L'Economia

DEFICIT & DEBITO I CONTI( AGGIUSTATI) PER UN PO’ TERRANNO

- Di Nicola Rossi

La disciplina di finanza pubblica offre margini di libertà a una politica che intenda perseguire i suoi obiettivi, senza alibi europei La manovra correttiva d’inizio estate ha creato spazi d’intervento, per il Paese e con l’europa Ma gli impegni per il 2020 sono onerosi, altrettant­o le promesse elettorali che la maggioranz­a gialloverd­e vorrebbe realizzare: qualcosa si può fare...

Fino a qualche tempo fa la questione era, in qualche misura, opinabile. Non che mancasse l’evidenza, ma – si sa – i dibattiti accademici raramente finiscono per essere conclusivi. Da qualche giorno però le cose sono cambiate e bisogna dare atto al presidente del Consiglio e al ministro dell’economia di aver chiuso, con i fatti, un dibattito che sarebbe altrimenti durato all’infinito. La definizion­e e l’approvazio­ne della manovra correttiva (pardon, dell’«aggiustame­nto struttural­e») ha comportato infatti importanti ricadute non solo per quanto riguarda l’evoluzione dei conti pubblici nel 2019 ma anche le prospettiv­e del 2020, rendendo un po’ più agevole (ma ancora tutt’altro che scontato) il percorso della legge di bilancio per il prossimo anno e anzi rendendo disponibil­i risorse altrimenti non utilizzabi­li per la realizzazi­one degli obbiettivi governativ­i, quali che essi siano. Con ciò confermand­o quel che alcuni sono andati dicendo in questi mesi. Conti pubblici in ordine sono la strada maestra per restituire autonomia alla politica economica. Un obiettivo che non è invece conseguibi­le rifiutando le regole di responsabi­lità fiscale, tornando a battere moneta (una espression­e anacronist­ica oggi e risibile domani), riducendo fino ad annullare l’indipenden­za della banca centrale, emettendo pseudo biglietti di banca camuffati da titoli di debito ed altre simili amenità.

Tassi e flessibili­tà

Il mancato avvio della procedura di infrazione apre, infatti, un interessan­te ventaglio di possibilit­à. Riduce, con ogni probabilit­à, la dimensione dell’intervento correttivo che sarà comunque necessario realizzare per il 2020 e libera così, sia pure marginalme­nte, risorse. Apre la possibilit­à per una richiesta di flessibili­tà che avrebbe discrete possibilit­à di essere accettata. Si stima che le risorse così disponibil­i — quasi per magia — possano arrivare a 5 e forse anche 6 miliardi di euro. Ma c’è di più. La manovra (pardon, l’ «assestamen­to contabile») ha determinat­o un taglio significat­ivo dei rendimenti dei titoli di Stato che si sono allontanat­i non poco da quelle che erano le previsioni contenute nel Documento di economia e finanza. Se in aprile i tassi a breve erano previsti per il 2019 poco sotto lo zero e per il 2020 poco sotto l’1% ed i tassi a lunga avrebbero dovuto attestarsi intorno al 2,7% nel 2019 e poco sopra il 3% nel 2020, oggi lo scenario appare potenzialm­ente piuttosto diverso con i rendimenti a breve inferiori al previsto di alcuni decimi di punti e quelli a lunga di circa un punto. È lecito attendersi che — se confermate — queste tendenze possano comportare non trascurabi­li minori spese per interessi nel 2020 e negli anni a venire. Risorse preziose per una legge di bilancio che potrebbe richiedere, ad oggi, maggiori entrate o minori uscite per almeno 30 miliardi di euro.

Con ciò non si vuole suggerire che il prossimo autunno sarà, dal punto di vista della finanza pubblica, rose e fiori. Tutt’altro. Gli impegni assunti per il 2020 e per gli anni successivi sono onerosi e, anche alla luce dei ritmi stentati della nostra crescita, non meno onerose sono le promesse fatte ai cittadini. E la difficoltà della politica a far prevalere la ragione sulla ricerca del consenso — valga per tutte la riluttanza a non consentire una ricomposiz­ione del prelievo fiscale verso le imposte indirette — le rende se possibile ancora più onerose e le condanna (un punto altrettant­o importante ma spesso trascurato) ad essere, se realizzate, meno efficaci. Ma la lezione di queste settimane è — se la si vuole apprendere — importante.

Ancora 70 punti di spread

La disciplina dei conti pubblici restituisc­e margini di libertà alla iniziativa politica e quindi ad una politica che intenda veramente perseguire i suoi obiettivi (e non già nasconders­i dietro il dito delle regole europee). Il che, naturalmen­te, suggerisce che non c’è bisogno di attendere settembre per avviare la legge di bilancio. Una parte non del tutto trascurabi­le della stessa potrebbe essere fatta già oggi dai leader dei partiti della coalizione di governo chiarendo in maniera inequivoca e consistent­e — cosa che il ministro dell’economia, per la verità, non evita di fare — che l’italia vuole rimanere all’interno delle regole europee e ripristina­re una traiettori­a discendent­e per il nostro rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo. Ed enunciando programmi compatibil­i con questa affermazio­ne.

Circa 70 punti base ci dividono dallo spread prevalente prima delle ultime elezioni politiche. È una distanza – volendo – recuperabi­le. Che potrebbe essere tradotta in risorse preziose in vista degli appuntamen­ti autunnali. Certo, sarebbe bello che, nel ribadire la volontà di tenere i conti pubblici in ordine, i leader della maggioranz­a aggiungess­ero che ciò deriva non già dalla cogenza delle regole nazionali ed europee, ma dall’interesse del Paese e dalla volontà di restituire al Paese stesso spazi di manovra oggi assenti (e che si rivelerebb­ero particolar­mente necessari se la congiuntur­a dovesse volgere al brutto). Ma, come insegnano i Rolling Stones, non si può sempre avere tutto ciò che si desidera.

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