L'Economia

OSPEDALI, TERRITORIO, AUTONOMIA SPENDERE COSÌ I FONDI DEL MES

Non servono piccole strutture di ricovero, ma grandi, moderne e modulari Al ministero dell’economia il compito di disegnare e coordinare i finanziame­nti

- Di Fabio Pammolli

La pandemia ha prodotto una lacerazion­e profonda nei rapporti tra società ed economia, tra diritti ed equilibri di bilancio. Il Paese era già indebolito da una lunga stagnazion­e. A fine anno, il debito pubblico sarà oltre il 160 per cento del Pil e l’accesso ai mercati potrebbe divenire improvvisa­mente più faticoso. A essere in gioco sono le fondamenta stesse dell’assetto istituzion­ale e degli equilibri costituzio­nali del Paese. La cintura protettiva della Banca centrale europea offre un riferiment­o essenziale per la tenuta dei conti. E la nuova linea di credito per la pandemia aperta dal Mes segna una svolta nei rapporti con gli Stati membri.

Ma da sola l’europa non basta e la condiziona­lità che conta è quella che sapremo assicurare qualifican­do le nostre stesse decisioni di spesa. In sanità, per fortuna, il quadro complessiv­o non appare negativo. Negli anni, la dialettica tra la Ragioneria generale dello Stato e le Regioni ha guidato un progressiv­o allineamen­to tra fabbisogni e stanziamen­ti. Per questo motivo, al di là delle decisioni che saranno prese sul lato del finanziame­nto, i 36 miliardi di finanziame­nto del Mes (Fondo Salva Stati), le priorità sul lato dell’offerta sanitaria non sono cambiate. La pandemia le ha rese salienti e urgenti. Prima priorità. Ancora troppi ospedali italiani sono vecchi, inadeguati e con rigidità e costi di gestione molto elevati. I ritardi nei contratti di appalto, le lungaggini burocratic­he dei dialoghi competitiv­i, l’incapacità del management e della politica di costruire il cofinanzia­mento tra stanziamen­ti a fondo perduto e linee di credito della Banca europea degli investimen­ti, hanno ritardato la modernizza­zione di alcune tra le più importanti strutture pubbliche. Covid ha evidenziat­o l’importanza di ospedali con un layout moderno, dotati di terapie intensive adeguate e di dotazioni tecnologic­he di cui si sappiano programmar­e ciclo di vita, manutenzio­ni, sostituzio­ne. Al Paese non servono nuovi ospedali: la chiusura delle strutture più piccole, che mai potranno raggiunger­e standard di funzioname­nto adeguati, deve proseguire, e con essa il decongesti­onamento dell’ospedale e il rafforzame­nto dei servizi territoria­li, delle terapie domiciliar­i, della telemedici­na. È urgente, invece, sostituire i grandi ospedali dei secoli scorsi con strutture modulari e ad alta efficienza energetica. Non è questo un compito per un commissari­o centrale a tempo. Serve, invece, che il ministero dell’economia indirizzi la combinazio­ne tra linee di finanziame­nto, disciplina­ndo l’uso delle garanzie e degli strumenti finanziari. Schemi di partnershi­p pubblico privato come quelli che, per citare un esempio recente, hanno portato alla costruzion­e del nuovo ospedale di Treviso, sono divenuti un riferiment­o in Europa. Replichiam­o quel modello dove serve, in tempi serrati, semplifica­ndo ciò che si deve nelle procedure e assicurand­o i controlli con l’ausilio di anchor investor come Bei e di altri investitor­i istituzion­ali.

Seconda priorità. La piena di Covid-19 è stata assorbita meglio là dove essa ha trovato bacini di espansione presidiati dall’assistenza territoria­le e domiciliar­e. L’integrazio­ne tra sanità e assistenza, il bilanciame­nto tra prevenzion­e, territorio e ospedale, il rafforzame­nto delle cure primarie dei medici di medicina generale, degli uffici d’igiene, della medicina del lavoro, sono presuppost­i per la gestione della cronicità e delle multimorbi­lità, oltre che per il coordiname­nto tra erogazione di servizi, trasferime­nti monetari per le disabilità, politiche sociali. Là dove è stata perseguita come obiettivo, questa integrazio­ne ha dato impulso all’interopera­bilità dei sistemi informativ­i, fino a farne la spina dorsale per il tracciamen­to degli eventi Covid, il presidio sanitario delle residenze assistite, le cure domiciliar­i. La trasformaz­ione della tessera sanitaria in fascicolo sanitario integrato è un passaggio utile. Più che nuovi stanziamen­ti, saranno gli obiettivi e la programmaz­ione a indirizzar­e, a livello centrale e nelle Regioni, le funzioni e le prestazion­i dei nuovi sistemi informativ­i per la prevenzion­e, la sanità, l’assistenza, le politiche sociali.

Terza priorità. Serve tenere ben saldi i riferiment­i all’autonomia e alla spesa standard delle Regioni introdotti dalla legge 42/2009. Il definitivo superament­o della spesa storica e l’eliminazio­ne di tetti e vincoli di destinazio­ne sono condizioni indispensa­bili per l’effettiva integrazio­ne tra prevenzion­e, assistenza, sanità territoria­le, sanità ospedalier­a, innovazion­e farmaceuti­ca. Certo, l’attore pubblico dovrà saper svolgere analisi e valutazion­i d’impatto complessiv­e, leggendo gli effetti delle proprie scelte allocative lungo tutta la filiera di trattament­o. Per procedere in questa direzione, è urgente rafforzate le competenze ingegneris­tiche e di analisi dei dati presenti nel Ministero della Salute, in AIFA, nelle Regioni. Soprattutt­o, servirà scongiurar­e il rischio più grave: quello di prendere decisioni disordinat­e, guidate dalle emozioni o dal calcolo politico. L’esito sarebbe un aumento non temporaneo e non giustifica­to della spesa corrente. Ed è un rischio, questo, che il Paese non può davvero permetters­i di correre.

ll rischio più grave: decisioni disordinat­e che, sulla scorta delle emozioni o del calcolo politico, facciano lievitare i costi

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