FOSSI GIOVANE, STUDIEREI BIG TECH I RIMPIANTI DEGLI ITALIANI
I due terzi dei lavoratori, ricominciando da capo, sceglierebbe una facoltà scientifica o informatica Il rapporto Randstad: la fiducia nelle capacità di reggere le sfide del mercato è nove punti sotto la media globale
Come mettere al riparo la propria professionalità o svilupparne una che offra buone prospettive? La risposta sembra evidente: sviluppare competenze in linea con quanto richiesto dall’innovazione digitale. Ne sono consapevoli le aziende che secondo Unioncamere e Anpal, nei prossimi cinque anni offriranno un lavoro a 469mila tecnici, super periti Its (Information and communications technology) e laureati nelle materie Stem (acronimo che sta per scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) così come chi lavora e avverte in prima persona il cambiamento quotidiano.
Meno convinti (ma iniziano a esserlo) gli studenti che fanno ancora fatica ad accostarsi a materie definite dai più «ostiche». La questione dell’allineamento delle competenze alle nuove esigenze riguarda tutti: non solo le nuove generazioni (e quindi la formazione di base) ma anche chi è già inserito nel mondo produttivo (e quindi la formazione continua) che teme nella senescenza delle competenze sviluppate e acquisite.
Secondo l’ultimo Randstad Workmonitor, l’indagine trimestrale sul mondo del lavoro (condotta in 34 Paesi del mondo) fra i lavoratori europei, gli italiani sono i più consapevoli dell’impatto che l’automazione avrà sulle proprie mansioni. Il 37%
di loro ritiene infatti che nel giro di 5 anni, massimo 10, una buona fetta delle attività che svolge sarà automatizzata. È il caso soprattutto delle donne (il 39%) e i dipendenti sotto i 45 anni (38%), un po’ meno accorti gli uomini e i lavoratori senior. Osservano ciò ma lo sguardo è sereno: il 69% degli italiani ritiene infatti, senza variazioni di genere ed età di avere in mano gli strumenti per gestire la digitalizzazione e non sono spaventati dall’impatto dell’automazione.
Un livello di fiducia che però è nove punti sotto la media globale (78%) e che in Europa è superiore soltanto a Olanda e Ungheria. In questo contedo sto i lavoratori muovono critiche alle imprese che ritengono (il 67% del campione) non investano a sufficienza per sviluppare le competenze digitali dei dipendenti. Temono infatti che si allarghi la forbice fra competenze richieste e possedute sia per la difficolta delle aziende di reperire sul mercato profili al passo con i tempi sia per i limitati investimenti per aggiornare le conoscenze e abilità di chi già lavora.
I dati
Interessante il fatto che il 71% dei dipendenti italiani (il 72% in Europa) consiglierebbe a chi si sta affaccianall’università di scegliere un corso di laurea nella grande famiglia delle materie Stem. Ma c’è un altro aspetto da sottolineare, molti di loro sono dei «pentiti» e tornando indietro i cambierebbero percorso di studi. Il 72%, avesse ancora 18 anni, sceglierebbe una facoltà Stem. È soprattutto il caso degli uomini (75%, più 5% rispetto alle donne) e degli over 45 (76%, più 7% rispetto ai giovani); un valore di sei punti superiore alla media globale e in Europa inferiore soltanto a quello registrato in Spagna, Portogallo, Romania. Il 75% (gli intervistati potevano dare più risposte) opterebbe invece per un percorso di studi in ambito digitale (+3% sulla media globale), con un divario di cinque punti fra senior (78%) e giovani (73%) e di 11 punti fra uomini (81%) e donne (70%). Puntuale il commento di Marco Ceresa, amministratore delegato Randstad Italia che sollecita e chiama alle armi le aziende «L’innovazione e l’intelligenza artificiale stanno modificando radicalmente molti settori economici, le esigenze delle imprese e le competenze richieste ai lavoratori».
Gli investimenti
Le imprese in futuro avranno sempre più bisogno di competenze digitali e Stem per gestire il cambiamento, ma spesso faticano a trovare candidati con un profilo adeguato. Il fatto che tre lavoratori su quattro sarebbero disposti a modificare il proprio percorso di carriera per venire incontro alle esigenze di un mercato è, da un lato, un positivo segnale di consapevolezza e adattamento, dall’altro però, evidenzia un divario ancora ampio con i paesi più avanzati in termini di diffusione di queste competenze. Per colmare il gap — precisa Ceresa — gli studenti e i lavoratori di loro sponte devono attrezzarsi sviluppando e aggiornando le proprie competenze, ma anche le imprese devono fare la loro parte, aumentando gli investimenti in formazione.