse?
«Sono due le strade per influenzare il Pil in modo significativo. Costruzioni e automotive. Ma se il punto è risollevare il Pil in tempi brevi, per evitare un 2019 con il segno meno, allora non ci sono dubbi: bisogna puntare sull’auto. L’anzianità media del parco auto in Europa è di 8 anni. In Italia di oltre 11. E poi bisogna ridurre l’inquinamento».
Il governo ha già varato un sistema di incentivi.
«L’econobonus premia auto che emettono valori di CO2 al di sotto di 70 g/km, senza considerare la CO2 che viene emessa durante la produzione e il riciclo delle batterie e quella originata dalla produzione dell’energia elettrica. Inoltre le colonnine per la ricarica sono poche. Non mi stupisce che gli italiani non ne approfittino. Servirebbero invece incentivi che aiutino a rottamare le auto delle categorie più inquinanti in mano alla parte meno ricca della popolazione. In questo modo si potrebbe ridurre del 60% la Co2 prodotta».
Quindi incentivi anche sulle auto diesel? Di recente ha detto che la crisi del diesel in Italia può valere 150 mila posti di lavoro. Si può comprare un’auto solo per il lavoro senza considerare l’ambiente?
«Dati scientifici alla mano, il diesel resta la tecnologia più pulita raffrontando i costi per l’utenza e la fruibilità dell’automobile. In questo momento l’automotive è l’unico settore che può dare una spinta al Pil. La decisione d’acquisto di un’auto si prende in 4 settimane. Gli effetti si vedrebbero ancora sul Pil 2019».
Diceva che la seconda strada sono le costruzioni.
«Certo. L’impatto sarebbe più lento. Ma efficace. Lavorerebbero le imprese del territorio. E poi il patrimonio immobiliare dell’italia ha bisogno di riqualificazione».
Quali?
«Se peggiora il Pil aumentano i rapporti deficit/pil e debito/pil. L’UE non potrà chiudere gli occhi e diventerà più probabile la procedura di infrazione. Le agenzie di rating allora potrebbero intervenire con un
downgrading. E questo renderebbe il debito più difficile da finanziare. L’italia deve evitare questa spirale».
Secondo il governo si tratta di uno scenario troppo pessimista.
«Temo invece che il rischio che tutto si inceppi sia sottostimato. E poi: che senso ha sfidare i mercati? Meglio fare politiche che aumentino la fiducia. Se il governo vuole andare avanti e mantenere le promesse deve prima stabilizzare l’economia. Non dimentichiamo che nessun Paese ha avuto una crisi lunga come l’italia».
Il reddito di cittadinanza può rilanciare i consumi?
«I consumi di bassa qualità che arrivano dall’asia, forse. Le persone con basso potere d’acquisto non si possono permettere il made in Italy. Parliamo di una misura che vale 7 miliardi l’anno. È giusto aiutare chi è in difficoltà. Ma non aspettiamoci miracoli sulla crescita».
Cosa pensa del salario minimo?
«Se un’attività non è in grado di stare in piedi pagando una retribuzione dignitosa, allora non vale la pena di essere portata avanti».
Le multinazionali straniere sono sotto accusa per la velocità con cui dismettono le loro attività rimangiandosi i piani sull’occupazione.
«Se ho preso soldi pubblici e non mantengo le promesse legate a un piano che in questi casi dura 5 anni è giusto che io paghi. Il problema è quando partono meccanismi di stigmatizzazione a fronte di comportamenti dovuti alla crisi. L’unico modo per gestire le crisi è agire d’anticipo. Con una giusta collaborazione tra imprese-governo e sindacati. Invece a volte pare che l’obiettivo sia mettere con le spalle al muro l’impresa».
Italia e Germania costituiscono l’ossatura manifatturiera dell’europa. Cosa ci serve per competere con Usa e Cina?
«Servono politiche che puntino sui campioni nei vari settori. Concentrando risorse e investimenti. E poi maggiore collaborazione impreseuniversità. In Germania il 44% delle grandi aziende lavora con l’università. In Italia il 27% delle grandi e il 6% delle piccole. Troppo poche».
La formazione duale — divisa tra aula e azienda — è un punto di forza del sistema tedesco. Può attecchire in Italia?
«Come Camera di commercio italogermanica la stiamo promuovendo e l’esperienza ci dice che può funzionare in modo ottimo anche qui. Per i giovani ma anche per l’aggiornamento di chi è già in azienda. Anzi, questa è la nuova sfida».