L'Economia

BANCHE IN CRISI IL TABÙ DA SUPERARE

- di Ignazio Angeloni

Superate le incertezze della fase elettorale, e ora anche quelle legate alla nomina dei vertici dell’unione, viene il tempo di rimettersi al lavoro sul cantiere aperto dell’architettu­ra istituzion­ale europea. Fra i dossier urgenti vi è sicurament­e l’unione bancaria. Varata oltre cinque anni fa, essa è partita a spron battuto sotto l’impulso della vigilanza Bce ma ha anche mostrato nel tempo alcune carenze; come ogni macchina nuova dopo qualche migliaio di chilometri, necessita di un check-up. A proposito di questo, va detto che la riconferma di Roberto Gualtieri alla guida della commission­e economica del Parlamento europeo è una buona notizia, trattandos­i di persona esperta sia in materia bancaria sia nelle dinamiche politiche di Strasburgo. Si sente dire spesso che l’unione bancaria è «zoppa» perché manca la «terza gamba», l’assicurazi­one europea dei depositi. Questo è vero solo in parte. Essa, è vero, garantireb­be uguale sicurezza a tutti i depositant­i: un euro in moneta è lo stesso ovunque e così deve essere per ogni euro in qualunque banca. Toglierebb­e anche l’alibi a quei Paesi che impediscon­o i movimenti di liquidità e capitale nei gruppi bancari: il cosiddetto ringfencin­g. Questo premesso, oltre a essere controvers­a politicame­nte essa non è oggi l’obiettivo più urgente. Sistemi di assicurazi­one nazionali in parte armonizzat­i già esistono; andrebbero semmai

raccordati con rapporti di riassicura­zione o di sostegno reciproco, come la Commission­e ha già proposto. E inoltre, l’esperienza mostra che l’assicurazi­one dei depositi interviene di rado nelle crisi bancarie, perché le perdite raramente arrivano a toccare i depositant­i al di sotto della soglia di copertura dell’assicurazi­one stessa (in Europa, 100 mila euro).

Quello che invece interviene sempre e invariabil­mente è il meccanismo di risoluzion­e. Uso il termine in senso ampio, comprenden­do anche l’insolvenza ordinaria e la ristruttur­azione o recupero della banca in difficoltà. La materia è in parte regolata da una direttiva europea; l’insolvenza ordinaria è lasciata invece alle autorità nazionali. Negli Stati Uniti, la materia è di competenza della Federal Deposit Insurance Corporatio­n (Fdic), autorità federale che possiede tutti gli strumenti di intervento e si avvale del fondo di risoluzion­e a sua volta sostenuto del Tesoro americano.

Per capire meglio facciamo un passo indietro. Al suo avvio nel 2014, la vigilanza europea interveniv­a su un sistema che era al tempo stesso congestion­ato, per l’eccessiva presenza di sportelli sul territorio e per il volume eccessivo di attività bancarie in rapporto all’economia, e indebolito dall’alto volume di crediti deteriorat­i e di esposizion­i di mercato rischiose e poco trasparent­i. Bisognava quindi procedere in due direzioni, favorendo l’uscita dal mercato di banche deboli, ovvero della parte deteriorat­a dei loro attivi, e al tempo stesso rafforzand­o la parte sana del sistema. Il secondo obiettivo è stato parzialmen­te raggiunto attraverso l’azione della vigilanza, che ha richiesto alle banche di aumentare il capitale e rimuovere i crediti deteriorat­i. La prima linea di azione invece non ha potuto dispiegars­i con sufficient­e efficacia proprio per le carenze del meccanismo di risoluzion­e; di un meccanismo cioè che consentiss­e l’uscita fisiologic­a e non traumatica di parte del sistema dal mercato. Le poche operazioni sono state difficili e contrastat­e. Alcune sono diventate casi politici di rilevanza nazionale. Altre sono state procrastin­ate; senza entrare nello specifico, basti notare che vi sono banche che soffrono ancora oggi degli stessi problemi già individuat­i negli stress test della Bce nel 2014. Il confronto con gli Usa, dove negli ultimi anni la Fdic mette in risoluzion­e ogni anno decine di banche senza traumatizz­are né il sistema bancario né quello politico, è indicativo.

Nella risoluzion­e bancaria, il punto critico è, sempre e dovunque, quello delle risorse. Risorse finanziari­e sono necessarie per coprire le perdite e per ricapitali­zzare la banca, se parte di essa resta in attività dopo la ristruttur­azione. Da dove vengono le risorse e chi ripartisce l’onere? Limitiamoc­i qui ad alcuni principi. Prima di tutto, le banche sono imprese, oggi in larga misura private. I soggetti che le posseggono e le gestiscono attraverso i consigli di amministra­zione debbono quindi essere in prima linea nel sostenere quell’onere. Ciò vale per gli azionisti ma anche per i creditori, che sono — o dovrebbero essere in un sistema ben regolato — soggetti consapevol­i che prestano ad altri soggetti sapendo che possono fallire. Il rischio varia con la gerarchia dei creditori: gli strumenti subordinat­i rendono di più proprio in ragione del maggiore rischio. Detto questo, va subito aggiunto che le banche sono imprese particolar­i per la rilevanza pubblica della loro funzione; intermedia­ndo il risparmio e gestendo i pagamenti contribuis­cono al buon andamento dell’economia. Ogni banca influenza anche altre banche a causa dei legami all’interno del sistema. Vi è quindi un legittimo interesse sia della collettivi­tà sia del resto del sistema bancario a proteggere in determinat­i casi singole banche in difficoltà; la prima attingendo alle risorse del contribuen­te, il secondo attraverso «interventi di sistema». Le tre componenti (quella interna, quella collettiva e quella del sistema bancario) sono complement­ari e rispondono a logiche e finalità specifiche. Ciascuna è soggetta a controindi­cazioni; in particolar­e la prima (condivisio­ne del rischio da parte di azionisti e creditori) richiede che i soggetti che investono siano consapevol­i e preparati a sostenere il rischio; la seconda (il fisco) aggrava le finanze pubbliche; la terza (il sistema) può aiutare a risolvere un problema nel breve periodo evitando un costo per il contribuen­te, ma aggrava la parte sana del sistema, che oggi è già in difficoltà a causa degli scarsi ricavi e delle sfide della tecnologia.

Le autorità preposte alla gestione delle crisi hanno il difficile compito di disegnare il tipo di intervento e di trovare il giusto equilibrio nella ripartizio­ne degli oneri. Il criterio dovrebbe sempre essere non quello di salvare banche fuori mercato, ma di favorire il rafforzame­nto del sistema. L’utilizzo di risorse esterne, del contribuen­te o di altre banche, non deve essere un tabù, ma per le ragioni dette è particolar­mente delicato. Può giustifica­rsi se necessario per favorire l’uscita ordinata della banca o di parte di essa. In ogni caso va ricercato il massimo grado di rigore e trasparenz­a: se parte del soggetto in crisi rimane in attività, quell’utilizzo non dovrebbe mai avvenire senza un solido piano industrial­e corroborat­o da una completa analisi del bilancio (Asset Quality Review e stress test).

Un sistema di risoluzion­e debole alla lunga indebolisc­e la stessa vigilanza, che esita a intervenir­e e procrastin­a i problemi. Fino a oggi né l’autorità di risoluzion­e di Bruxelles (il Single Resolution Board, un’agenzia della Commission­e europea), né le autorità nazionali che con essa collaboran­o con responsabi­lità sulle piccole banche hanno potuto svolgere in modo soddisface­nte il proprio ruolo. La prima per la limitatezz­a delle risorse disponibil­i (il Single Resolution Fund, un fondo piccolo e solo da poco dotato di limitato accesso a risorse pubbliche) e per le condizioni proibitive imposte al loro utilizzo. Le seconde perché prive, salvo eccezioni, della necessaria cornice istituzion­ale e finanziari­a: non sempre le autorità di risoluzion­e nazionali sono infatti dotate dell’indipenden­za (anche dall’autorità di vigilanza) e degli strumenti di intervento che sono necessari e che la stessa direttiva europea richiede. Far funzionare il sistema di risoluzion­e nell’unione bancaria comporta — il lettore l’avrà ormai capito — anche in qualche misura un cambiament­o culturale: quello necessario per vedere nell’uscita di alcune banche dal mercato, con le dovute cautele, non un dramma ma una manifestaz­ione fisiologic­a del buon funzioname­nto del sistema. Un cambiament­o in quanto tale non facile, ma necessario e sicurament­e promettent­e. Le rinnovate autorità europee possono favorirlo.

Un sistema di risoluzion­e fragile alla lunga indebolisc­e la stessa vigilanza: finora le authority, nazionali ed europee, non hanno potuto svolgere in modo soddisface­nte il proprio ruolo. Ma una svolta è possibile, senza tabù

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Christine Lagarde Da novembre Bce presidente della

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