DA PALMIRA AL MUSEO EGIZIO AFFARI IN 3 DIMENSIONI
Si chiama Tryeco 2.0 l’azienda di Ferrara che ha ricostruito, in versione hitech, il soffitto di uno dei templi della città distrutta dall’isis. «In Italia scarso accesso al credito, l’artigianalità è determinante». Prossimo step: mettere in rete gallerie & Co.
APalmira, nel museo del sito archeologico Patrimonio dell’umanità sfregiato dall’isis tra il 2015 e il 2016, e oggi al centro di un dibattito internazionale sui modi della sua ricostruzione, c’è anche un po’ d’italia. Di recente è infatti approdata in Siria la copia del soffitto del tempio di Bel, uno dei monumenti principali e più scenografici dell’area, ricostruito prima tramite un modello digitale, completo di tutti gli elementi decorativi, da cui poi è stato ricavato il duplicato fisico in scala reale.
A crearlo è stata un’azienda di Ferrara, Tryeco 2.0, quattro soci quarantenni e due dipendenti, nata nel 2011 grazie alle competenze della precedente Tryeco snc, che operava nei servizi integrati alle imprese. L’idea è venuta a un gruppo di architetti specializzati in restauro che «ha intuito che la tecnologia può essere applicata con successo anche ai beni culturali — racconta il ceo Matteo Fabbri, tra i fondatori —. Il primo impiego? Un architetto londinese aveva bisogno di fare molti modelli in poco tempo. Per aiutarlo, l’unica cosa che ci è venuta in mente è stata provare con la stampante 3D. Ce la siamo fatta prestare: all’epoca non l’avevamo. Siamo partiti con un investimento di diecimila euro, non sapevamo cosa fosse un business plan». Da allora l’azienda, che si definisce
A sinistra e nel tondo, l’iscrizione del Pont d’ael in Val d’aosta: sull’acquedotto non si legge la scritta originale ma una copia, realizzata con scansione in 3D da Tryeco 2.0. A destra, la fresatura di una copia della dea Hathor ricreata dall’azienda per una campagna di comunicazione del Museo Egizio di Torino
una «creative maker farm», dove un’anima artigiana incontra le tecnologie, è cresciuta fino a ottenere anche venti commesse l’anno, tra pubblico e privato, per la maggior parte in Italia. Dalla campagna di comunicazione per la riapertura del Museo Egizio di Torino nel 2015 alle ricostruzioni per il Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah di Ferrara, dai doccioni riprodotti per il castello di Fenis alla copia dell’iscrizione del Pondel–pont d’ael in Val d’aosta, alla riproduzione con videomapping del sepolcro di Nureyev, le tecniche utilizzate spaziano dalla prototipazione rapida al digital manufacturing, gli strumenti impiegati vanno dai laser scanner 3D, a tecnologie di realtà aumentata, stampa 3D.
«Ora stiamo realizzando una cinquantina di copie di reperti per il nuovo allestimento del Museo del Termalismo a Montegrotto Terme — racconta Fabbri —, ci impegneranno per cinque-sei mesi. Per ogni progetto lavoriamo con funzionari pubblici, curatori, archeologi: il confronto è la chiave del successo». Un aspetto importante se si tratta di comunicare e valorizzare il patrimonio, senza cedere alla tentazione della mera esposizione o piuttosto della spettacolarizzazione. Ma con la cultura in Italia si mangia? «Negli anni buoni abbiamo fatturato anche 300 mila euro, oggi siamo un po’ scesi. È un mercato instabile, dove l'accesso al credito è ancora più difficile della norma — prosegue Fabbri —. Ma qualcosa si muove: le banche del credito cooperativo dell’emilia-romagna hanno investito nell’azienda, dopo che abbiamo partecipato al loro percorso di accelerazione per startup ad alto impatto sociale “Battiti”». Il futuro, però, per Fabbri e soci non sarà solo nei prototipi digitali. «Abbiamo fondato una startup, in fase di sperimentazione, che si chiama Mix (Museum interactive experience)», dice l’imprenditore. Si tratta di una piattaforma che metterà in rete tanti musei, che pagando un abbonamento, caricano contenuti digitali e in realtà aumentata che accompagnano il visitatore nel percorso e saranno visibili tramite app. Insomma, il business è in piena trasformazione. «Le tecnologie saranno sempre più accessibili, ma a prevalere sarà la capacità del saper fare», è convinto Fabbri.