UNO SHOPPING DA 800 MILIONI PER LA SALUTE TECH E ORA LA CDP BUSSA...
HO INVESTITO 800 MILIONI IN UN ANNO ORA MI CERCA LO STATO
«Messi in fila fanno un totale di quasi 800 milioni di euro di investimenti programmati in poco più di dodici mesi, tra crescita interna e acquisizioni». Diana Bracco è reduce da una campagna di shopping che ha spinto il gruppo che guida al vertice dell’m&a delle imprese italiane all’estero. E fa i conti dopo una stagione vissuta al galoppo. Entro fine luglio staccherà un assegno da 450 milioni di dollari nel closing che segnerà il passaggio ufficiale di Blue Earth Diagnostics, la biotech di Oxford nella diagnosi oncologica attraverso mezzi di contrasto, sotto il cappello del gruppo Bracco. I numeri sono la sintesi dell’impegno della famiglia Bracco, alle redini di un gruppo della diagnostica per immagini e del life science arrivato a 1,291 miliardi di ricavi nel 2018, in crescita del 4,1%. Di questi l’86% viene dall’estero. È un’impresa italiana che si piazza tra i leader mondiali nella diagnostica per immagini e negli iniettori per mezzi di contrasto. Al timone come ceo e presidente c’è l’imprenditrice milanese, classe 1941, una laurea in chimica come suo padre Fulvio. «L’acquisizione britannica cade a 25 anni dall’acquisto della Squibb Diagnostics, la più importante per il gruppo, perché ha segnato il coronamento del ‘sogno americano’», dice l’imprenditrice. Oggi Bracco è un gruppo che si articola tra Bracco Imaging, l’attività più rilevante, Poi c’è la statunitense Acist negli iniettori per mezzi di contrasto e infine il Centro diagnostico Italiano nell’healthcare. «Siamo anche diventati cacciatori di startup — rivela —. Abbiamo investito un anno e mezzo fa nell’olandese Surgvision e ora in quella fondata da due giovani ricercatori del Cnr, Deeptrace nel campo della Radiomica nella diagnosi per l’alzheimer. A Milano vogliamo creare un hub per la ricerca tra Cdi e Bracco Imaging».
Ma 1,3 miliardi di ricavi bastano per reggere la concorrenza?
«Siamo leader globali nel nostro settore. Pensi che nel mondo una procedura diagnostica a raggi X su tre è effettuata
con un nostro mezzo di contrasto. Non bisogna comparare Bracco ai grandi gruppi della farmaceutica, bensì alle loro divisioni nella diagnostica e lì si vede che le nostre attività sono più forti. Abbiamo fatto un percorso. Siamo cresciuti con ordine, focalizzandoci sul core business vendendo anni fa a Dompé la farmaceutica che non era più strategica. Abbiamo incassato 200 milioni e li abbiamo investiti per crescere ancora, forti anche di un cash flow operativo nel 2018 pari a circa 170 milioni. Il gruppo ha un rapporto tra flusso di cassa operativo ed Ebitda superiore all’80%. Non bisogna mai smettere di impegnarsi, ci vuole il coraggio dell’azione, l’imprenditore deve assumersi il rischio. L’abbiamo fatto con un’acquisizione da 450 milioni di dollari, tutta finanziata con capitali internazionali da JP Morgan. È una sfida, un segnale ai mercati. Se n’è accorta anche la Cassa depositi e prestiti che ci ha contattato per eventuali operazioni congiunte da realizzare assieme in futuro».
Possono nascere progetti comuni con la Cdp?
«Andremo a trovarli per presentare l’azienda. Lo Stato deve imparare a fidarsi dei privati. Assieme si possono fare grandi cose. Credo che Expo 2015 a Milano sia stato un esempio virtuoso di collaborazione, nell’ambito di un’alleanza in cui il privato è a disposizione per la crescita del Paese. Quei terreni ora possono fare della città la capitale del ‘Life science’ attraverso lo Human Technopole».
Investirete nell’area milanese exexpo? «Potremmo localizzare lì il centro ricerche del nostro Centro diagnostico sul quale investiamo come hub delle scienze».
Tante aziende italiane sono passate in mani straniere. Avete mai avuto offerte?
«Certo le offerte non sono mancate, ma non siamo mai stati venditori. La famiglia è compatta, da sempre. Unita anche quando ci sono operazioni straordinarie come l’acquisto recente di Blue Earth Diagnostics. La fragilità di molte imprese sta spesso nella mancanza di sintonia e di una successione in famiglia fatta per bene. Noi abbiamo deciso di selezionare un rappresentante della nuova generazione alla volta. Una scelta naturale. È stato così per me e così è per mio nipote Fulvio Renoldi Bracco, ceo di Bracco Imaging. Non è un’eredità facile. Chi resta si fa carico di una grande responsabilità, verso i nostri 3.400 collaboratori e gli azionisti».
Acquisizione a parte, quanto avete investito?
«Il piano è molto articolato, e ha puntato risorse importanti anche per l’ampliamento della capacità produttiva
«Siamo leader mondiali nella diagnostica». Crescere con le proprie gambe si può, spiega la presidente e ceo del gruppo arrivato a ricavi per 1,3 miliardi. Entro fine mese l’assegno da 450 milioni di dollari per il biotech di Oxford. «Abbiamo dato un segnale al mercato, dopo si è fatta sentire la Cdp»
unita al miglioramento dell’efficienza dei processi negli stabilimenti italiani ed esteri. Nel piano al 2023 sono stati stanziati oltre 300 milioni di euro per interventi a Torviscosa, Ceriano, Singen, Ginevra e Shanghai. Ogni anno impegniamo 100 milioni in ricerca, valgono il 9% del fatturato di Bracco Imaging. Pochi giorni fa abbiamo varato il raddoppio della produzione in Svizzera di un mezzo di contrasto per ultrasuoni molto richiesto con investimenti a piano di 60 milioni. All’inaugurazione c’erano anche il Governatore del Cantone di Ginevra e il sindaco, segno che agli investitori esteri la Svizzera stende i tappeti rossi. Poi, con Blue Earth abbiamo ora un nuovo centro di ricerca a Londra, l’ottavo del gruppo. Ma il nostro cuore è sempre in Italia. Un esempio è Torviscosa in Friuli Venezia Giulia dove si combinano recupero industriale e ampliamento delle produzioni di mezzi di contrasto classico, che sono poi la chimica, la base della nostra forza».
L’italia è in grado di attrarre gli investimenti?
«Quando si vuole costruire un centro di ricerche in Europa, per esempio, i Paesi fanno ponti d’oro per attrarre gli investimenti italiani, parlo di Francia, Romania. Ma noi siamo italiani, dobbiamo tenere duro, esportiamo eccellenze in tutto il mondo. Noi abbiamo trovato manager, talenti tutti italiani, da mandare in Cina. In quel Paese che è il nostro secondo mercato dopo gli Stati Uniti abbiamo il 70% della joint venture Bracco Sine con la Shanghai Pharmaceutical, e ora facciamo ricerca con questo gruppo»
Lei è stata al vertice di Federchimica, Assolombarda e infine di Expo 2015. Che cosa ci vorrebbe per spingere le imprese a investire?
«Il credito di imposta per tutta l’attività di ricerca, non solo sulla parte incrementale, come fanno in Francia. Poi la riduzione del cuneo fiscale perché i lavoratori prendono troppo poco in busta paga. Avrebbero dovuto farla molto tempo fa».
Dalla Francia alla Romania quando investiamo da loro ci fanno ponti d’oro