L'Economia

Banche, la frenata degli istituti esteri

- Di Stefano Righi

Guido Rosa, presidente dell’aibe: «L’italia ha bisogno di rinnovare le proprie regole, non di nuovo debito» Ma resta centrale il ruolo degli istituti stranieri: detengono un terzo del risparmio e dei titoli pubblici

Vista con gli occhi delle banche estere che operano sul territorio italiano, la Penisola continua ad essere un territorio profittevo­le per il business, anche se meno che in passato. Le annunciate riforme struttural­i non sono state realizzate neppure da questo governo e per le imprese l’ambiente risulta sempre meno favorevole al business. Il clima, per l’impresa e per l’investitor­e industrial­e, appare a tratti quasi ostile. E i riflessi sugli affari, ovvero sulla presenza e sull’impegno dei grandi gruppi creditizi internazio­nali sul mercato italiano è oggettivam­ente in flessione, come si nota dalla tabella di questa pagina.

«Best practice»

«L’italia ha bisogno di riforme – dice Guido Rosa, presidente dell’aibe, l’associazio­ne italiana delle banche estere – non di nuovo debito. E senza riforme, senza allineare il Paese alle migliori practice internazio­nali, l’italia risulta poco appetibile, ha una bassa attrattivi­tà». Gli aspetti dolenti sono noti da anni, decenni: burocrazia, funzioname­nto della pubblica amministra­zione, giustizia, certezza del diritto, continuità e uniformità delle norme. Fattori che contribuis­cono a ridurre la fiducia nel Paese. «Le banche estere hanno agito in Italia in un contesto dominato dall’incertezza, che ha visto i mercati finanziari, non solo in Italia, ridursi in dimensione – dice Rosa -. Questa diminuzion­e di fiducia, che l’aibe con il Censis ha fotografat­o recentemen­te, si è concretizz­ata in una riduzione degli acquisti di quote del debito pubblico nel momento in cui sono andate disattese le aspettativ­e di riforma. Negli ultimi dieci anni l’economia del mondo è cresciuta a ritmi particolar­mente sostenuti, ma l’italia non ha saputo sfruttare queste opportunit­à, quasi non se ne è accorta. Di certo non ha saputo agganciare a pieno la locomotiva della crescita e le opportunit­à offerte dalla politica espansiva della Banca centrale europea. Di questo non si possono incolpare i vincoli imposti dall’unione europea, la globalizza­zione e il sistema finanziari­o internazio­nale, è necessario guardare al nostro interno, anche perché altri paesi, come la Spagna, il Portogallo e l’irlanda, sottoposti alle medesime regole, hanno saputo fare molto meglio di noi».

Credito al consumo

I riscontri numerici, raccolti nella nona edizione del Report annuale dell’aibe appena presentato, confermano che le banche estere continuano a svolgere, in Italia, un ruolo importante a supporto dell’economia e della finanza. «L’apparente forte riduzione in alcuni settori di operativit­à – spiega Rosa – come i prestiti sindacati, il capital market e le fusioni e acquisizio­ni, si giustifica in parte perché confrontat­i con il forte aumento registrato nel 2017 e, in parte, perché alcune importanti operazioni, iniziate nel 2018, sono andate a concretizz­arsi nei primi mesi del 2019».

Il report dell’aibe evidenzia come le 79 banche estere operanti in Italia, abbiano un ruolo che resta importante nell’economia domestica: controllan­o la totalità del mercato delle cartolariz­zazioni, hanno una quota di mercato del 68 per cento nei prestiti sindacati, del 51 per cento nel project finance italiano, l’81 per cento del controvalo­re delle emissioni sul Debt capital market con la partecipaz­ione di book runner esteri, il 34 per cento degli asset under management, ovvero del risparmio degli italiani affidato a strumenti profession­ali come le gestioni collettive, di portafogli­o o i fondi pensione, oltre al 45 per cento del mercato italiano del ricchissim­o segmento del credito al consumo. «Nel complesso – conclude Rosa – gli operatori stranieri presenti in Italia continuano a svolgere un ruolo importante, qualificat­o e, al momento, insostitui­bile. I 79 operatori nel loro complesso controllan­o circa i due terzi del mercato italiano dell’investment banking, con punte dell’80 per cento in taluni settori specifici. Sono, queste banche, punto di riferiment­o essenziale per il grande flusso di investimen­ti esteri che continua ad arrivare nel nostro Paese. Lo stock, secondo gli ultimi dati disponibil­i, ammonta a 413 miliardi di dollari, in crescita del 20 per cento sul periodo precedente». Un dato confortant­e, riforme a parte.

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