Gli equilibri impossibili In giugno tutto su. E adesso?
Non può durare la condizione di un mercato in cui attività finanziarie antagoniste (azioni, bond e oro) salgono su scommesse diametralmente opposte. Il dilemma dei tassi e le pressioni di Trump sulla Fed
«La Borsa sta per archiviare uno dei mesi più felici della sua storia (…). Grazie signor presidente». L’autore del Tweet del 25 giugno è Donald Trump in persona e il presidente in questione non è quello della Federal Reserve: è lui stesso, che si autoringrazia e non si capisce per cosa. Perché quel quasi 7% scalato dall’indice S&P500 a giugno è semmai merito del bistrattato Jerome Powell che, promettendo (o lasciando sperare) un imminente taglio dei tassi, è il vero artefice di tanto entusiasmo a Wall Street. I presunti meriti del presidente degli Stati Uniti sarebbero stati valutati qualche giorno dopo, il 28 - 29 giugno, alla riunione dei G20 a Osaka e in particolare nell’incontro con il presidente cinese Xi Jinping sulla questione della guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. Siccome questo giornale era in stampa proprio in quei giorni, non ci è possibile descriverne l’esito. Ma il lettore lo capirà prontamente osservando oggi la reazione dei mercati.
Lo scenario
Se dal colloquio con il leader cinese uscirà qualcosa di buono, Wall Street si avvierà a nuovi record, come suggerivano giovedì le scommesse degli operatori sulle opzioni, che puntavano a un indice sopra i 3 mila punti. Diversamente, tutta la gloriosa ascesa di giugno andrebbe vanificata in poche sedute: anche nel caso in cui i due contendenti, pur non trovando un accordo, «rinunciassero a una rapida escalation» della guerra commerciale, come ritiene probabile Nouriel Roubini.
Anche a prescindere dall’incontro tra Trump e Xi, le citate scommesse degli operatori sulle opzioni appaiono in ogni caso un azzardo. Di certo una conclusione moderatamente positiva, facendo leva sulla psicologia, spingerebbe per un poco la Borsa al rialzo. Ma si riaprirebbe subito la questione dei tassi d’interesse. Se la Fed è disposta a tagliarli, come avrebbero inteso gli operatori dalle parole di Powell, confermandosi nell’idea che li troveremo almeno 75 centesimi più bassi a fine anno, lo farebbe anche nell’evenienza di una felice conclusione della guerra commerciale?
A sentire gli analisti di Goldman Sachs, Bank of America, JP Morgan, State Street, Morgan Stanley, così come i gestori di Neuberger Berman e Unigestion, si direbbe di no: la volontà della banca centrale di rendere più espansiva la propria politica monetaria sarebbe dettata non da un significativo deterioramento delle condizioni economiche interne, ma solo dalla necessità di proteggere l’america dai rischi esterni: un po’ «come fece Alan Greenspan nel 1995» (crisi messicana e asiatica poi), secondo Unigestion; oppure una sorta di «assicurazione preventiva contro una crescente incertezza», nell’interpretazione di Jan Hatzius di Goldman Sachs.
Se il rischio maggiore per l’economia sta nella guerra commerciale, l’ipotetica eliminazione di quel pericolo allungherebbe la durata del ciclo economico che già adesso, nell’analisi di Bofa, non giustificherebbe i 3-4 tagli dei tassi scontati dai mercati. Ma, se i danni di una guerra commerciale fossero già reali, come sostiene Ubs, e si vedrebbero nel calo degli investimenti delle imprese, oppure nel crollo degli scambi commerciali segnalati dall’indice sul trasporto merci nel Nord America, e persino dall’indice sul traffico dei camion negli Stati Uniti, come osserva Bofa, allora sì che si giustificherebbe la politica espansiva della Fed: perché sarebbe la prima reazione a una recessione incombente.
In ogni caso, i mercati si troverebbero costretti a modificare bruscamente le loro posizioni: nell’ipotesi che le cose migliorino, sarebbe quello obbligazionario a dover pagare il prezzo maggiore; nel caso che peggiorino, sarebbe Wall Street a patire gli accresciuti rischi di recessione.
Segnali
Un taglio dei tassi dell’entità supposta dal mercato non è mai un bel segno, commentano i gestori di Anthilia, poiché ha sempre preceduto un forte deterioramento economico. In ogni caso, le valutazioni, in particolare di Wall Street, paiono elevate e lasciano un poco perplessi le considerazioni di State Street, secondo la quale le Borse hanno ancora qualche spazio per salire grazie ai tassi d’interesse più bassi. «Se i multipli delle azioni fossero una funzione del rendimento dei titoli di Stato a 10 anni, la Borsa tedesca dovrebbe quotare a un p /e astronomico», osservano gli analisti di JP Morgan. Con tassi prossimi allo zero o negativi, i modelli di valutazione dei flussi futuri non funzionano più. E non può durare la condizione di un mercato in cui attività finanziarie antagoniste (azioni, bond e oro) salgono tutte su scommesse diametralmente opposte.
Se il rischio maggiore sta nella guerra commerciale, la fine di quel pericolo può allungare la durata del ciclo? Non tutti sono d’accordo