FORZA DI FAMIGLIA ECCO CHI NON SMETTE DI INVESTIRE
Menarini, Angelini, Campari, Newlat, Zucchetti. Sono fra i protagonisti dello «shopping da crisi». Gruppi che in un 2020 difficile hanno già messo sul piatto 2 miliardi per comprare e crescere. La ricerca Kpmg
Hanno investito circa due miliardi da gennaio a metà maggio, i mesi più duri dalla crisi finanziaria del 2008. Lo hanno fatto per crescere, in Italia e all’estero: consapevoli che, come investitori di lungo termine, le opportunità non si possono lasciar sfuggire. Liquide, ben patrimonializzate, hanno continuato lo shopping. Sono le imprese di matrice familiare grandi e piccole che hanno piazzato pedine strategiche nei primi cinque mesi dell’anno come emerge dall’analisi che Kpmg ha svolto per L’economia sulle attività di fusione e acquisizione (m&a) delle aziende familiari. In prima linea Menarini, Angelini, Campari, Newlat. E poi Zucchetti, prima realtà del software a capitale italiano che ha puntato sull’innovazione comprando Lybratech, startup italiana per gli albergatori. Una mossa che consente al gruppo di Lodi di guardare sempre più alla pari i concorrenti internazionali. «Bisogna ripartire da queste realtà per immaginare la ripresa del nostro tessuto produttivo ed economico — dice Giuseppe Latorre, responsabile di Kpmg Corporate finance —. Questa crisi può essere l’occasione storica per superare l’antico problema della dimensione delle imprese e per disegnare una politica industriale per i settori strategici del Paese». Se all’estero alcune operazioni che vedevano in cabina di regia grandi fondi di private equity sono state rimesse nel cassetto in attesa di tempi migliori, le imprese sono andate avanti. «La famiglie industriali — osserva Latorre — si assumono il rischio anche in periodi difficili perché vedono l’extra rendimento che arriva dall’acquisto di quote mercato, dall’assorbimento di concorrenti e dalle sinergie che emergono».
In prima fila, la farmaceutica e l’alimentare che hanno lavorato nei mesi del lockdown. Hanno messo da parte i numeri e gli andamenti delle settimane più dure, perché malgrado le loro fabbriche non abbiano chiuso le aziende hanno comunque scontato l’emergenza. Come d’altronde indica l’istat che rileva a marzo un meno 8,7% per la produzione farmaceutica.
Così la Newlat guidata dall’imprenditore Angelo Mastrolia ha investito nella Centrale del latte d’italia ed è arrivato a mezzo miliardo di ricavi diventando il terzo polo nel latte dopo Parmalat e Granarolo. Ora sembra guardare all’acquisto della greca Delta, tra i primi produttori di latticini, con circa 300 milioni di ricavi. Se andrà in porto, Newlat porterà sotto il cappello dell’italia e della sua industria un gruppo in mano a una compagine di istituzionali e banche, eredità della crisi del debito greco. «Abbiamo cercato di trasformare un momento di crisi in opportunità per la crescita del gruppo e del lavoro dei suoi 1.500 dipendenti — dice Mastrolia —. Ora per ripartire tutti dobbiamo un po’ aiutarci da soli. Gli imprenditori devono cogliere l’occasione per aggregare, con il doppio obiettivo di creare campioni e sostenere altre realtà sul territorio».
Meno barriere
«Moltissime aziende familiari sono poco indebitate, le famiglie proprietarie hanno spesso buone liquidità: questa situazione è un invito a nozze per chi vuole fare m&a — dice Giovanni Tamburi, banchiere a capo della piattaforma d’investimenti Tip —. Si apre infatti una finestra di opportunità per acquisizioni, alleanze e aggregazioni che durerà due o tre anni». Tip ha puntato su oltre una ventina di imprese familiari, da Moncler a Furla, da Azimut Benetti a Eataly, da Amplifon a Interpump, supportandole nella crescita. «Auspico che crollino finalmente i tabù di quell’individualismo che ha frenato molte operazioni e si gettino le basi per la nascita di nuovi e più forti campioni — dice Tamburi—. Anche perché le multinazionali estere guarderanno meno alla Penisola. I vantaggi fiscali previsti dal decreto Rilancio per gli aumenti di capitale dovrebbero incoraggiare il consolidamento».
Il biotech
Un percorso importante lo ha disegnato il gruppo Menarini che aveva promesso di puntare sul mercato americano e nel settore dell’oncologia. Obiettivo rispettato ai primi di maggio con l’annuncio di un investimento fino a 677 milioni di dollari per rilevare, attraverso un’opa amichevole, Stemline Therapeutics, azienda biofarmaceutica quotata al Nasdaq: permetterà al gruppo di rafforzare il portafoglio di medicinali contro il cancro. «Il settore farmaceutico per sua natura vive di investimenti — dice Lucia Aleotti, azionista e membro del board di Menarini —. Il nostro Paese ha la fortuna di avere una forte presenza di questa industria che sicuramente potrà avere un ruolo fondamentale durante la ripresa»,
Sul biotech ha investito anche Mediolanum farmaceutici, oltre 200 milioni di ricavi, guidata dal ceo Alessandro Del Bono che ha comprato la Elsalys Biotech. «L’italia è ricca di piccole biotech, spesso acquisite da investitori esteri, dice Latorre di Kpmg —. L’auspicio è che i grandi gruppi giochino ora un ruolo di consolidamento». Poco prima il gruppo Angelini, attraverso la Angelini Pharma, aveva annunciato l’acquisto per 190 milioni di dollari, sempre negli Usa, del marchio Thermacare, circa 70 milioni di ricavi con i «cerottoni» analgesici per i dolori muscolari e uno stabilimento ad Albany in Georgia. Thermacare è il numero due dopo Voltaren in Germania, dove il gruppo non aveva ancora posizioni di forza. La farmaceutica vale il 50% dei ricavi di 1,68 miliardi del gruppo presieduto da Francesco Angelini che ha 901 milioni di cassa per aumentare la taglia. «Abbiamo il dovere e l’obbligo di crescere, dice l’amministratore delegato Alberto Capponi —. Non guardiamo solo al farma, valutiamo dossier per tutti i business: dal vino al consumer, dove lavoriamo con la Fater e i marchi Lines, Pampers e Ace, fino alle macchine di Fameccanica che fornirà 25 linee super veloci per produrre mascherine al commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri». Tra i più attivi c’è stato il gruppo Campari, malgrado un trimestre che ha evidenziato un calo delle vendite, soprattutto in Italia dove ha pesato la chiusura di bar, ristoranti e alberghi. Ma il gruppo ha rilanciato con l’acquisto dello champagne Lallier. «Abbiamo sempre investito anche nei momenti
Tamburi: «Ora si apre una finestra di opportunità per acquisizioni, alleanze e aggregazioni che durerà due o tre anni»
di maggiore crisi — racconta il ceo Bob Kunze-concewitz —. Nel 2009 abbiamo fatto quella che fu allora la nostra più grande acquisizione: il bourbon Wild Turkey. Anche in un momento d’incertezza senza precedenti portiamo avanti la strategia di crescita, che da 25 anni si fonda sulla costruzione di marchi dal forte potenziale e su acquisizioni di brand che vogliamo far crescere nel lungo termine. Con Lallier, Campari è stato il primo gruppo italiano a entrare nella categoria francese dello champagne. Possiamo farlo grazie a un profilo finanziario da sempre molto solido».