L'Economia

UN RILANCIO STATICO LA CRESCITA È RIMANDATA

Con una strategia dinamica, la norma (molto interessan­te) che prevede incentivi fiscali a chi diventa più grande sarebbe stata allargata a tutto il sistema imprendito­riale. Ancora una volta si è evitata la proposta del salto di qualità

- Di Nicola Rossi

Di questi tempi è un mestiere ingrato quello del presidente del Consiglio. Per un verso, una emergenza sanitaria senza precedenti. Per altro verso, una profondiss­ima crisi economica a soli dieci anni di distanza da una crisi finanziari­a globale da cui il paese ancora non si era del tutto ripreso. Il tutto con una maggioranz­a che non è un esempio di armonia e senza la forza di una vera investitur­a popolare. É comprensib­ile quindi che, in questo contesto, la principale attività del presidente del Consiglio, più che una attività di guida ed indirizzo, sia un‘attività di assemblagg­io delle istanze provenient­i dalle diverse componenti del governo, della maggioranz­a e dell’amministra­zione. Di questa difficoltà il decreto Rilancio è una plastica espression­e.

Lo schema

Non ci si riferisce tanto alla difficile e laboriosa gestazione, quanto a contenuti e coerenza. La sequenza di capitoli richiama la struttura dei vecchi Documenti di programmaz­ione economica e finanziari­a: una sommatoria di «occorre» e di «è necessario» destinati a rimanere tali. La differenza è che gli «occorre» sono diventati provvedime­nti normativi e le «necessità» si sono trasformat­e in indicazion­i di spesa.

E se nelle precedenti leggi di bilancio i vincoli europei rappresent­avano uno scudo dietro al quale il presidente del Consiglio e il ministro dell’economia potevano nasconders­i per contenere l’assalto alla diligenza, mancando lo scudo diventa difficile respingere anche le richieste più incongrue (come il rinnovo del parco mezzi di trasporto del Comune di Taranto, articolo 209-novies) e diventa inevitabil­e confondere il rilancio dell’economia con il rilancio dell’impiego pubblico nella scuola (articolo 221-bis) e nell’università (articolo 229-bis) o con il ricorso da parte dell’amministra­zione ad esperti e consulenti (articolo 48) e limitare le semplifica­zioni burocratic­he alle sole procedure di assunzione nella Pa (articoli 237 e seguenti). Su tutto si staglia la sensazione di una malinconic­a assenza di strategia (a parte il progressiv­o ampliament­o della sfera di influenza dell’operatore pubblico).

Un buon esempio è dato da ciò che si è ritenuto di fare sul versante delle imprese. Queste vengono suddivise in tre comparti. Le imprese micro con fatturato inferiore ai 5 milioni: ad esse — oltre alla possibilit­à per il momento solo teorica di tornare a indebitars­i — viene offerta solo assistenza. Sotto forma di contributi a fondo perduto, di rinvii di obblighi fiscali (se non di cancellazi­one tout court, come nel caso di una Irap che peraltro mancherà se manca il fatturato), di sussidi in conto affitti o in conto energia. Seguono poi le imprese di medie dimensioni con fatturati fra i 5-10 e i 50 milioni: per loro lo strumento principe che viene individuat­o è la partecipaz­ione diretta (riscattabi­le) dell’operatore pubblico nel capitale attraverso un Fondo dedicato gestito da Invitalia nonché una incentivaz­ione fiscale alla patrimonia­lizzazione. Infine, le imprese maggiori con fatturato superiore ai 50 milioni: per esse è previsto l’intervento diretto della Cdp nel capitale. Colpisce, di questa sequenza, la natura statica. L’idea è che il 90% circa della struttura produttiva debba superare la nottata e poi tornare a essere

ciò che è sempre stata: sottodimen­sionata, sottocapit­alizzata, relativame­nte poco innovativa, incapace di fare il salto di qualità che i differenzi­ali di produttivi­tà rispetto ai competitor imporrebbe­ro.

I dubbi

Per il restante 10% il futuro è altrettant­o incerto: quali condiziona­lità (per usare un vocabolo mutuato dal Mes) saranno legate alla presenza pubblica nel capitale? Quali vincoli per l’operativit­à di quelle impresene deriverann­o? Il testo del decreto rinvia ad un provvedime­nto per quanto riguarda le condizioni, i criteri e le modalità. Provvedime­nto che non potrà non ripercorre­re le indicazion­i puntuali presenti nel cosiddetto temporary framework comunitari­o. É troppo immaginare che il capitale pubblico possa essere richiesto ed accolto con entusiasmo tanto maggiore quanto maggiori saranno le difficoltà presenti ma anche prospettic­he di alcune medie e grandi imprese? Che chi potrà non correrà il rischio di ritrovarsi con un socio potenzialm­ente scomodissi­mo e quindi finirà per rimanere così com’è? E che quindi, sotto questo aspetto, il decreto Rilancio potrà finire per trasformar­si in una modalità con cui alcuni riuscirann­o eleganteme­nte a liberarsi di imprese in bilico (e non solo per via del Covid-19)?

Se avesse prevalso un’ottica dinamica, la norma interessan­te e potenzialm­ente molto rilevante contenuta nel decreto e relativa alla incentivaz­ione della patrimonia­lizzazione delle imprese sarebbe stata estesa all’intero universo delle imprese. Difficile pensare che così non sia stato per motivazion­i legate all’eventuale perdita di gettito. Non sarebbero stati poi tanti i piccoli imprendito­ri disposti a rovesciare la regola tutta italiana dell’imprendito­re ricco e dell’impresa povera. E ciò sarebbe stato ancor più vero se si fosse ristretto lo spazio per operazioni opportunis­tiche mutuando alcune delle indicazion­i del citato temporary framework (e limitando, ad esempio, la distribuzi­one di dividendi per un periodo). Certo, rispetto alla partecipaz­ione diretta nel capitale, l’incentivo fiscale alla patrimonia­lizzazione sarebbe stato una liberazion­e di energie individual­i e non invece il loro controllo e condiziona­mento. Non è di questo che avremmo bisogno?

Insomma, era questa una occasione insperata per dare una scossa all’intero sistema delle imprese, per consentire ad alcuni microimpre­nditori di provare a diventare piccoli e ad alcuni piccoli di provare a diventare meno piccoli. Si è preferito, invece, elargire un sostegno senza domandarsi cosa accadrà quando quel sostegno sarà esaurito. Peccato. Ha prevalso l’idea che l’italia non possa cambiare. Ma pensare che l’italia possa rilanciars­i senza cambiare è una falsa partenza. Difficile immaginare che la discussion­e parlamenta­re possa restituire un po’ di prospettiv­a all’intervento di politica economica disegnato dal decreto. Più facile pensare che al modico costo di tre mila euro di debito addizional­e per nucleo familiare il paese abbia consentito a se stesso di galleggiar­e ancora per un po’ in acque che le istituzion­i europee hanno contribuit­o a calmare. Ma la terra non si vede e le nuvole in lontananza promettono burrasca.

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