DEFICIT & DEBITO I CONTI( AGGIUSTATI) PER UN PO’ TERRANNO
La disciplina di finanza pubblica offre margini di libertà a una politica che intenda perseguire i suoi obiettivi, senza alibi europei La manovra correttiva d’inizio estate ha creato spazi d’intervento, per il Paese e con l’europa Ma gli impegni per il 2020 sono onerosi, altrettanto le promesse elettorali che la maggioranza gialloverde vorrebbe realizzare: qualcosa si può fare...
Fino a qualche tempo fa la questione era, in qualche misura, opinabile. Non che mancasse l’evidenza, ma – si sa – i dibattiti accademici raramente finiscono per essere conclusivi. Da qualche giorno però le cose sono cambiate e bisogna dare atto al presidente del Consiglio e al ministro dell’economia di aver chiuso, con i fatti, un dibattito che sarebbe altrimenti durato all’infinito. La definizione e l’approvazione della manovra correttiva (pardon, dell’«aggiustamento strutturale») ha comportato infatti importanti ricadute non solo per quanto riguarda l’evoluzione dei conti pubblici nel 2019 ma anche le prospettive del 2020, rendendo un po’ più agevole (ma ancora tutt’altro che scontato) il percorso della legge di bilancio per il prossimo anno e anzi rendendo disponibili risorse altrimenti non utilizzabili per la realizzazione degli obbiettivi governativi, quali che essi siano. Con ciò confermando quel che alcuni sono andati dicendo in questi mesi. Conti pubblici in ordine sono la strada maestra per restituire autonomia alla politica economica. Un obiettivo che non è invece conseguibile rifiutando le regole di responsabilità fiscale, tornando a battere moneta (una espressione anacronistica oggi e risibile domani), riducendo fino ad annullare l’indipendenza della banca centrale, emettendo pseudo biglietti di banca camuffati da titoli di debito ed altre simili amenità.
Tassi e flessibilità
Il mancato avvio della procedura di infrazione apre, infatti, un interessante ventaglio di possibilità. Riduce, con ogni probabilità, la dimensione dell’intervento correttivo che sarà comunque necessario realizzare per il 2020 e libera così, sia pure marginalmente, risorse. Apre la possibilità per una richiesta di flessibilità che avrebbe discrete possibilità di essere accettata. Si stima che le risorse così disponibili — quasi per magia — possano arrivare a 5 e forse anche 6 miliardi di euro. Ma c’è di più. La manovra (pardon, l’ «assestamento contabile») ha determinato un taglio significativo dei rendimenti dei titoli di Stato che si sono allontanati non poco da quelle che erano le previsioni contenute nel Documento di economia e finanza. Se in aprile i tassi a breve erano previsti per il 2019 poco sotto lo zero e per il 2020 poco sotto l’1% ed i tassi a lunga avrebbero dovuto attestarsi intorno al 2,7% nel 2019 e poco sopra il 3% nel 2020, oggi lo scenario appare potenzialmente piuttosto diverso con i rendimenti a breve inferiori al previsto di alcuni decimi di punti e quelli a lunga di circa un punto. È lecito attendersi che — se confermate — queste tendenze possano comportare non trascurabili minori spese per interessi nel 2020 e negli anni a venire. Risorse preziose per una legge di bilancio che potrebbe richiedere, ad oggi, maggiori entrate o minori uscite per almeno 30 miliardi di euro.
Con ciò non si vuole suggerire che il prossimo autunno sarà, dal punto di vista della finanza pubblica, rose e fiori. Tutt’altro. Gli impegni assunti per il 2020 e per gli anni successivi sono onerosi e, anche alla luce dei ritmi stentati della nostra crescita, non meno onerose sono le promesse fatte ai cittadini. E la difficoltà della politica a far prevalere la ragione sulla ricerca del consenso — valga per tutte la riluttanza a non consentire una ricomposizione del prelievo fiscale verso le imposte indirette — le rende se possibile ancora più onerose e le condanna (un punto altrettanto importante ma spesso trascurato) ad essere, se realizzate, meno efficaci. Ma la lezione di queste settimane è — se la si vuole apprendere — importante.
Ancora 70 punti di spread
La disciplina dei conti pubblici restituisce margini di libertà alla iniziativa politica e quindi ad una politica che intenda veramente perseguire i suoi obiettivi (e non già nascondersi dietro il dito delle regole europee). Il che, naturalmente, suggerisce che non c’è bisogno di attendere settembre per avviare la legge di bilancio. Una parte non del tutto trascurabile della stessa potrebbe essere fatta già oggi dai leader dei partiti della coalizione di governo chiarendo in maniera inequivoca e consistente — cosa che il ministro dell’economia, per la verità, non evita di fare — che l’italia vuole rimanere all’interno delle regole europee e ripristinare una traiettoria discendente per il nostro rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo. Ed enunciando programmi compatibili con questa affermazione.
Circa 70 punti base ci dividono dallo spread prevalente prima delle ultime elezioni politiche. È una distanza – volendo – recuperabile. Che potrebbe essere tradotta in risorse preziose in vista degli appuntamenti autunnali. Certo, sarebbe bello che, nel ribadire la volontà di tenere i conti pubblici in ordine, i leader della maggioranza aggiungessero che ciò deriva non già dalla cogenza delle regole nazionali ed europee, ma dall’interesse del Paese e dalla volontà di restituire al Paese stesso spazi di manovra oggi assenti (e che si rivelerebbero particolarmente necessari se la congiuntura dovesse volgere al brutto). Ma, come insegnano i Rolling Stones, non si può sempre avere tutto ciò che si desidera.