IMPRESE , SI DEVE DARE E TOGLIERE (LA BUROCRAZIA)
Le classifiche della Banca mondiale ci vedono in coda nella facilità di «fare business». Da dove ripartire? Da una semplificazione che riduca il numero delle imposte e il tempo necessario per gestirle. E velocizzi la restituzione dei crediti: per l’iva servono 62 mesi e mezzo contro i 5 della Germania. Poi incentivi per i comportamenti virtuosi
L’attenzione di queste settimane si è concentrata su che cosa dare alle imprese, per sopravvivere e per ripartire. Questo è un capitolo ancora aperto. Ma occorre interrogarsi anche su che cosa togliere alle imprese. In termini di ostacoli, regole e burocrazia, che frenano e rendono più difficile il fare impresa. Le classifiche più autorevoli su questa materia ci pongono su un piano spesso imbarazzante, a cui purtroppo ci siamo assuefatti. Una posizione simile per l’italia è invece semplicemente inaccettabile e non può fare parte dell’immagine di un Paese di grande dimensione.
I dati non sono semplici indicatori qualitativi, ma sono una combinazione di numeri, fatti ed evidenze. In questo caso, un vero capitale negativo che toglie valore e ci gioca contro. La classifica «Doing Business», della semplicità nel fare impresa, realizzata da World Bank, mette l’italia al 58esimo posto nel mondo, ben lontana dai principali Paesi europei: la Gran Bretagna all’ottavo posto, la Germania al ventiduesimo, la Spagna al trentesimo e la Francia al trentaduesimo. Se le prime posizioni (sul podio Nuova Zelanda, Singapore e Hong Kong) sembrano guidate da contesti di più piccola dimensione e caratterizzati da combinazioni uniche di localizzazioni geografiche e scelte politiche, nei primi dieci posti troviamo comunque, oltre agli Stati Uniti, ben tre Paesi del Nord Europa oltre alla Gran Bretagna.
Le difficoltà
Ancora più importante è la straordinaria disponibilità di dati utilizzabili dietro questa classifica, che permette di andare a fondo sui problemi principali. Problemi che agiscono direttamente sulla liquidità e sui costi delle imprese, ma soprattutto mettono in luce come all’elevato carico fiscale sui profitti delle imprese (53%), dietro solo alla Francia (60%) e nei primi 20 al mondo, non corrisponde un contesto altrettanto favorevole alle imprese. Tre classifiche evidenziano proprio questi aspetti. Il numero di imposte a cui le imprese sono soggette (14, un numero che non ha simili) e il tempo dedicato alla gestione di tali imposte (238 ore, cioè 29,75 giornate lavorative) rispetto a una media europea di 150 ore, sono elementi che obbligano le imprese a spostare l’attenzione dalla gestione del business a quella della burocrazia senza valore. Peggio ancora per i tempi di rimborso dell’iva a credito: 62,5 mesi contro i cinque della Germania e i 16 della Spagna. O il tempo dedicato a far rispettare i contratti che non vengono rispettati: oltre mille giorni, più del doppio di Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, con un costo intorno al 27% del valore dei contratti stessi. Tanti fronti aperti e troppi divari di competitività. Zavorre, nella situazione attuale. Come realizzare allora un’agenda che porti a risultati concreti?
Le soluzioni possibili
La prima considerazione è che la distanza fra l’italia e gli altri Paesi è troppo alta e la gestione e il miglioramento di questi parametri devono essere introdotti chiaramente nell’agenda del governo, per tracciarne l’evoluzione e per essere migliorati. Significa che l’impronta gestionale dei problemi sollevati deve avvicinarsi, con tutte le ovvie cautele di questo paragone, a una logica più simile all’azienda, che definisce gli obiettivi, le risorse per raggiungerli e ne risponde di fronte agli investitori: in questo caso, gli elettori.
In termini di metodo, l’idea non è nuova, ma già Tony Blair nel 2001, all’inizio del suo secondo mandato, mise in campo una «Delivery Unit» (Pmdu) con l’obiettivo di creare non una task force, ma un centro a supporto del primo ministro, che definisse gli obiettivi in termini di classifiche e di impatto per la collettività e poi ne tenesse traccia, verificando l’impatto migliorativo delle scelte del governo. Alcune azioni sono implementabili da subito. I giorni di ritardo nella restituzione dell’iva segnano fra noi e gli altri un abisso, che si traduce in liquidità che le aziende non hanno. Qui una restituzione integrale dell’iva a credito, con meccanismi che livellino la durata dell’italia rispetto agli altri Paesi, darebbe ossigeno alle imprese sia per sopravvivere nella fase di lockdown e di parziale riapertura sia per avere una base di rilancio.
Altre azioni richiedono tempi più lunghi, ma hanno il comune denominatore di concentrarsi su obiettivi misurabili e osservabili da tutti. La presenza di una pressione fiscale elevata, accompagnata da un corredo di tante imposte e di tempi lunghi per pagarle, è il nodo. Se la presenza di Ires e Irap non è facile da smontare (e forse richiederebbe una grande riforma), almeno l’introduzione di incentivi fiscali dedicati a premiare i comportamenti virtuosi che generano crescita, occupazione, nuova ricchezza e quindi nuovo gettito sono necessari. Alcune aree sono fondamentali: il supporto alla capitalizzazione delle imprese, sia sul versante degli azionisti che su quello dell’impresa stessa, attraverso un potenziamento deciso dell’ace e la riduzione
L’italia è al 58esimo posto, ben lontano da Gran Bretagna, Francia e Spagna. E alle tante tasse sui profitti non corrisponde un contesto favorevole al mondo produttivo
del carico fiscale sui dividendi; un analogo incentivo a favore delle emissioni obbligazionarie e ai prestiti bancari a lungo termine; il sostegno alle operazioni di fusione e acquisizione, perché consolidano la struttura dell’offerta delle imprese italiane. Crescita dimensionale e irrobustimento della struttura finanziaria dovrebbero essere quindi i tratti caratteristici di questo intervento.
Queste azioni dovrebbero però evolvere di pari passo con una scelta di equità sociale, che porta inevitabilmente al centro il tema dell’evasione fiscale, dove l’italia è ai primi posti di qualsiasi classifica. L’argomento è ancora più decisivo con un debito pubblico che sale oltre il 150% del Pil. Sarebbe bello poter parlare di un grande patto fra i cittadini per affrontarlo, ma le vie percorribili devono essere più pragmatiche e decise: passano attraverso la drastica riduzione del contante e una logica di contrapposizione fra contribuenti privati, così come avviene in Francia.
La crisi pandemica ha chiaramente messo al centro la Stato. La qualità delle scelte gestionali che lo Stato metterà in atto sono questa volta più cruciali che mai per determinare il nostro destino sia in termini economici che sociali in senso lato. Questo richiede capacità di gestione (oltre che di leadership) ben più elevate dei tempi normali. Più che mai economia e società hanno un legame stretto e decisivo. Gli strumenti che vengono messi in atto per facilitare questo percorso devono cambiare e misurazione, trasparenza, chiarezza degli obiettivi fanno parte di questo bagaglio.