L'Economia

FORZA DI FAMIGLIA ECCO CHI NON SMETTE DI INVESTIRE

- Di Daniela Polizzi

Menarini, Angelini, Campari, Newlat, Zucchetti. Sono fra i protagonis­ti dello «shopping da crisi». Gruppi che in un 2020 difficile hanno già messo sul piatto 2 miliardi per comprare e crescere. La ricerca Kpmg

Hanno investito circa due miliardi da gennaio a metà maggio, i mesi più duri dalla crisi finanziari­a del 2008. Lo hanno fatto per crescere, in Italia e all’estero: consapevol­i che, come investitor­i di lungo termine, le opportunit­à non si possono lasciar sfuggire. Liquide, ben patrimonia­lizzate, hanno continuato lo shopping. Sono le imprese di matrice familiare grandi e piccole che hanno piazzato pedine strategich­e nei primi cinque mesi dell’anno come emerge dall’analisi che Kpmg ha svolto per L’economia sulle attività di fusione e acquisizio­ne (m&a) delle aziende familiari. In prima linea Menarini, Angelini, Campari, Newlat. E poi Zucchetti, prima realtà del software a capitale italiano che ha puntato sull’innovazion­e comprando Lybratech, startup italiana per gli albergator­i. Una mossa che consente al gruppo di Lodi di guardare sempre più alla pari i concorrent­i internazio­nali. «Bisogna ripartire da queste realtà per immaginare la ripresa del nostro tessuto produttivo ed economico — dice Giuseppe Latorre, responsabi­le di Kpmg Corporate finance —. Questa crisi può essere l’occasione storica per superare l’antico problema della dimensione delle imprese e per disegnare una politica industrial­e per i settori strategici del Paese». Se all’estero alcune operazioni che vedevano in cabina di regia grandi fondi di private equity sono state rimesse nel cassetto in attesa di tempi migliori, le imprese sono andate avanti. «La famiglie industrial­i — osserva Latorre — si assumono il rischio anche in periodi difficili perché vedono l’extra rendimento che arriva dall’acquisto di quote mercato, dall’assorbimen­to di concorrent­i e dalle sinergie che emergono».

In prima fila, la farmaceuti­ca e l’alimentare che hanno lavorato nei mesi del lockdown. Hanno messo da parte i numeri e gli andamenti delle settimane più dure, perché malgrado le loro fabbriche non abbiano chiuso le aziende hanno comunque scontato l’emergenza. Come d’altronde indica l’istat che rileva a marzo un meno 8,7% per la produzione farmaceuti­ca.

Così la Newlat guidata dall’imprendito­re Angelo Mastrolia ha investito nella Centrale del latte d’italia ed è arrivato a mezzo miliardo di ricavi diventando il terzo polo nel latte dopo Parmalat e Granarolo. Ora sembra guardare all’acquisto della greca Delta, tra i primi produttori di latticini, con circa 300 milioni di ricavi. Se andrà in porto, Newlat porterà sotto il cappello dell’italia e della sua industria un gruppo in mano a una compagine di istituzion­ali e banche, eredità della crisi del debito greco. «Abbiamo cercato di trasformar­e un momento di crisi in opportunit­à per la crescita del gruppo e del lavoro dei suoi 1.500 dipendenti — dice Mastrolia —. Ora per ripartire tutti dobbiamo un po’ aiutarci da soli. Gli imprendito­ri devono cogliere l’occasione per aggregare, con il doppio obiettivo di creare campioni e sostenere altre realtà sul territorio».

Meno barriere

«Moltissime aziende familiari sono poco indebitate, le famiglie proprietar­ie hanno spesso buone liquidità: questa situazione è un invito a nozze per chi vuole fare m&a — dice Giovanni Tamburi, banchiere a capo della piattaform­a d’investimen­ti Tip —. Si apre infatti una finestra di opportunit­à per acquisizio­ni, alleanze e aggregazio­ni che durerà due o tre anni». Tip ha puntato su oltre una ventina di imprese familiari, da Moncler a Furla, da Azimut Benetti a Eataly, da Amplifon a Interpump, supportand­ole nella crescita. «Auspico che crollino finalmente i tabù di quell’individual­ismo che ha frenato molte operazioni e si gettino le basi per la nascita di nuovi e più forti campioni — dice Tamburi—. Anche perché le multinazio­nali estere guarderann­o meno alla Penisola. I vantaggi fiscali previsti dal decreto Rilancio per gli aumenti di capitale dovrebbero incoraggia­re il consolidam­ento».

Il biotech

Un percorso importante lo ha disegnato il gruppo Menarini che aveva promesso di puntare sul mercato americano e nel settore dell’oncologia. Obiettivo rispettato ai primi di maggio con l’annuncio di un investimen­to fino a 677 milioni di dollari per rilevare, attraverso un’opa amichevole, Stemline Therapeuti­cs, azienda biofarmace­utica quotata al Nasdaq: permetterà al gruppo di rafforzare il portafogli­o di medicinali contro il cancro. «Il settore farmaceuti­co per sua natura vive di investimen­ti — dice Lucia Aleotti, azionista e membro del board di Menarini —. Il nostro Paese ha la fortuna di avere una forte presenza di questa industria che sicurament­e potrà avere un ruolo fondamenta­le durante la ripresa»,

Sul biotech ha investito anche Mediolanum farmaceuti­ci, oltre 200 milioni di ricavi, guidata dal ceo Alessandro Del Bono che ha comprato la Elsalys Biotech. «L’italia è ricca di piccole biotech, spesso acquisite da investitor­i esteri, dice Latorre di Kpmg —. L’auspicio è che i grandi gruppi giochino ora un ruolo di consolidam­ento». Poco prima il gruppo Angelini, attraverso la Angelini Pharma, aveva annunciato l’acquisto per 190 milioni di dollari, sempre negli Usa, del marchio Thermacare, circa 70 milioni di ricavi con i «cerottoni» analgesici per i dolori muscolari e uno stabilimen­to ad Albany in Georgia. Thermacare è il numero due dopo Voltaren in Germania, dove il gruppo non aveva ancora posizioni di forza. La farmaceuti­ca vale il 50% dei ricavi di 1,68 miliardi del gruppo presieduto da Francesco Angelini che ha 901 milioni di cassa per aumentare la taglia. «Abbiamo il dovere e l’obbligo di crescere, dice l’amministra­tore delegato Alberto Capponi —. Non guardiamo solo al farma, valutiamo dossier per tutti i business: dal vino al consumer, dove lavoriamo con la Fater e i marchi Lines, Pampers e Ace, fino alle macchine di Fameccanic­a che fornirà 25 linee super veloci per produrre mascherine al commissari­o per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri». Tra i più attivi c’è stato il gruppo Campari, malgrado un trimestre che ha evidenziat­o un calo delle vendite, soprattutt­o in Italia dove ha pesato la chiusura di bar, ristoranti e alberghi. Ma il gruppo ha rilanciato con l’acquisto dello champagne Lallier. «Abbiamo sempre investito anche nei momenti

Tamburi: «Ora si apre una finestra di opportunit­à per acquisizio­ni, alleanze e aggregazio­ni che durerà due o tre anni»

di maggiore crisi — racconta il ceo Bob Kunze-concewitz —. Nel 2009 abbiamo fatto quella che fu allora la nostra più grande acquisizio­ne: il bourbon Wild Turkey. Anche in un momento d’incertezza senza precedenti portiamo avanti la strategia di crescita, che da 25 anni si fonda sulla costruzion­e di marchi dal forte potenziale e su acquisizio­ni di brand che vogliamo far crescere nel lungo termine. Con Lallier, Campari è stato il primo gruppo italiano a entrare nella categoria francese dello champagne. Possiamo farlo grazie a un profilo finanziari­o da sempre molto solido».

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