Predestinato
«Noi concepiamo la politica industriale con una capacità di dare indirizzi, dare una prospettiva nel segno della sostenibilità, dell’innovazione, della digitalizzazione non nel segno della governance. Quindi non c’è nessun intento, con questi provvedimenti, di interferire nella governance delle aziende che noi vogliamo aiutare e sostenere». E ancora: «In tutta Europa ci sono modalità nuove di sostegno alle imprese con vari strumenti, noi ci caliamo in quello scenario per dare nuova liquidità per le imprese, non è una nuova Iri, sono strumenti nuovi». Nei due passaggi al termine del chilometrico Consiglio dei ministri, mercoledì scorso, Roberto Gualtieri ha offerto la più ampia copertura dinanzi alle preoccupazioni sull’operazione di rafforzamento patrimoniale di medie e grandi imprese. E anche sulla fame di poltrone e posti in consiglio di una maggioranza di governo che litiga molto, ma procede con grande determinazione quando si tratta di nomine (tanto che ormai sarà sazia?).
Gli interventi sono affidati dal decreto Rilancio al «Fondo Patrimonio Pmi», che nascerà in ambito Invitalia e alla «Patrimonio Rilancio», per società con almeno 50 milioni di ricavi, in ambito Cassa depositi e prestiti.
Non c’è dunque da aver timori, ci dice il ministro dell’economia, sulla volontà dello Stato di aiutare e non sostituirsi. La Patrimonio Rilancio, con una dotazione di 50 miliardi e un limite temporale di 12 anni, è un «Patrimonio destinato», ossia quella forma giuridica nata nel 2003 che consente il coinvolgimento, in un’attività, di investitori terzi e l’espansione in territori rischiosi senza mettere a repentaglio l’intero patrimonio sociale e senza relativi obblighi derivanti da procedure concorsuali.
Come il Terzo settore o gli enti ecclesiastici, anche lo Stato limita il suo rischio d’impresa e si dedica a uno o più particolari progetti. Il tema è, naturalmente, la finalità. Destinato a fare cosa? Toccherà a un nuovo Dpcm considerare se l’impresa è attiva nello «sviluppo tecnologico», nelle «infrastrutture critiche e strategiche», o in «filiere produttive strategiche» e nella «sostenibilità ambientale», ma anche nella «rete logistica e dei rifornimenti», senza dimenticare i profili occupazionali. Un elenco dove c’è un po’ di tutto, che rinvia il momento delle scelte in un Paese che tutti, ma proprio tutti, spiegano essere nel pieno della sua più grave crisi economica affidata in larga parte a rimedi, sussidi e precetti di Inps e Inail.
Senza scelte, che nelle parole di questi giorni sembrano una chimera, è fin troppo facile immaginare la sorte effimera del patrimonio destinato della Cassa depositi e prestiti nella dispersione delle risorse e nei portafogli di partecipazioni semidecotte già oggi bisognosi di un reindirizzo. In altre parole, di una politica industriale.