THE DONALD AL TEST MA SONO DAZI O SANZIONI?
Il vertice di Osaka con Xi Jinping in occasione del G20 ha portato a un fragile rinvio sull’imposizione di nuove barriere commerciali e alla promessa di riprendere i negoziati bilaterali Usa-cina Ma Trump va avanti, incurante delle conseguenze dei suoi propositi anti-pechino. E pensa al voto
Su una cosa almeno gli europei, i russi e i cinesi sono d’accordo: nel considerare dannosa e destabilizzante la politica commerciale di Donald Trump, e nel condannare l’utilizzo dei dazi come arma da guerra capace di raddrizzare bilance commerciali sfavorevoli. Non che europei, russi e cinesi abbiano le stesse motivazioni all’origine della loro critica. I cinesi sono l’obbiettivo primario della misure di Washington, e reagiscono diventando paradossalmente loro, comunisti, i difensori d’ufficio della tradizionale linea capitalista
contro il protezionismo. I russi più che con i dazi sono alle prese con le sanzioni (contro l’annessione della Crimea nel 2014) , ma per solidarietà con Pechino e per contrarietà strategica verso l’america si allineano volentieri alle proteste della Cina. Gli europei, poi, hanno avuto sin qui più paura che danni, ma hanno buone ragioni per paventare i minacciati dazi americani sulle automobili, sanno che gli accordi tra Trump e Juncker sono ormai carta straccia, e guardano con allarme alla lite tra Francia e Usa (con Londra che sin qui ha dato ragione a Parigi) sulla decisione di tassare i gruppi digitali americani della cosiddetta «Gafa», cioè Google, Apple, Facebook e Amazon. Sugli europei pesa poi la questione del 5G di Huawei, la cui adozione rappresenterebbe per Trump una sfida «inaccettabile» (per ragioni di sicurezza atlantica, sostiene Washington) e probabilmente si tradurrebbe in castighi di natura commerciale oltre che politica.
Tra business e proclami
giovare a Trump in sede elettorale.
Piani da brividi