UNA FINESTRA PER CRESCERE
Il cambio della guardia al vertice della Bce non dovrebbe portare a una modifica della politica monetaria in tempi brevi. Per l’italia è una straordinaria occasione da sfruttare, probabilmente l’ultima per risanare i conti pubblici e rilanciare l’economia. Ma il governo si espone ai venti della crisi
Può sembrare paradossale ma l’italia gode, del tutto inaspettatamente, di una finestra d’opportunità, proprio mentre infuria la crisi dell’esecutivo. La politica monetaria espansiva della Bce è destinata a continuare. Anche dopo il cambio a novembre, alla guida dell’istituto di Francoforte, tra Mario Draghi e Christine Lagarde. I tassi d’interesse sono quasi ovunque negativi. Ciò comprime al ribasso il costo di finanziamento del nostro debito che era semplicemente esploso, anche a seguito di tante dichiarazioni avventate, nell’ottobre dello scorso anno. Le scelte di buon senso, soprattutto di Giuseppe Conte e Giovanni Tria, hanno scongiurato una procedura per eccesso di debito. L’unione europea — che non ha cambiato di segno politico come avevano promesso con sicumera sia Matteo Salvini sia Luigi Di Maio — teme il populismo italiano nelle sue due anime. Più quello della Lega che dei Cinque Stelle. E non perché le due forze di maggioranza si siano
clamorosamente divise nel voto parlamentare sulla nuova presidenza della Commissione. I grillini hanno detto sì a Ursula von der Leyen seguendo coerentemente la posizione espressa nel consiglio europeo dal premier. I leghisti si sono polemicamente opposti. Bruxelles è preoccupata del possibile contagio economico di un’italia con la finanza pubblica fuori controllo. Ma lo è, ancora di più, per l’effetto domino sul sovranismo continentale che avrebbe un ulteriore isolamento del nostro Paese.
Giocare ai margini del contesto europeo, in maniera incerta e divisa, significa fare un piacere ai nostri partner
Spazi utili
Un partner ai margini come adesso, incerto e diviso, fa comodo a molti. Un fondatore messo in mora, chiamato al voto anticipato, spinto sull’uscio dell’unione e magari nelle braccia di Putin, inquieta. Tra questi due estremi vi sarebbe un margine negoziale di non poco conto. Uno spazio utile che potrebbe tradursi in qualche flessibilità e comprensione europea nella
scrittura della legge di Bilancio 2020. In larga parte però precostituita dall’accordo che ha evitato la procedura sul debito.
La crescita è modesta, se non nulla. Secondo l’ultimo rapporto di Prometeia «il peggio è alle spalle, ma i rischi no». Solo nel terzo trimestre potrebbe registrarsi una lievissima ripresa, trainata dai consumi e grazie al buon andamento delle esportazioni. L’associazione per le previsioni econometriche, di cui è segretario generale Lorenzo Forni, stima in un modesto 0,1% l’apporto della politica di bilancio alla crescita ( si potrebbe dire: tanto rumore per quasi nulla). Il Prodotto interno lordo (Pil) è visto in crescita solo dello 0,1% quest’anno e dello 0,5 nel 2020. Ovviamente dipenderà da ciò che verrà scritto nell’aggiornamento a settembre del Def (Documento di economia e finanza) e soprattutto dalle scelte della legge di Bilancio. Per esempio, se verranno disinnescate tutte le clausole di salvaguardia sull’iva per oltre 23 miliardi. Prometeia ipotizza un aumento delle aliquote agevolate, dal 4 al 6 e dal 10 al 12% per complessivi 6 miliardi.
Ipotesi
L’incognita maggiore riguarda la cosiddetta flat tax che, secondo le ipotesi di questi ultimi giorni, dovrebbe riguardare i redditi familiari inferiori ai 55 mila euro con un costo intorno ai 15 miliardi. Gli altri contribuenti resterebbero assoggettati ai normali scaglioni Irpef. La no tax area e le deduzioni assicurerebbero un minimo di progressività. L’istituto bolognese ha simulato un’applicazione ai soli redditi familiari inferiori a 29 mila euro con un costo di 5,5 miliardi per 6,6 milioni di individui. Ma una parte della platea di beneficiari degli 80 euro troverebbe non conveniente l’adesione alla flat tax. Di conseguenza il costo scenderebbe a 4,1 miliardi. Nell’analisi dell’équipe di Forni, la riduzione dello spread potrebbe sostenere la crescita. In maniera imprevista. Lo scorso anno è accaduto il contrario. Il rialzo del differenziale sui tassi ha più che compensato l’effetto espansivo, peraltro modesto come si è visto, della politica di bilancio. «E vi sarebbero — scrive Prometeia — le condizioni favorevoli per uno sforzo straordinario che riduca in maniera consistente il debito, cercando di avviare il superamento di un vincolo che si fa sempre più cogente». Ma occorrerebbero riforme vere per aumentare il potenziale di crescita dell’economia (più investimenti, più concorrenza, più formazione, più digitale), giudicate credibili dai mercati e per le quali la Commissione potrebbe concedere qualche ulteriore flessibilità. Ma il cammino del governo — ammesso che continui — è andato finora nella direzione opposta.
Tra le proposte sul tavolo l’incognita maggiore è rappresentata dalla «flat tax» e dall’impatto reale sui contribuenti
Per esempio, con un ritorno dello stato imprenditore, come nel caso di Alitalia. Ma la finestra c’è. E non resterà aperta all’infinito. Ed è giusto che si abbia la consapevolezza della sua esistenza. Anche da parte di chi non la vorrebbe mai sfruttare. E a questo proposito, va segnalato un altro importante studio, di Economia Reale. «Se il mondo cresce al 4% — spiega l’autore, l’economista Mario Baldassarri — gli Stati Uniti crescono al 2,5%, l’eurozona al 2% e l’italia all’1%; se il mondo rallenta al 2%, gli Stati Uniti vanno sotto al 2%, l’eurozona cresce all’1% e l’italia è a zero o sottozero». Non se ne esce. Siamo tra Scilla e Cariddi. Ovvero, il governo potrebbe non disinnescare le clausole Iva ma avrebbe una crescita più bassa, disoccupazione in aumento e una finanza pubblica più in equilibrio ma precaria. Oppure non aumentare l’iva, fare una flat tax o presunta tale da 15 miliardi. Avrebbe una crescita maggiore, disoccupazione in calo, ma deficit e debito fuori controllo. «I piccoli aggiustamenti non servono a nulla — aggiunge Baldassarri — bisognerebbe avere il coraggio di fare una manovra, modello Amato nel ’92, da almeno 80 miliardi. Taglio drastico alla spesa, lotta vera all’evasione fiscale (100 miliardi sottratti ogni anno). E tutte le risorse a diminuzione del cuneo fiscale, in parte ai lavoratori e in parte alle imprese. Con un grande impulso agli investimenti. A parità di deficit e di debito.
Tagli
La Lega potrebbe intestarsi uno storico taglio alle tasse ma finanziato dall’abbattimento di sprechi e inutili trasferimenti e con una seria revisione delle tax expenditures. I Cinque Stelle essere autori di un’autentica lotta all’evasione come mai è stata fatta in precedenza. Per esempio con un sistema fiscale a punti (come la patente). Ti premio, limando la tua aliquota, se sei virtuoso. L’estensione del principio della fattura fiscale a tutte le attività. Incrocio delle banche dati. Conflitto d’interesse sull’iva tra chi paga e incassa. E via di seguito.
«La verità — aggiunge Baldassarri — è che tra l’1 e il 2% di crescita l’italia campa; sopra il 2,5 prospera, sotto l’1 muore». La finestra apertasi in questa torrida estate di tassi in discesa è favorevole a un colpo di reni. Sì, ma ci vorrebbe una seria volontà politica, una visione di medio e lungo periodo e un discreto numero di competenze in più. E anche un governo.
Con il pressappochismo e l’avventurismo del giorno per giorno le finestre nemmeno si vedono. Si inseguono solo aquiloni inesistenti. E si gonfia l’aria di promesse che non si possono mantenere. E spirano venti di crisi politica.