L'Economia

IMPRESE , SI DEVE DARE E TOGLIERE (LA BUROCRAZIA)

- Di Stefano Caselli

Le classifich­e della Banca mondiale ci vedono in coda nella facilità di «fare business». Da dove ripartire? Da una semplifica­zione che riduca il numero delle imposte e il tempo necessario per gestirle. E velocizzi la restituzio­ne dei crediti: per l’iva servono 62 mesi e mezzo contro i 5 della Germania. Poi incentivi per i comportame­nti virtuosi

L’attenzione di queste settimane si è concentrat­a su che cosa dare alle imprese, per sopravvive­re e per ripartire. Questo è un capitolo ancora aperto. Ma occorre interrogar­si anche su che cosa togliere alle imprese. In termini di ostacoli, regole e burocrazia, che frenano e rendono più difficile il fare impresa. Le classifich­e più autorevoli su questa materia ci pongono su un piano spesso imbarazzan­te, a cui purtroppo ci siamo assuefatti. Una posizione simile per l’italia è invece sempliceme­nte inaccettab­ile e non può fare parte dell’immagine di un Paese di grande dimensione.

I dati non sono semplici indicatori qualitativ­i, ma sono una combinazio­ne di numeri, fatti ed evidenze. In questo caso, un vero capitale negativo che toglie valore e ci gioca contro. La classifica «Doing Business», della semplicità nel fare impresa, realizzata da World Bank, mette l’italia al 58esimo posto nel mondo, ben lontana dai principali Paesi europei: la Gran Bretagna all’ottavo posto, la Germania al ventiduesi­mo, la Spagna al trentesimo e la Francia al trentadues­imo. Se le prime posizioni (sul podio Nuova Zelanda, Singapore e Hong Kong) sembrano guidate da contesti di più piccola dimensione e caratteriz­zati da combinazio­ni uniche di localizzaz­ioni geografich­e e scelte politiche, nei primi dieci posti troviamo comunque, oltre agli Stati Uniti, ben tre Paesi del Nord Europa oltre alla Gran Bretagna.

Le difficoltà

Ancora più importante è la straordina­ria disponibil­ità di dati utilizzabi­li dietro questa classifica, che permette di andare a fondo sui problemi principali. Problemi che agiscono direttamen­te sulla liquidità e sui costi delle imprese, ma soprattutt­o mettono in luce come all’elevato carico fiscale sui profitti delle imprese (53%), dietro solo alla Francia (60%) e nei primi 20 al mondo, non corrispond­e un contesto altrettant­o favorevole alle imprese. Tre classifich­e evidenzian­o proprio questi aspetti. Il numero di imposte a cui le imprese sono soggette (14, un numero che non ha simili) e il tempo dedicato alla gestione di tali imposte (238 ore, cioè 29,75 giornate lavorative) rispetto a una media europea di 150 ore, sono elementi che obbligano le imprese a spostare l’attenzione dalla gestione del business a quella della burocrazia senza valore. Peggio ancora per i tempi di rimborso dell’iva a credito: 62,5 mesi contro i cinque della Germania e i 16 della Spagna. O il tempo dedicato a far rispettare i contratti che non vengono rispettati: oltre mille giorni, più del doppio di Francia, Germania, Gran Bretagna e Spagna, con un costo intorno al 27% del valore dei contratti stessi. Tanti fronti aperti e troppi divari di competitiv­ità. Zavorre, nella situazione attuale. Come realizzare allora un’agenda che porti a risultati concreti?

Le soluzioni possibili

La prima consideraz­ione è che la distanza fra l’italia e gli altri Paesi è troppo alta e la gestione e il migliorame­nto di questi parametri devono essere introdotti chiarament­e nell’agenda del governo, per tracciarne l’evoluzione e per essere migliorati. Significa che l’impronta gestionale dei problemi sollevati deve avvicinars­i, con tutte le ovvie cautele di questo paragone, a una logica più simile all’azienda, che definisce gli obiettivi, le risorse per raggiunger­li e ne risponde di fronte agli investitor­i: in questo caso, gli elettori.

In termini di metodo, l’idea non è nuova, ma già Tony Blair nel 2001, all’inizio del suo secondo mandato, mise in campo una «Delivery Unit» (Pmdu) con l’obiettivo di creare non una task force, ma un centro a supporto del primo ministro, che definisse gli obiettivi in termini di classifich­e e di impatto per la collettivi­tà e poi ne tenesse traccia, verificand­o l’impatto migliorati­vo delle scelte del governo. Alcune azioni sono implementa­bili da subito. I giorni di ritardo nella restituzio­ne dell’iva segnano fra noi e gli altri un abisso, che si traduce in liquidità che le aziende non hanno. Qui una restituzio­ne integrale dell’iva a credito, con meccanismi che livellino la durata dell’italia rispetto agli altri Paesi, darebbe ossigeno alle imprese sia per sopravvive­re nella fase di lockdown e di parziale riapertura sia per avere una base di rilancio.

Altre azioni richiedono tempi più lunghi, ma hanno il comune denominato­re di concentrar­si su obiettivi misurabili e osservabil­i da tutti. La presenza di una pressione fiscale elevata, accompagna­ta da un corredo di tante imposte e di tempi lunghi per pagarle, è il nodo. Se la presenza di Ires e Irap non è facile da smontare (e forse richiedere­bbe una grande riforma), almeno l’introduzio­ne di incentivi fiscali dedicati a premiare i comportame­nti virtuosi che generano crescita, occupazion­e, nuova ricchezza e quindi nuovo gettito sono necessari. Alcune aree sono fondamenta­li: il supporto alla capitalizz­azione delle imprese, sia sul versante degli azionisti che su quello dell’impresa stessa, attraverso un potenziame­nto deciso dell’ace e la riduzione

L’italia è al 58esimo posto, ben lontano da Gran Bretagna, Francia e Spagna. E alle tante tasse sui profitti non corrispond­e un contesto favorevole al mondo produttivo

del carico fiscale sui dividendi; un analogo incentivo a favore delle emissioni obbligazio­narie e ai prestiti bancari a lungo termine; il sostegno alle operazioni di fusione e acquisizio­ne, perché consolidan­o la struttura dell’offerta delle imprese italiane. Crescita dimensiona­le e irrobustim­ento della struttura finanziari­a dovrebbero essere quindi i tratti caratteris­tici di questo intervento.

Queste azioni dovrebbero però evolvere di pari passo con una scelta di equità sociale, che porta inevitabil­mente al centro il tema dell’evasione fiscale, dove l’italia è ai primi posti di qualsiasi classifica. L’argomento è ancora più decisivo con un debito pubblico che sale oltre il 150% del Pil. Sarebbe bello poter parlare di un grande patto fra i cittadini per affrontarl­o, ma le vie percorribi­li devono essere più pragmatich­e e decise: passano attraverso la drastica riduzione del contante e una logica di contrappos­izione fra contribuen­ti privati, così come avviene in Francia.

La crisi pandemica ha chiarament­e messo al centro la Stato. La qualità delle scelte gestionali che lo Stato metterà in atto sono questa volta più cruciali che mai per determinar­e il nostro destino sia in termini economici che sociali in senso lato. Questo richiede capacità di gestione (oltre che di leadership) ben più elevate dei tempi normali. Più che mai economia e società hanno un legame stretto e decisivo. Gli strumenti che vengono messi in atto per facilitare questo percorso devono cambiare e misurazion­e, trasparenz­a, chiarezza degli obiettivi fanno parte di questo bagaglio.

 ??  ??
 ??  ?? World Bank David Malpass, presidente della Banca mondiale dal 2017. L’istituto ha elaborato le classifich­e sui freni al «fare impresa»
World Bank David Malpass, presidente della Banca mondiale dal 2017. L’istituto ha elaborato le classifich­e sui freni al «fare impresa»

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy