IL «SISTEMA» DELLE COSTRUZIONI PROGETTO ITALIA (NON SOLO ESTERO)
A giorni la «scadenza» del piano per rilanciare imprese e grandi opere costruito attorno a Salini Impregilo e Cassa depositi. Sostenitori e contrari, ecco i temi, mentre la maggioranza politica sembra distratta
Meno nove. Per il debutto del polo semipubblico delle costruzioni, quel Progetto Italia disegnato da Pietro Salini e irrobustito dal sostegno di Cassa depositi e prestiti, è questione di poco più di una settimana. Il termine ultimo dato dal Tribunale, nell’ambito del piano concordatario per Astaldi, che è parte integrante del disegno, è mercoledì 31 luglio.
A fronte di questa imponente operazione di sistema, come non se ne vedevano da tempo, è stranamente quasi del tutto mancato il dibattito politico. E mentre la Borsa continua a dubitare che il tutto si risolva nei tempi previsti, l’unica voce aspramente critica è quella dell’associazione nazionale dei costruttori, l’ance. Ma com’è possibile che un progetto pensato per mettere in sicurezza il settore sia avversato da chi lo rappresenta?
Le ragioni del sì
Il motivo principale che ha spinto Cdp e prima ancora il ministero dell’economia a sostenere il progetto nell’interesse del Paese è quello di sottrarre un settore in grave difficoltà all’arrembaggio delle aziende straniere, le cui dimensioni sono ben al di sopra di quelle italiane. I numeri sembrano dare ragione a questa lettura se è vero che in dieci anni il contributo delle costruzioni al Pil è passato dal 29% all’attuale 17%. In questo lasso di tempo si sono persi 104 miliardi di giro d’affari, 120 mila imprese e 600 mila posti di lavoro. Un crollo verticale complicato da gestire anche per il sistema bancario. Quanto alle dimensioni delle imprese straniere, la francese Vinci fattura 40 miliardi, la spagnola Acs 35 miliardi, la tedesca Hochtief 23, l’austriaca Strabag 13,5, l’iberica Sacyr 3. A fronte, Salini Impregilo fattura 6,3 miliardi che diventerebbero 9 con l’acquisizione di Astaldi e 14 al concretizzarsi di Progetto Italia.
In Parlamento
A fronte di un progetto così complesso e impegnativo per Cdp, il dibattito politico è stato assai povero. La maggioranza Lega-m5s ha accompagnato il consolidarsi di Progetto Italia con un consenso silenzioso, laddove forse sarebbe stato necessario spiegare intenzioni e prospettive. In Parlamento il tema è approdato grazie a due interrogazioni dell’ex ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi. All’ultima ha risposto il ministro dei Rapporti col Parlamento, Riccardo Fraccaro: «Trattandosi di un’operazione di mercato che riguarda, tra l’altro, un’impresa quotata, il ministro Tria ritiene che tale circostanza escluda, per evidenti ragioni, che egli, in questa fase, possa rilasciare dichiarazioni al riguardo. Non abbiamo ancora elementi certi su cui riferire». La risposta è datata 9 luglio, 20 giorni prima della prospettata chiusura del salvataggio Astaldi. L’opposizione non è contraria in linea di principio. Maurizio Lupi (Noi con l’italia): «Qual è il progetto industriale? Si parte dal presupposto che si rilancino le grandi opere ma il ministero di Toninelli lo ha garantito? E Cdp come assicura la concorrenza se è parte dell’operazione? Mi aspetto che abbia la stessa attenzione per le medio e piccole imprese che busseranno alla sua porta». Per il Pd parla Roberto Morassut: «Guardiamo con attenzione e interesse alla costituzione di un polo» ma a alcune condizioni. La prima: «l’accelerazione delle opere pubbliche che il nuovo polo ha in portafoglio, che sono una quota significativa delle opere già finanziate e in corso di realizzazione ma che segnano il passo». La seconda: che «l’operazione non si limiti alla pur necessaria stabilizzazione finanziaria dei soggetti coinvolti ed in campo». La terza: no alla concentrazione. «Il tessuto imprenditoriale piccolo e medio non deve soffrirne».
Le ragioni del no
La maggioranza Lega-m5s ha accompagnato il consolidarsi di Progetto Italia con un consenso silenzioso
Qualche numero. Secondo Engineering News Record, la bibbia americana delle costruzioni, nel 2018 il 60% dei 250 più grandi operatori al mondo del settore ha prodotto all’estero meno del 25% del proprio giro d’affari, mentre solo il 20% ha superato il 75%. Le più grosse aziende concorrenti mantengono una quota interna di fatturato superiore al 50%, a fronte del 10% di Salini e al 24% circa di Astaldi. Insomma nessun grosso gruppo di costruzioni può prescindere da una solida presenza sul mercato interno. È concreto il rischio che se le opere pubbliche in Italia non ripartiranno, il colosso avrà una gamba d’argilla.
Ma per l’ance il problema non è solo questo. Il presidente Gabriele Buia è perentorio: «Non si stravolgono le regole della concorrenza per avvantaggiare solo alcuni. Questo colosso dominerebbe i due terzi del mercato delle opere pubbliche sopra i 100 milioni». La preoccupazione riguarda il resto delle imprese: «Non se ne parla — dice Buia —. Come potranno resistere quelle escluse? Quali banche le sosterranno? Come faranno a resistere quelle che avranno come ristoro azioni Astaldi? Servono misure per tutta la filiera e non può bastare certo il Fondo Salva-opere per dare ristoro ai creditori dei gruppi in crisi, ma che al momento può contare solo su qualche decina di milioni all’anno. Non bastano i cerotti se la ferita è profonda».