DANIELE FRANCO UN’ECONOMIA PER RIPARTIRE
Pubblichiamo il testo dell’intervista online con il direttore generale della Banca d’italia, Daniele Franco, che ha aperto lunedì scorso «L’italia genera futuro», l’evento de L’economia del Corriere della Sera condotto dal vicedirettore del quotidiano, Daniele Manca.
Quale è la situazione economica? Cosa possiamo aspettarci? Cosa differenzia l’attuale recessione da quelle del passato?
«Negli ultimi mesi siamo stati travolti dagli effetti dell’epidemia, che ha cambiato radicalmente le prospettive economiche. Per capire la situazione economica che stiamo vivendo è necessario partire dall’osservazione che la recessione che ci ha colpiti ha cause e caratteristiche nuove rispetto a quelle affrontate in passato. Le cause: non si tratta di squilibri finanziari o macroeconomici o di fenomeni ciclici, bensì di un’epidemia che colpisce contemporaneamente gran parte dei Paesi del mondo. Le caratteristiche: vi sono contemporaneamente problemi di carenza di domanda e vincoli all’offerta, che si intrecciano e si rafforzano; vi sono effetti molto differenziati per i vari comparti economici (in alcuni l’attività produttiva è sostanzialmente bloccata, in altri non vi sono cambiamenti significativi). Questa situazione nuova richiede, in tutti i Paesi, una forte capacità di reazione da parte delle autorità pubbliche e misure di politica economica innovative. Inoltre, in prospettiva potremmo vedere cambiamenti nei modelli di consumo e produzione, per affrontare i quali serviranno imprese dinamiche e innovative, come quelle che il Corriere ha riunito per L’italia genera futuro.
Procediamo con ordine. Innanzi tutto, va rilevato che le caratteristiche nuove di questa recessione fanno sì che vi sia grande incertezza sulle prospettive dell’economia mondiale. L’incertezza economica riflette ovviamente l’incertezza sull’evoluzione dell’epidemia, che dipende soprattutto dai tempi di disponibilità di cure e vaccini. La ricerca scientifica e terapeutica è molto intensa in tutto il mondo, ma a tutt’oggi non abbiamo certezze su quando potremo riprendere una vita normale senza rischi per la salute.
Guardando più avanti, non sappiamo se e come i modelli di consumo, di investimento, di produzione e di commercio internazionale cambieranno nel mondo del dopo Covid. In altri termini, non sappiamo quale sarà l’eredità dell’epidemia nel medio termine. Sappiamo invece tutti che stiamo subendo danni enormi, in termini di vite umane e di benessere personale, ma anche in termini economici. Il commercio mondiale sta registrando una contrazione molto forte, più ampia e rapida di quella del 2009; potrebbe scendere quest’anno del 10 per cento. Come già detto, il problema è che al crollo della domanda si sommano gli effetti di restrizioni all’offerta di dimensioni senza precedenti. Per l’italia il ministero dell’economia prevede per quest’anno una riduzione del Pil dell’8% per cento. Il Fondo monetario internazionale la stima al 9 per cento (la flessione maggiore tra i grandi Paesi), la Commissione europea al 9,5% (la più alta in Europa, insieme con Grecia e Spagna). Vi è consenso sul fatto che l’anno prossimo recupereremo parte di questa flessione, ma vi è ancora molta incertezza sui tempi e sull’intensità della ripresa nelle economie avanzate.
Famiglie, imprese, settori
Dietro ai dati asettici sul Pil vi sono ovviamente persone, famiglie, imprese in grandi difficoltà, a volte in condizioni drammatiche. È quindi fondamentale riavviare con forza l’attività economica nella seconda parte del 2020 e nel 2021. Ferma restando la salvaguardia della salute delle persone, sulla ripresa dobbiamo mettere ogni risorsa e ogni energia, pubblica e privata, finanziaria e intellettuale.
Come dicevo, è una crisi che ha impatti molto differenziati sui diversi comparti economici. Mentre l’impatto diretto dell’epidemia in alcuni settori è modesto o nullo (si pensi all’alimentare e al farmaceutico), è invece devastante in altri, come il turismo, il trasporto aereo, il commercio non alimentare, vari servizi alle persone. In generale, l’impatto diretto è pesante per i settori legati alla mobilità e alle occasioni di incontro delle persone. Purtroppo, non sappiamo quando le possibilità di viaggiare e di incontrarsi torneranno ai livelli pre crisi.
Né sono ancora chiare le implicazioni che alcune crisi settoriali molto profonde, come quelle del trasporto aereo e dell’attività crocieristica, avranno sulle tante filiere produttive collegate a questi settori.
In questi giorni siamo tutti giustamente concentrati sulla riapertura fisica dei luoghi di lavoro (fabbriche, uffici, attività commerciali e artigianali, ristoranti), quindi sul lato dell’offerta di beni e servizi. La riapertura è una condizione necessaria per far ripartire l’economia. Per una ripresa effettiva dell’attività economica è tuttavia anche necessario che ci sia domanda per i beni e i servizi prodotti. In vari casi non è scontato che nei prossimi mesi questa domanda ci sia. Ciò rende particolarmente importante il ruolo della politica economica».
Quale è il ruolo dell’intervento pubblico? Nell’immediato e in prospettiva
«Negli ultimi mesi l’intervento pubblico è improvvisamente tornato predominante nel dibattito pubblico. Questo perché siamo finiti in una sorta di economia di guerra, intendendo un’economia in cui le scelte economiche degli individui e delle imprese sono pesantemente condizionate da altre priorità, in questo caso dalla salvaguardia della salute. Il nemico ovviamente è il virus. Come in tutte le economie di guerra, l’intervento delle autorità pubbliche è fondamentale per gestire la crisi e per mobilitare le risorse.
Negli ultimi due mesi i governi e le banche centrali hanno preso molte misure di carattere straordinario. Il Consiglio della Bce ha deciso importanti interventi volti a sostenere l’erogazione del credito; altre misure sono state prese dall’unione europea. Nelle prossime settimane si vedranno gli effetti delle misure prese e si vedrà se dovranno essere rafforzate. È però evidente la determinazione di governi, banche centrali e istituzioni internazionali ad affrontare la crisi con ogni strumento. Alla base vi è una grande preoccupazione per gli sviluppi economici, basti pensare ai recenti dati sulla produzione industriale in Italia, sull’aumento della disoccupazione negli Stati Uniti o sulla caduta del Pil in Gran Bretagna.
Vi è invece maggiore incertezza in merito al ruolo che gli stati assumeranno nell’economia nei prossimi anni: non è cioè chiaro se l’intervento pubblico diventerà stabilmente più ampio di quello pre crisi o se ritornerà gradualmente a quel livello. È un tema che ha già suscitato un dibattito intenso e che richiede una riflessione approfondita.
Le recessioni sono in genere affrontate con politiche monetarie e politiche di bilancio espansive, per esempio con trasferimenti in denaro alle famiglie per aumentare i consumi o con tassi di interesse più bassi per sostenere gli investimenti. Queste politiche vanno certamente applicate anche in questa recessione; però bisogna tener conto che i tradizionali strumenti di sostegno della domanda aggregata possono non essere in grado di sostenere l’attività di tutti i comparti economici. Alcuni potrebbero infatti restare a lungo spiazzati dai vincoli di distanziamento o dai timori della popolazione.
Un progetto per il Paese
Nel caso del nostro Paese la situazione è particolarmente preoccupante per le attività turistiche, a cui sono direttamente riconducibili quasi il 6% del Pil e oltre il 6% degli occupati. Con gli effetti indiretti queste percentuali raddoppiano; inoltre il saldo turistico con l’estero è in forte avanzo, il che induce a ritenere che non sarebbe possibile compensare tutto il turismo estero con quello nazionale.
Sostenere la domanda in un contesto economico frammentato e differenziato è quindi il problema cruciale su cui i governi devono confrontarsi. Servono strumenti selettivi di sostegno di specifiche fasce di famiglie, lavoratori e imprese, che aiutino a superare l’epidemia e a ripartire rapidamente subito dopo. Bisogna anche domandarsi, caso per caso, se sia preferibile sostenere lo status quo, in attesa del ritorno alla normalità, o se sia opportuno incoraggiare o incentivare cambiamenti nella struttura produttiva e nelle modalità di lavoro. Quest’ultimo approccio richiede ovviamente una riflessione e un disegno sul futuro del Paese che deve necessariamente coinvolgere il settore produttivo».
Abbiamo parlato del ruolo della politica economica, quale sarà quello delle imprese?
«Anche nel contesto del Covid, in cui i governi hanno un ruolo molto importante, non dobbiamo perdere di vista il ruolo che le imprese possono svolgere. Le imprese stanno subendo gli effetti della crisi, ma sono anche tra i soggetti che ci possono aiutare a uscirne. Ancora più di prima servono imprese dina